In un mondo in cui la vita di ciascuno segue routine più o meno faticose, all’improvviso tutto viene sconvolto da una pandemia causata non da un virus, ma da un fungo che riesce a infettare il corpo umano modificandone non solo la percezione, ma anche la volontà. Il fungo in questione, del genere Cordyceps, esiste ad oggi nelle foreste tropicali e subtropicali e attacca insetti e aracnidi: nella versione distopica della realtà raccontata dalla serie il cambiamento climatico ha reso questo fungo adattabile alla temperatura corporea dell’organismo umano e capace quindi di infettarlo. L’ispirazione è nata dall’Ophiocordyceps unilateralis, un fungo parassitario che, crescendo nel corpo delle formiche della specie Camponotus leonardi, prima ne modifica il comportamento, allontanandole dalle altre, poi le consuma dall’interno fino alla morte. E’ quindi una base di partenza realistica quella su cui si innesta la storia post-apocalittica che vede come protagonisti Joel (Pedro Pascal) ed Ellie (Bella Ramsey). Joel è un impresario edile che è riuscito a sopravvivere per oltre vent’anni alla pandemia, superando il lutto per la perdita della giovane figlia, venendo a patti con il suo senso morale e finendo così per allontanare il fratello Tommy (Gabriel Luna), un ex-soldato idealista di cui non ha più notizie da tempo. Ellie è invece una giovane adolescente presa in consegna dalle Luci, un movimento che contrasta il potere assoluto della FEDRA, la Federal Disaster Response Agency, perché sembra avere una qualche forma di immunità all’infezione del fungo. I due si trovano ad affrontare insieme un lungo viaggio quando Joel si impegna, per soddisfare l’ultimo desiderio dell’amica Tess (Anna Torv) ad accompagnare Ellie alla base medica delle Luci dove si spera che i dottori possano capire cosa la rende immune dalle spore del fungo e trovare così una cura estendibile a tutto il genere umano.
La serie si inserisce pienamente in quel clima culturale e produttivo di ri-mediazione che caratterizza questi nostri ultimi anni, dato che è l’adattamento televisivo dell’omonimo videogioco di successo del 2013. Creata da Craig Mazin (showrunner di Chernobyl) e Neil Druckmann (produttore esecutivo e autore dei videogiochi), fin dalle prime notizie sul web la produzione è stata accompagnata da un fitto dibattito tra i fan della saga. Questo naturalmente ha amplificato l’attesa per quello che è stato un debutto da record, superiore per numero di streaming a quello di House of the Dragon. La prima stagione vede in regia, acconto allo stesso Druckmann e a Mazin, autori già affermati come Jasmila Zbanic (Quo vadis Aida?) e Jeremy Webb (Locke & Key, The Umbrella Academy) Gli attori principali sono Pedro Pascal (The Mandalorian) e Bella Ramsey (Game of Thrones), ma non mancano attori non protagonisti di valore assoluto come Nick Offerman/Bill (Parks and recreation, Fargo), Melanie Lynskey/Kathleen (Yellowjackets, Mrs. America), Troy Baker nel ruolo di James e Storm Reid (Euphoria) che interpreta Riley Abel. Di ottima fattura anche la colonna sonora e in particolare le musiche originali di Gustavo Santaolla, lo stesso autore di quelle del videogioco. La sua musica riesce a supportare al meglio le immagini, raggiungendo così l’obiettivo di comunicare il messaggio degli autori, che non è la resistenza al virus, alla barbarie e alla de-umanizzazione, ma al contrario il concetto di umanità nei suoi valori positivi.
In questo la storia d’amore di Bill e Frank (Murray Bartlett) è di importanza capitale: la loro unione non è solo la vicinanza tra due uomini che provano attrazione fisica l’uno per l’altro, ma porta la sublimazione di ciascuno dei due. Le qualità organizzative, la cura e l’attenzione di Bill e la vena artistica e relazionale di Frank vengono illuminate reciprocamente. La loro storia d’amore esprime quel senso del bello che percorre tutta la serie, dai paesaggi urbani alle distese innevate, dalla musica dei Depeche Mode al desiderio di socialità attorno a una tavola. Quella che dovrebbe essere una cupa serie apocalittica in realtà innalza un inno laico ai valori della vita e lo fa con una sobrietà di grande impatto visivo ed emotivo. La fotografia, diretta da Eben Bolter, è affascinante, specie nella luce degli esterni, mentre il comparto del trucco ha fatto un lavoro davvero impressionante per rendere la trasformazione dei corpi operata dal fungo. Dal loro lavoro dipendeva una parte importante della credibilità della storia.
Quella che dal plot sembrerebbe una delle numerose storie di zombie e di resistenza post-apocalittica è qualcosa di più: potremmo forse dire che la pandemia è solo la cornice che racchiude una molteplicità di temi e situazioni, ma anche questo non sarebbe corretto. La pandemia è importante perché esprime al meglio il tema della paura, centrale nel raccontare l’essere umano nelle sue fragilità, isterie, nei suoi sogni e desideri. La pandemia, sia essa causata da un virus o da un fungo è la concretizzazione delle paure inespresse, taciute, rimosse dell’essere umano.
In questo caso l’infezione viene davvero dalla natura, quella natura che l’uomo ha portato fin sull’orlo del precipizio e che ora si riprende i suoi spazi, coprendo le strade ferrate, i ponti, i grattacieli. Oltre al rapporto uomo-natura, all’hybris umana, c’è poi il tema della famiglia nelle sue varie declinazioni e nella sua molteplicità di relazioni. E’ soprattutto il valore educativo, formativo, della relazione interpersonale, dentro e fuori la famiglia, ad essere descritto con grande efficacia. Tutti i personaggi crescono nel corso della vicenda, aprendosi agli altri e accogliendo quello che la vita mette loro davanti. E non sempre è un’operazione facile. Cresce soprattutto la relazione tra Joe ed Ellie, senza fretta, passo dopo passo, fino a diventare un rapporto solido e profondo come quello padre-figlia, forse anche più di quello fondato sul sangue. Entrambi si aprono progressivamente alla possibilità di una relazione che trasforma la loro visione del mondo, che dà senso alla loro esistenza. Non è diverso per il già citato rapporto tra Bill e Frank, così lontani per temperamento e interessi. Nel corso del racconto ci sono anche storie di amicizie, brevi ma importanti, come quella tra Ellie e Sam o come quella tra Joe e Tess. Nei suoi alti e bassi anche la relazione tra Joe e il fratello Tommy appare sincera e ricca di valori positivi. Il loro abbraccio dopo la lontananza è uno dei più profondi che ricordi. Non è quindi un’umanità annichilita e deprivata della propria essenza quella che vediamo rappresentata, anche se, va detto, non mancano i casi di violenza, imbarbarimento e sopraffazione, come testimonia l’ottavo episodio, When We Are in Need.
Nel complesso la parte action non è preponderante, ma è ben dosata e, soprattutto, è difficile resisterle per ritmo e scossa adrenalinica. L’alternarsi di drama, road movie ed action conferisce al racconto una sua specifica capacità affabulatoria che ben si inserisce nel mix di generi della serialità contemporanea. Il tono lieve e scanzonato di Ellie fa poi da contraltare alla cupezza di Joe ed alleggerisce molte situazioni drammatiche.
Naturalmente la serie è confermatissima anche per la seconda stagione: se riuscirà a non deludere le aspettative dei fan e allora davvero HBO avrà trovato una produzione in grado di segnare l’immaginario dei prossimi anni.
TITOLO ORIGINALE: The Last of Us
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 60 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 9
DISTRIBUZIONE STREAMING: Sky, Now TV
GENERE: Drama, Sci-Fi, Horror, Action, Road Movie.
CONSIGLIATO: a quanti cercano una serie Tv post apocalittica con al centro le persone, le loro paure, le loro aspirazioni, i loro desideri. Una serie umanista dal grande impatto visivo e musicale.
SCONSIGLIATO: a quanti non vogliono confrontarsi con situazioni estreme e che di pandemie ne hanno avuto a sufficienza o, al contrario, a quanti cercano una serie tutta azione e adrenalina: qui c’è molto di più, ma bisogna avere la pazienza per coglierlo.
VISIONI PARALLELE: ambientata in uno scenario che non è post-apocalittico, ma certamente post-nucleare, la miniserie Chernobyl, creata da Craig Mazin è e quanto di più vicino a The Last of Us possiamo trovare per la capacità di raccontare l’umanità in una situazione estrema.
UN’IMMAGINE: tra i momenti più iconici, certamente la bella sigla che, sul modello ormai standardizzato di GOT, unisce il tema originale di Gustavo Santaolla con la ramificazione del Cordyceps nel mondo. E’ una diffusione inarrestabile che ha il sapore della rivincita della natura sull’uomo e che porta al finale, con due figure che si intravedono sullo sfondo diventato più luminoso: sono Joel ed Ellie.