Annata prestigiosissima questa di Cannes 76. Fin dai primi giorni abbiamo visto in concorso film belli e bellissimi, necessari e distanti. Arrivati alla fine del concorso ufficiale, ecco che la classifica assume una dimensione definitiva.
Il turco Ceylan, maestro indiscusso, umanista senza retorica, e Wim Wenders sono in vetta. Assieme a loro l’inglese Glazer, all’opposto, glaciale nel raccontare la banalità più disumana dell’orrore. Quindi Kore-Eda, che torna a raccontare l’inganno delle apparenze, di fronte alla forza travolgente dei sentimenti. Il Bellocchio più personale e iconoclasta, un Kaurismaki pienamente dentro il suo mondo narrativo.
Il resto mi è parso un gradino sotto questi tre, con il solido francese processuale Anatomie d’un chute, un Todd Haynes decisamente in ripresa dopo gli ultimi passi falsi, un Wang Bing che rifà se stesso senza dirci nulla di nuovo.
Difficile individuare grandi interpretazioni personali in film che brillano collettivamente ad eccezione di Sandra Huller nel film della Triet e di Koji Yakusho di quello di Wenders.
Questi i titoli del concorso dal migliore al peggiore:
- About Dry Grasses
- Perfect Days
- Monster
- Zone of Interest
- Rapito
- Fallen Leaves
- Anatomie d’un chute
- La chimera
- May December
- Il sol dell’avvenire
- Youth – Spring
- The Old Oak
- Banel & Adama
- La passion de Dodin Bouffant
- Firebrand
- Le retour
- Asteroid City
- L’été dernier
- Blackflies
- Les Filles D’Olfa – Four Daughters
- Club Zero