Cannes 2023. Firebrand

Firebrand **

Dopo il grande successo de La vita invisibile di Eurídice Gusmão che vince Un certain Reagard nel 2019, il settimo lungometraggio del brasiliano di origini algerine Karim Aïnouz è il racconto degli anni da Regina di Caterina Parr, l’ultima moglie di Enrico VIII.

Al suo debutto in una produzione internazionale in lingua inglese, il regista ha scelto una storia notissima nel Regno Unito, raccontata tuttavia da un punto di vista interamente femminile: la voce narrante, che interviene peraltro discretamente solo all’inizio e alla fine, è quella della giovanissima Elisabetta Tudor e la protagonista assoluta è Caterina, cattolica simpatizzante per la riforma, innamorata di Thomas Seymour, fratello della defunta regina, costretta a sposare Enrico VIII che l’aveva chiesta in moglie.

Il film di Aïnouz si sofferma soprattutto sul suo sostegno all’amica Anna, che predicava la riforma della Chiesa e diffondeva nei villaggi le bibbie stampate in inglese in Svizzera, suscitando le ire del Vescovo Gardiner.

Negli ultimi giorni di vita di Enrico VIII, per il timore che il Re possa lasciare alla moglie la reggenza del regno, Gardiner assieme al Lord Protettore Edward Seymour cercano di mettere in cattiva luce Caterina, accusandola di sostenere gli eretici riformisti e di aver tradito il re con Thomas Seymour.

Amatissima dai figli di Enrico VIII e da una parte della corte, riuscirà ad evitare il rogo, anche a causa della morte del Re, per un’ulcera che aveva devastato la sua gamba e si era diffusa poi a tutto il corpo.

Tratto dal romanzo storico di Elizabeth Fremantle del 2012, il film è un altro racconto di emancipazione femminile e mostra un nuovo scontro tra l’ordine sociale, questa volta rappresentato dal Potere della Corte del Tudor, e l’autonomia di figure femminili indipendenti e controverse.

Tuttavia riportare temi e sensibilità modernissime in un contesto del XVI secolo è operazione spregiudicata e piuttosto stucchevole. La ricostruzione di ritratti femminili inverosimili secondo un principio di revisionismo edificante che finisce per appesantire il film in modo pedante e manicheo.

In nome del women empowerment, Aïnouz si perde per strada accuratezza storica, ambiguità narrativa e coerenza drammatica, piegando anche le profondissime questioni religiose che fanno da sfondo al racconto, al gioco della regina.

Se Eurídice Gusmão brillava per costruzione narrativa e capacità di entrare in sintonia con l’esistenza tragica delle due sorelle divise dalla volontà familiare piuttosto che dal destino, questa volta Firebrand non sembra mai animato dalla stessa autenticità. Un film tutto pensato, scritto come un manifesto e declamato per sguardi torvi e barbe posticce da un cast complessivamente modesto. La Vikander fa rimpiangere Michelle Williams che ha sostituito all’ultimo nel ruolo della protagonista: l’espressione costantemente imbronciata, lo sguardo liquido e vuoto continuano a non convincerci.

Una delusione.

 

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