The Umbrella Academy ***
The Umbrella Academy inizia con un mistero: siamo nel 1989 e improvvisamente 43 donne, in parti diverse del mondo, partoriscono nello stesso istante. La cosa bizzarra è che nessuna di loro, fino ad un momento prima, sapeva di essere incinta. L’eccentrico miliardario Reginald Hargreeves (Colm Feore, già Harrison in Chicago) si mette alla ricerca di questi bambini: ne trova 7 e riesce ad adottarli, pagando le madri per convincerle a lasciargli i figli. Il motivo? I bambini sono dotati di superpoteri e lui intende prepararli per salvare il mondo.
Subito dopo, con uno dei frequenti salti temporali che caratterizzano la serie, veniamo proiettati avanti nel tempo e ritroviamo così i sette bambini adulti e più dei loro superpoteri siamo messi a conoscenza della loro difficoltà a vivere la vita di tutti i giorni.
I membri di questa particolarissima Accademia sono: Luther – Numero 1 (Tom Hopper, già Dickon Tarly in Game of Thrones) il leader del gruppo e l’unico dei figli adottati da Hargreeves a mantenere un certo rispetto verso il padre. Si presenta come un omone alto e muscoloso che galleggia sulla superficie lunare, il che rappresenta il suo modo di essere: un misto di forza, purezza e infantilismo; Diego – Numero 2 (David Castaneda, già Hector in Soldado) pur contestando la leadership di Luther non sembra in grado di essere una vera alternativa; conduce un’oscura lotta al crimine, vigilante sorretto da una propria particolare sete di giustizia.
Vestito di pelle e abilissimo nell’uso dei coltelli, Diego è alla perenne ricerca del supporto di una figura femminile che incarni i buoni sentimenti, oscillando tra la devozione alla madre Grace (un robot) e la nostalgia per l’ex compagna, la detective Eudora Patch (Ashley Madekwe); Allison (Emmy Raver-Lampman) ovvero Numero 3 è una famosa attrice e quindi, a differenza dei fratelli, sembrerebbe avere raggiunto i propri obiettivi anche grazie al suo ‘talento’ e cioè costringere le persone a fare quello che sussurra loro, tuttavia la crisi del suo matrimonio e il fatto che la figlia sia stata affidata al marito testimoniano una problematicità nelle relazioni personali simile a quella degli altri.
In pantaloni corti e abbigliamento da studente, Numero 5 (Aidan Gallagher) ha l’aspetto di un ragazzino, ma la mente di un uomo di 58 anni. Brillante e determinato, è pronto a tutto per fermare l’apocalisse, sfruttando al meglio la propria capacità di viaggiare nello spazio e nel tempo e l’esperienza da killer maturata in anni di servizio per la Commissione che governa il regolare evolversi degli eventi. Con una forte disfunzionalità emotiva, se ne va in giro in compagnia di un manichino che cura e tratta come la compagna della propria vita, Ben (Justin H. Min), Numero 6 è morto e l’unico in grado di vederlo è Klaus – Numero 4 (Robert Sheehan, già Nathan Young in Misfits) che cerca di tenere sopito il proprio talento e cioè parlare con i morti, abusando di ogni tipo di droga.
Klaus oltre che uno dei personaggi più amabili, con i suoi estremismi emotivi e l’outfit sempre eccentrico, presenta l’arco narrativo più compiuto e, sebbene emarginato nel gruppo, con il passare del tempo diventa una risorse determinante per la salvezza del mondo. Vanya (Ellen Page, già protagonista di Juno), cioè Numero 7 è da sempre ai margini della vita familiare: non compare nelle foto e negli articoli sui quotidiani perché non partecipa alle missioni dell’Academy dato che non ha superpoteri (o almeno così sembrerebbe). Proprio da lei e dal suo scoprirsi passerà la seconda linea narrativa che andrà poi ad integrarsi con la principale, cioè il tentativo di fermare l’apocalisse, nel finale di stagione.
Riuniti dalla morte del padre i membri dell’Academy devono fronteggiare una notizia tutt’altro che semplice da digerire: il mondo finirà tra 8 giorni.
Ai figli adottivi di Hargreeves si aggiungono altri personaggi degni di nota, come il maggiordomo Pogo, un saggio e posato scimpanzé parlante o la bella Grace, governante- mamma – robot ed espressione della parte femminile/affettiva (anima) del rude Reginald Hargreeves.
I personaggi che lasciano il segno però sono soprattutto i villains. L’algida Handler è un membro di spicco della Commissione ed è impegnata lungo l’arco dei tempi a fare di tutto perché le cose vadano come devono andare e l’apocalisse si realizzi senza intoppi. La coppia di sicari Cha-cha (Mary J. Blige!) e Hazel (Cameron Britton, già nella mitologia seriale per aver interpretato Edmund Kemper in Mindhunter) è una delle meglio assortite degli ultimi tempi. Iconici nei propri completi blu elettrico, surreali negli scarni dialoghi in auto o in albergo, tra una comunicazione della Commissione ed una ciambella, uniscono competenza nella realizzazione dei compiti loro affidati ad una sostanziale impermeabilità affettiva.
Essi ricalcano il modello del sicario di Tarantino (uno dei marchi di fabbrica dell’autore americano): killer spietati durante il lavoro, ma per il resto persone comuni, con problemi banali ed affetti sinceri. Nel caso di Hazel l’affetto trova un catalizzatore nella commessa di un negozio di ciambelle e l’amore per la donna rende possibile la decisione di abbandonare il proprio lavoro da killer.
Una delle caratteristiche più affascinanti di Umbrella Academy è la capacità affacciarsi sul tempo, come dal balcone di casa. I salti nel passato sono frequenti ed è naturale perché la storia è basata sul presente di uomini che sono l’evoluzione di bambini a cui è stata inferta (è il termine giusto data la severità e l’anaffettività del miliardario) un’educazione rigidissima: rivivere l’infanzia dei membri dell’Academy vuol dire scoprire l’origine dei loro poteri e delle problematicità attuali; ma ci sono anche numerosi salti temporali nel futuro che riguardano soprattutto Numero 5.
A complicare la situazione c’è poi la Commissione con la sua collocazione a-spaziale (un non luogo che ricorda la campagna inglese) e a-temporale (un futuro che per abbigliamento e organizzazione del lavoro ricorda tanto i primi anni ’60 del Novecento). Il fatto che lo spettatore medio riesca a seguire questi frequenti sbalzi temporali senza particolari difficoltà è un’ulteriore dimostrazione di come sia maturata la capacità di lettura del prodotto seriale.
Il mondo in cui avviene la vicenda appare come una rappresentazione verosimile, ma non speculare, del nostro mondo: è difficile dire di preciso in che momento storico ci troviamo (si pensi all’uso diffuso delle cabine telefoniche o alla macchina da scrivere con cui Vanya redige il suo libro). Un altro elemento che dimostra l’importanza del tempo e delle sue variazioni è la presenza di un episodio, il sesto, che si intitola “The day that wasn’t” e ci racconta una giornata che nel finale viene letteralmente stravolta da una scelta di Numero 5 che cambia il flusso degli eventi: vedremo quello che accadrà realmente nell’episodio successivo, cioè “The day that was”. Le variazioni saranno solo parziali, ma tanto basta per rappresentare in modo efficace l’affermazione di Alan Turing:
«Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza.»
Numero 5 fa riferimento in modo esplicito a questo concetto, richiamando la teoria formulata successivamente da Lorenz e che noi normalmente definiamo “Effetto farfalla”.
C’è un sostanziale ripiegamento su se stessi che pervade tutti i membri dell’Academy e che sembra tradursi per gran parte dell’arco narrativo nel rifiuto dell’interesse collettivo. Il loro essere disadattati va di pari passo con un egoismo che li allontana dal mondo e anche dalla propria famiglia: l’odio nei confronti del padre, che accomuna molti (diremmo tutti tranne Luther e Numero 5 che peraltro sembra piuttosto indifferente) non è altro che un catalizzatore di un diffuso disagio verso gli altri. Gli eroi che in epoca classica erano buoni e belli e salvavano il mondo dai malvagi hanno percorso una parabola che li ha resi indifferenti al mondo e pre-occupati soprattutto di salvare se stessi.
Il male non è più fuori, ma dentro e tra di loro. Anche chi sembra spendere la vita per salvare il mondo ed evitare l’apocalisse, cioè Numero 5, smaschera la propria dipendenza da questa missione quando, bevendo un Margarita, si chiede cosa farà dopo aver evitato la fine del mondo. Il motore del suo comportamento è la risoluzione della missione in sé e quindi non esita a pensare di uccidere persone innocenti se questo può in qualche modo portare al raggiungimento dell’obiettivo.
Il terzo tema rilevante è la fine del mondo, l’apocalisse incombente. Un macrotema da sempre rappresentato per le sue capacità fascinative nei confronti dello spettatore e particolarmente adatto per esaltare eroismo e resistenza della razza umana. All’interno però del topos ci sono delle distinzioni rilevanti, ad esempio tra causa esterna (alieni o virus, come in Colony o nel recente The Rain) e causa interna (azione umana, l’episodio Metalhead della quarta stagione di Black Mirror o The Umbrella Academy appunto); tra fine della civiltà, ma non della Terra (The Walking Dead) e la distruzione di entrambe (Terra Nova).
In questo caso la minaccia non proviene dall’esterno, ma dagli stessi uomini. Le paure del genere umano (anche le più inconsce) sono state spesso oggetto di rappresentazione nelle serie tv e nei film: è quindi evidente che ci troviamo di fronte a qualcosa di più forte di una semplice coincidenza. Torneremo sul tema in futuro, non fosse altro che per l’uscita della serie Good Omens che, sebbene in ritardo sulle attese, dovrebbe essere finalmente rilasciata da Amazon Prime il prossimo 31 Maggio.
Gran parte della vicenda narrata in questa prima stagione copre sette dei dieci volumi dell’omonimo fumetto ideato da Gerard Way, tra le altre cose cantante dei My Chemical Romance, e disegnato da Gabriel Ba’. L’abilità degli attori contribuisce non poco alla godibilità e alla fluidità della narrazione orchestrata con sapienza da sceneggiatori esperti come Jeremy Slater (The Exorcist, Fantastic Four) che hanno saputo dosare e miscelare con precisione effetti speciali, hit musicali pop, colpi di scena e fiotti di sangue in un mix che non inventa niente, ma che risulta coinvolgente e di ottima fattura.
La serie vuole essere soprattutto piacevole a vedersi e raggiunge il suo scopo, creando una forte empatia tra i protagonisti e lo spettatore. Peccato solo che talvolta vengano sacrificate coerenza e introspezione dei protagonisti per favorire l’intrattenimento.
La produzione è già alla ricerca della location per la seconda, confermatissima, stagione.
Titolo originale: The Umbrella Academy
Numero degli episodi: 10
Durata media ad episodio: 50 minuti
Distribuzione streaming: Netflix
CONSIGLIATO: a quanti amano i personaggi che portano sulle spalle uno zaino pieno di contraddizioni e di ambiguità e che, senza troppi ideali per la testa, sono consapevoli del fatto che alzarsi domani mattina sarà la sfida più difficile. Chi si ferma è perduto.
SCONSIGLIATO: a chi è stanco di eroi, supereroi, uomini con poteri etc. che non sanno più fare il loro mestiere e che vivono peggio delle persone normali, senza concludere granché e senza uno straccio di ideale per migliorare il mondo.
VISIONI PARALLELE:
The Hunting of Hill House. Un’altra famiglia di fratelli accomunati da un’infanzia burrascosa, segnata da traumi che hanno incrinato il rapporto con il padre e rovinato la propria esistenza da adulti. Anche in questo caso c’è un membro della famiglia che ha scritto un libro su quanto è successo, anche in questo caso c’è un fratello in difficoltà con il consumo di droghe e la riunione della famiglia avviene in occasione di un funerale. Poi le analogie si fermano e la storia si inserisce in pieno nel genere horror con un’intensa esplorazione del dramma familiare che non è solo strumento narrativo, ma oggetto di un’analisi impietosa e caustica. Per chi avrebbe voluto maggior introspezione e più attenzione al dramma familiare.
UN’IMMAGINE: al termine del primo episodio tutti i membri della famiglia, ciascuno nella propria stanza di una casa senza pareti, come fosse una casa di bambole, ballano al ritmo della musica di “I think we’re alone now”. Anche il maggiordomo Pogo batte il piede, mentre legge compostamente il giornale. La canzone scritta da Ritchie Cordell e interpretata tra gli altri da Tiffany è un piccolo manifesto dello stato in cui si trovano i fratelli Hargreeves in questo momento, sospesi in un misto di sentimenti contrastanti.