Confessione intima, dichiarazione d’intenti, manifesto poetico: The Book of Solutions di Michel Gondry, che torna a cinema dopo otto lunghi anni di assenza, è tutto questo e molto di più.
Una commedia formidabile, in cui si ride di gusto dal primo minuto all’ultimo, surreale, paranoica, un fuoco d’artificio di idee e soluzioni, appunto.
Come molti registi in questo lungo post-covid, anche Gondry sembra aver scelto di mettere in scena le sue idiosincrasie, le sue manie, la sua fragilità di regista e creativo, affidando al bravissimo Pierre Niney, fisico allampanato, sguardo perennemente illuminato e poi perduto, il suo alter ego sullo schermo, Marc Becker.
La prima scena è una dichiarazione d’intenti: ad una riunione di produzione per Anyone, Everyone, gli executive gli contestato di aver fatto un film cupo incomprensibile, troppo lungo. Il suo produttore li asseconda e allora con la scusa di fumare una sigaretta, Marc timoroso che vogliano distruggere il suo lavoro, fa scattare il “Plan B”: scende in sala montaggio e si porta via computer e consolle, fuggendo con la sua montatrice Charlotte e l’aiuto regista Sylvia, verso la casa dell’amatissima zia Denise in campagna, per terminare lì il montaggio e le musiche.
Qui li raggiunge Carlos, assistente di Charlotte che Marc detesta e non smette di prendere di mira. Buttati via gli psicofarmaci, nella quiete della campagna, il regista torna ad essere insopportabile, ma creativo, ossessivo e generoso, facendo impazzire i suoi collaboratori.
Allestisce un vecchio furgone abbandonato a sala di montaggio sui generis, compone la colonna sonora con un’orchestra che deve interpretare i movimenti del suo corpo, chiede a Sting di suonare le parti mancanti. Avrà anche il tempo di acquistare un casale abbandonato per farne un improbabile quartier generale e di diventare sindaco per poche settimane, distribuendo agli abitanti del piccolo villaggio il suo Libro delle soluzioni, scritto da bambino, fermandosi alla copertina e poi completato nei giorni febbrili del montaggio.
Il film di Gondry è una benedizione. Leggero, brillante, capace di malinconie infinite e di felicità insperate, lontanissimo da qualsiasi auto-indulgenza, Gondry, come il suo alter-ego sembra voler fare ammenda per le sue estrosità imprevedibili, ringraziando tutti quelli che ancora lo sopportano e lo sostengono, in primis l’amatissima zia Suzette a cui il film è dedicato.
Pieno di tenerezze e di sketch irresistibili che sembrano fare di Marc Becker un fratello francese e lunare del Michele Apicella morettiano, The Book of Solutions è il folgorante e imprevedibile diario di una crisi artistica e personale.
Gondry sembra raccontarci le sue manie e le sue paure, quelle di un artista di genio, incapace di confrontarsi con il giudizio degli altri, incostante, bulimico accumulatore di idee per progetti che non si realizzeranno mai.
Alla proiezione finale di Anyone, Everyone chiede al pubblico di non riferirgli critiche e dubbi, ma quando si riaccendono le luci, al suo posto in sala c’è un lunghissimo tunnel scavato durante la proiezione per fuggire lontano dal suo stesso film.
Ma oltre all’autoritratto di un artista impossibile c’è l’affetto sincero e complice verso i suoi collaboratori, quelli capaci di ascoltare le sue follie nel cuore della notte – “rimontiamo il film al contrario, dalla fine all’inizio oppure in modo palindromo, con una piccola animazione a segnare il punto di svolta”.
Necessario e disarmato, complice e libero, The Book of Solutions è uno dei migliori film di Gondry.