Coproduzione internazionale tutta europea tra Ungheria, Germania, Francia e Italia, girato in inglese, il nuovo film di Ildikó Enyedi, Orso d’Oro a Berlino per Corpo e anima nel 2017, comincia anche questa volta con un’immagine del regno animale.
Nel profondo dell’Oceano, un cetaceo sembra comunicare per suggerire al figlio che non si può controllare l’incontrollabile.
Il mare c’entra eccome in questa storia, perchè il protagonista, il capitano Jakob Störr, lo attraversa sulle navi commerciali alla guida dei suoi uomini.
Quando il cuoco di bordo gli suggerisce di curare il suo malessere con il matrimonio, una volta a terra, Jakob promette all’amico Kodor di sposare la prima ragazza che avrebbe varcato la soglia del ristorante in cui stanno mangiando.
Jakob mantiene la parola e si propone immediatamente alla giovane Lizzy, una socialite di inizio secolo, che vive di amicizie, corteggiamenti, balli e divertimento, con pochi pensieri.
Tra i due sembra nascere un sentimento vero, ma le lunghe assenze di Jakob, accendono il veleno della gelosia, non senza motivo, visto che il subdolo Dedin sembra provare per Lizzy un’affezione decisamente particolare.
Il film si muove così tra litigi e riavvicinamenti, spostamenti ad Amburgo, affari petroliferi, inganni e fughe precipitose, per tre ore che sembrano interminabili.
The Story of My Wife porta su di sè tutto il peso della co-produzione, fin dalla scelta degli attori, passando per la lingua inglese per arrivare ad una messa in scena del tutto ordinaria, da cinema dell’Ancien Régime, già pronto per qualche prima serata televisiva.
Nell’adattamento del romanzo del connazionale Milán Füst datato 1942, la Enyedi si perde in una ricostruzione storica accurata ma celibe, sbaglia il protagonista, il legnosissimo Gijs Naber, che sembra scolpito dallo stesso albero della tolda della sua nave ed a cui la brillante e frivola Seydoux potrebbe preferire pressochè chiunque su questa terra.
Il film vorrebbe raccontare il tarlo dell’ossessione che mina ogni matrimonio, tra infedeltà vere o presunte e sospetti, che finiscono per turbare un equilibrio precario, in cui la fiducia è sempre provvisoria.
Scoperta sensazionale, invero. Che il film ci propina senza sosta, stando ben attento a non scegliere mai un punto di vista.
La storia sarà anche quella di “mia moglie”, ma in realtà il film è tutto sul marito, che cerca di scoprire, sorvegliare, cogliere in flagrante, ma non ci riesce quasi mai.
Lungo la strada Jakob perde anche un paio di possibili alternative, che il film butta via rapidamente.
Il contributo degli attori italiani è francamente imbarazzante: Sergio Rubini è un Kodor sempre sopra le righe, Jasmine Trinca ha una parte che un’attrice del suo calibro non dovrebbe mai accettare.
Il film si chiude su un’apparizione improvvisa, un fantasma del passato che ritorna, come da manuale del buon feuilleton richiede.
Cinema inerte.