Un piccolo villaggio senegalese battuto dal sole implacabile. Banel e Adama sono sposati da un anno e nei loro desideri ci sono solo loro due. Lui è destinato per linea di sangue a diventare capo, ma rifiuta di assumersi la responsabilità.
Lui è Banel sembrano condividere il rifiuto delle convenzioni e delle tradizioni locali: niente figli e il sogno di una casa abbandonata fuori dal villaggio, sepolta dalla sabbia, che giorno dopo giorno cercano di dissotterrare.
Solo che la siccità semina morte nel bestiame e presagi di sventura si accumulano sulle spalle larghe di Adama. L’unione una volta saldissima ed esclusiva con Banel cede di fronte alle responsabilità e alla superstizione.
Il film dell’esordiente Ramata-Toulaye Sy batte bandiera francese, senegalese e maliana, ma la regista è nata e cresciuta nella terra di Voltaire e ha già scritto un paio di lungometraggi ospitati a Locarno e Berlino.
Per questo suo esordio, così come per il suo corto Astel, è tornata però nel Senegal del Nord, nella regione da cui provengono i suoi genitori.
Lo sguardo della regista è indubbiamente maturo e originale, capace di guidare un cast di attori non professionisti con risultati encomiabili e una certa economia di mezzi e capace di evocare nella quotidianità ordinaria del piccolo villaggio squarci apocalittici di rara potenza evocativa, come nel volo dello stormo di uccelli e nella tempesta di sabbia finale, il film è costruito su un intreccio sin troppo esile, in cui la psicologia dei personaggi è scolpita sin dall’inizio e impressa nel loro carattere, non nelle esperienze o nella cultura.
Se la prima parte appare fragile e anche stucchevole nella sua chiusura romantica un po’ infantile, Banel & Adama cresce alla distanza, trovando forse troppo tardi la sua dimensione più autentica.
Il destino è immutabile dice Banel ad un certo punto e sembra non accorgersi che il suo rivoltarsi alle convenzioni del villaggio è proprio un tentativo di rovesciare il proprio, con gli esiti che lei stessa potrebbe immaginare.
A lungo si fatica ad entrare in sintonia con Banel e i suoi desideri, se non considerando il suo personaggio come una sorta di Lady Macbeth capace di avvelenare con la sua rabbia il suo rapporto con Adama e quello con l’intero villaggio.
La follia di Banel si manifesta appieno solo alla fine, segno di una sorta di maledizione che pesa su di lei e sugli altri, in modo potente e misterioso al contempo.
Il film della Sy è indubbiamente affascinante e ha il pregio di un finale maestoso, che non si nega echi metafisici, tuttavia in altri tempi avrebbe trovato miglior spazio alla Quinzaine o a Un certain regard.