Parigi,13 arr.

Parigi, 13 arr. ***

Il tredicesimo arrondissement è un quartiere sulla rive gauche, a sud est di Parigi, una volta prevalentemente operaio, oggi sede della più grande chinatown cittadina. La Gare d’Austerlitz lo collega con Bordeaux e Tolosa.

Qui vive Emilie – origini taiwanesi, studi a Sciences Po, ora impiegata in un call center – nella casa lasciatale dalla nonna, ricoverata in una casa di cura.

All’annuncio per un’inquilina, che occupi la seconda stanza, risponde Camille: non si tratta di una ragazza, come immagina Emilie, ma di un giovane ricercatore di lettere, insegnante di colore.

Tra i due scatta immediatamente una scintilla, solo che lui non ha intenzioni serie, mentre per Emilie la faccenda è diversa.

Quando Camille porta a casa Stephanie, una collega di scuola, le cose precipitano.

Parallelamente, Nora, una trentenne di Bordeaux, che ha lavorato dieci anni nell’agenzia dello zio, dopo le superiori, decide di trasferirsi a Parigi per riprendere gli studi di legge.

Ad una festa, a causa di una parrucca bionda, viene scambiata per Amber Sweet, una cam girl, e in un attimo i social non le danno scampo. Si ritira dai corsi e cerca lavoro come agente immobiliare, trovando l’agenzia in cui lavora Camille, che non sa nulla di come si vende una casa, ma si è stancato delle frustrazioni scolastiche.

Tra i due lentamente si crea una complicità, ma Nora è ancora ossessionata da Amber: la cerca online, vuole parlare con lei, prima negli spazi destinati alle chat erotiche del suo sito, quindi in privato…

Scritto con Céline Sciamma (Ritratto della giovane in fiamme) e Léa Mysius, a partire da tre storie di Adrian Tomine, cartoonist americano di origini giapponesi, spesso autore delle copertine del New Yorker, il film di Audiard appare un strano oggetto non identificato all’interno della sua filmografia.

Girato in bianco e nero, con la consueta eleganza formale, ma anche con una libertà di messa in scena, che ricorda il cinema di Hong Kong degli anni ’90, è un film che cerca di raccontare la fluidità sentimentale di una generazione meravigliosamente complessa, per origini, cultura, studi, ambizioni, aspirazioni.

La precarietà in cui vivono i personaggi di Les Olympiades – alimentata dalla frustrazione per l’inutilità dei propri studi – sembra riflettersi anche nella sfera personale, intima di ciascuno di loro.

Comprendere quello che si vuole veramente è impresa ardua: tra stanze in affitto e lavori provvisori, si sperimenta un po’ tutto – anche con le app di dating – senza legarsi per davvero, cogliendo il momento, aspettando di essere travolti dalla passione.

Sì, ma per quanto?

Il film di Audiard è meravigliosamente dolce, ottimista, guarda ai suoi personaggi con occhio complice, mai giudicante. E’ una commedia sentimentale, che potrebbe benissimo essere ambientata a New York e arrivare dritta dal Sundance.

Audiard sembra voler indagare la distanza che corre tra come ciascuno immagina se stesso e come effettivamente si comporta, cercando di catturare le contraddizioni, l’impulsività dei suoi personaggi, la paura di fallire, che blocca ogni scelta.

Questa volta il regista di Il profeta e Un sapore di ruggine e ossa, Palma d’Oro con Dheepan, sembra nascondersi dietro il lavoro dei suoi collaboratori, dietro la leggerezza di uno script che si allontana decisamente dal suo universo narrativo, per abbracciare una contemporaneità che sembra il frutto del lavoro di un esordiente.

C’è un interesse comune, nel lavoro di Tomine e in quello di Audiard, verso l’indagine della natura umana, declinata nelle solitudini urbane delle nostre grandi città.

Ma il cambiamento per Audiard è rigenerante, radicale, spiazzante: bisogna talvolta dimenticarsi del tutto autori e intenzioni e guardare il film che abbiamo di fronte per quello che è davvero.

Non è il film che ci aspettavamo dal settantenne Audiard, ma che importa? E’ un film coraggioso, intelligente, che travolge e fa sentire ancora tutti i battiti del cuore.

Gli attori sono inediti e indovinatissimi, a partire da Lucie Zhang, che interpreta Emilie con spirito sognante e necessaria praticità. La più nota è Noemi Merlant, già in Ritratto della giovane in fiamme, forse suggerita proprio dalla Sciamma, che ha tuttavia il ruolo più infelice, troppo scritto, un po’ forzato anche nella sua sessualità, mosso da un determinismo narrativo poco naturale.

Il film resta così un po’ sbilanciato: se la prima storia funziona e pian piano riemerge, sino a prendersi il bellissimo finale del film, la seconda, quella di Nora appunto, è più forzata e macchinosa.

E così questa piccola grande antologia sentimentale lascia un senso vitalistico d’incompiuto: la stessa sensazione in cui sembrano vivere perennemente i suoi personaggi.

Una sorpresa.

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