Venezia 2020. Quo Vadis Aida?

Quo Vadis Aida? **

La bosniaca Jasmila Žbanić, già Orso d’Oro a Berlino, per il suo esordio con Il segreto di Esma nel 2006, torna con questo Quo Vadis Aida? alla guerra serbo-bosniaca e in particolare ad uno degli eventi più infami e sconvolgenti di quel conflitto, ovvero l’assedio e il massacro dei civili a Srebrenica nel luglio del 1995.

Un genocidio che non bisogna smettere di ricordare.

La città della Bosnia, assediata dalle truppe serbe del generale Mladic, si affida ad un ultimatum dell’ONU, che promette di far intervenire i suoi bombardieri, se l’esercito fosse entrato a Srebrenica.

Il comando olandese delle Nazioni Unite resterà invece inerte e complice, quando Mladic e i suoi sgherri faranno strage di politici e civili, entrando nel campo protetto e promettendo un trasferimento pacifico della popolazione, che si sarebbe invece concluso con l’ignominia delle fucilazioni di tutti i cittadini maschi tra i 12 e i 77 anni e con i loro corpi gettati nelle fosse comuni.

Se questo è il contesto storico che il film della Žbanić vuole giustamente riportare alla memoria dello spettatore, la sua storia è quella di Aida, una professoressa d’inglese che lavora per il comando ONU come traduttrice.

Lotterà fino all’ultimo per salvare marito e figli, coinvolgendo il primo nelle trattative con Mladic e cercando di far passare i secondi come impiegati delle Nazioni Unite.

Di fronte allo sterminio di migliaia di civili inermi, la sua è una storia personale, piccola se volete. I suoi affanni per salvare la sua famiglia tuttavia perdono forza di fronte al sacrificio di tutti gli altri.

Tuttavia la Žbanić non riesce a sottrarre la materia incandescente dall’idea di un racconto singolare, iperclassico nella sua progressione drammatica, manicheo nel suo modo di raccontare i fatti.

Il film è un drammone di guerra vecchio stile, che vorrebbe fare la morale all’ONU, incapace e impotente, se non ingenuo e complice delle atrocità serbe.

Bene, siamo d’accordo, ma il modo con cui la Žbanić racconta è quasi sempre grossolano, melodrammatico, privo di grandi sfumature, più adatto ad una fiction vecchia scuola.

Il suo è cinema old style, didascalico.

La mozione degli affetti e il cinema civile finiscono persino per collidere in questo Quo Vadis Aida, quando l’affanno e la testardaggine di Aida, sembra essere molto personale, molto egoista, di fronte ad un genocidio, che ha coinvolto quasi 8.000 mussulmani bosniaci.

La Žbanić non intende neppure collegare il filo del nazionalismo serbo di allora con l’affermazione di movimenti sovranisti in grande parte dell’Europa odierna.  Il suo film resta ancorato al passato e non intende uscirne.

Divisi con l’accetta i buoni e i cattivi di questa storia, il film procede come da manuale, trovando forse solo nel finale, ambientato anni dopo la fine della guerra, quando Aida ritorna a Srebrenica nella sua casa e nella sua scuola, una commozione vera, un respiro finalmente morale, uno sguardo originale su quella guerra fratricida che ha devastato i balcani.

E’ un colpo di coda che sa solo vale il film, assieme all’interpretazione generosa di Jasna Đuričić, che dona ad Aida l’urgenza e la testardaggine di chi ha compreso il pericolo e le sue proporzioni e non si arrende neppure di fronte al destino.

Un ruolo femminile forte, risoluto, testardo: un personaggio, questo sì, costruito con accenti di verità.

Peccato che il resto del film, attorno a lei, resti un lodevole, ma inconsistente tentativo di onorare la memoria di una delle pagine nera della storia europea di fine Novecento.

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