“E’ una notte in Italia che vedi, questo taglio di luna,
freddo come una lama qualunque e grande come la nostra fortuna”.
Per il poliziotto della mobile Franco Amore è l’ultima notte, prima della pensione di anzianità dopo trentacinque anni di servizio. A casa l’aspettano Viviana, la giovane seconda moglie, assieme agli amici e colleghi per una festa a sorpresa. Dalla Germania si collega la figlia, ormai grande che studia all’estero.
Una chiamata improvvisa del capo lo richiama al lavoro, sotto un cavalcavia dell’autostrada dove ci sono i corpi del collega Dino, uno dei suoi migliori amici, crivellato di colpi, due cinesi – un uomo carbonizzato dentro un’auto e una donna che ha trovato la morte appoggiata al guard rail – e infine un’agente dei carabinieri con la gola squarciata.
Una strage per un carico pericoloso che non si trova.
Il nastro si riavvolge velocemente: dieci giorni prima Franco ha salvato la vita ad un losco imprenditore cinese, che gli offre come ricompensa di aiutarlo ad aprire un società di sicurezza privata, che intende usare però soprattutto per i suoi traffici di diamanti e pietre preziose.
Franco è titubante, pensieroso, incerto se accettare, ma è convinto da Viviana e dal cugino Cosimo, un orafo che vende orologi ai calciatori e sembra avere buone entrature con la ‘ndrangheta. Forse è proprio per queste parentele scomode che Franco non ha mai fatto carriera, nonostante sia un poliziotto integerrimo, che non ha mai aperto il fuoco nei suoi lunghi anni di servizio.
La proposta dei cinesi è troppo allettante per rifiutare, ma spingerà il protagonista fino a quel sottopasso maledetto.
Andrea Di Stefano, attore nato a Roma, trasferitosi a New York per studiare recitazione all’Actors Studio, era già stao protagonista nel 1997 de Il principe di Homburg di Bellocchio, poi de Il fantasma dell’Opera di Argento e Almost Blue di Infascelli, prima di accettare altre piccole parti in Cuore Sacro, Prima che sia notte, Vita di Pi, Nine, Mangia prega ama e quindi in un po’ di televisione minore. Quando la sua carriera d’attore sembrava scemare, il debutto da regista con Escobar, interpretato da Benicio Del Toro, seguito da The Informer, con Joel Kinnaman, Clive Owen, Ana De Armas e Rosamund Pike, due produzioni internazionali prestigiose, ma non troppo fortunate.
L’ultima notte di Amore è il suo primo film italiano ed è certamente il suo più indovinato, riuscendo a fondere con una certa determinazione, gli elementi più ricorrenti del polar francese con un milieu criminale che vorrebbe ispirarsi alla Milano di Scerbanenco e Di Leo, aggiornandola alla realtà odierna.
Tuttavia non ci sono omaggi o intenti citazionisti nel suo lavoro, quanto forse il desiderio di ripercorrere con competenza una strada già battuta da altri in passato, ma facendolo nel rispetto di un realismo urbano che non può fare a meno della contemporaneità.
Il film si apre con una lunga e articolata ripresa aerea notturna di Milano, che le dona un fascino metropolitano inconsueto e misterioso.
Molti elementi arricchiscono il lavoro scritto da Di Stefano con un autentica passione di genere, ma non senza qualche evidente sbavatura: ritroviamo il senso di un destino incombente, una certa costruzione drammatica in cui l’azione lascia il posto alla stasi, la tensione costante che si nutre dell’ossessione del protagonista, il rovello morale che complica le soluzioni più semplici.
Se il meccanismo drammatico prende qualche scorciatoia e rimastica topoi usurati, la gestione dei tempi dell’azione, la costruzione della tensione e la gestione dello spazio sono realmente riusciti.
Ad aiutarlo il solito monumentale Pierfrancesco Favino, che riesce a rendere credibile il travaglio interiore di un uomo onesto finito in un gioco più grande di lui. Il suo è un personaggio taciturno, reattivo diremmo, in balia del piccolo mondo che lo circonda, incapace di dire di no. Favino interiorizza con grande sensibilità interpretativa tutto un universo di piccola routine poliziesca, che ha finito per lasciarlo indifeso. Al calabrese Franco Amore è rimasta addosso un po’ della cadenza araba del Felice Lasco di Nostalgia, ma è forse solo un’impressione.
Piuttosto indovinata la Viviana di Linda Caridi, ambiziosa e determinata per la sua parte, la cui bravura, già notata in Lacci di Luchetti, avrebbe meritato meno primi piani: la sua è una recitazione fisica, esuberante, che dona spessore ad un personaggio le cui intenzioni non sono sempre chiare, che tuttavia rifiuta il ruolo di vittima, in nome di un vitalismo, mai rassegnato.
Francesco di Leva ha un ruolo troppo piccolo per emergere davvero, mentre Antonio Gerardi nonostante qualche imprecisione d’accenti, è il solito mattatore questa volta abbondantemente sopra le righe.
La fotografia di Guido Michelotti e il montaggio di Giogiò Franchini sono essenziali in un impresa del genere e restituiscono tutta la fatalità della notte milanese, muovendosi con una certa eleganza nelle pochissime location scelte da Di Stefano. La musica di Santi Pulvirenti rimane sempre discreta con qualche eco dei lavori di Bacalov e Morricone per i polizieschi degli anni ’70, lasciando talvolta il passo ad un pugno di classici italiani.
L’ultima notte di Amore è film di genere per una volta convincente, che intrattiene mantenendo le promesse, trovando anche una chiusura di grande efficacia, che non si dimentica in fretta.
La fortuna di Franco Amore finisce all’alba. Quella del suo film speriamo duri più a lungo.