La vita di Adele – La vie d’Adèle chapitre 1 et 2 – Blue is the warmest color ****
Il concorso di questo 66° Festival di Cannes prende il volo in questi ultimi giorni con un nuovo straordinario film di Abdel Kechiche (La schivata, Cous Cous, Venere Nera).
Difficile restituire con le parole la forza dirompente del racconto, tratto da una graphic novel, ma lontanissimo da qualsiasi idea di artificialità, che questo di solito comporta.
Nelle tre ore di questi primi due capitoli (ce ne saranno altri, alla Antoine Doinel?) Kechiche mette in scena il formidabile romanzo di formazione di una diciassettene di Lille, Adele: la definizione però è riduttiva e non riesce a descrivere la forza emotiva del lavoro di Kechiche.
Incontriamo Adele una mattina, mentre esce di casa per prendere l’autobus che la porterà al liceo e la lasciamo, alla fine, dopo molti anni, ripresa ancora di spalle, nel momento in cui si chiude uno dei capitoli fondamentali della sua vita e forse se ne apre uno nuovo.
Siamo testimoni delle sue lezioni a scuola, del suo primo amore con un compagno di classe, delle cene con la famiglia, delle sfuriate con le amiche e soprattutto della sua passione per Emma, una ragazza con i capelli blu, incrociata una mattina per la strada e ritrovata poi in un bar.
E’ l’amore, quello senza condizioni, che travolge, lascia senza fiato, che fa piangere e ridere fino allo sfinimento.
Kechiche gira un film di soli primi e primissimi piani, grazie alla scelta di focali corte che sfumano tutto quello che avviene sullo sfondo: questo è il racconto di Adele e del suo mondo, della sua famiglia, del suo lavoro come insegnante, del suo rapporto totale e assoluto con Emma. Il resto non conta.
Kechiche non ci risparmia nulla. Se Adele legge l’amato Marivaux, anche noi lo leggiamo con lei, se va a cena dai genitori, ci sediamo anche noi al tavolo a mangiare le ostriche, se parla di Sartre con Emma o cucina per i suoi amici, sembra quasi di sentire il profumo ed il sapore di quegli spaghetti.
Il volto ed il corpo di Adele è indagato senza sosta, persino nell’intimità. Kechiche non arretra mai, anzi. Non sa cosa sia un’ellissi narrativa, per lui cinema e vita sono la stessa cosa.
Nella discussione sull’esistenzialismo si svela il senso di questo viaggio: l’identità di Adele non eredita nulla dal passato, ma si costruisce giorno per giorno, nelle scelte di libertà che compie con Emma.
Farà discutere la lunghissima scena di sesso tra la protagonista ed Emma, assai esplicita. Kechiche si spinge, nella rappresentazione del piacere e del desiderio, laddove il cinema raramente si è avventurato con altrettanta radicalità.
Ma che peccato sarebbe soffermarsi su quei centimetri di epidermide, trascurando il quadro complessivo, ben più coraggioso e rivoluzionario.
Kechiche come al solito scardina la messa in scena, stressa la finzione cinematografica all’estremo, annulla ogni distanza e forza anche il nostro statuto di spettatori, costringendoci a vedere ed a sentire, facendoci battere il cuore in sincrono con la giovanissima Adele.
Il cinema di Kechiche si nutre da sempre di una riflessione originalissima sulla visione, sulla messa in scena, sullo spettacolo di sè. Cous Cous raggiungeva il suo apice drammatico nel corso della lunghissima danza del ventre della protagonista, che si metteva in mostra per distogliere l’attenzione sul fallimento imminente dell’impresa paterna. Nella Venere Nera si ripeteva molte volte e con insistenza la rappresentazione dello spettacolo della protagonista, prima fenomeno da baraccone, quindi freak da esibire alla ricca borghesia in privato ed infine cavia da sottoporre alla sperimentazione positivista.
Qui siamo di fronte ad una messa in scena ancora più assoluta e totalizzante.
In un festival pieno di maestri e conferme, La vie d’Adele è una sorpresa travolgente, capace di far esplodere sullo schermo tutte le sue contraddizioni.
Kechiche forse sottolinea troppo, indugia sino allo sfinimento su volti e gesti, costruisce due famiglie troppo esemplari, mette a dura prova la pazienza di chi non ha il coraggio di dargli fiducia.
Ma sono difetti minori. Il film è un’esperienza totale, assoluta, che sfugge ad interpretazioni troppo rigide, perchè ha l’imprevedibilità della vita stessa, che si ripropone senza alcun filtro, a distanza ravvicinatissima.
E’ una magnifica ossessione, quella di Kechiche. E’ il cinema che si reinventa di nuovo, in uno sforzo inesausto di verità e bellezza.
La protagonista Adele Exarchopoulos è un miracolo: si dona con coraggiosa incoscienza al cinema di Kechiche, che ricambia con uno dei più indimenticabili film d’amore che si siano visti sullo schermo.
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