The House of the Dragon ha al centro del racconto, fin dal titolo, la storia di House Targaryen. Per chi non lo sapesse, nel mondo immaginato dallo scrittore G.R.R. Martin, Westeros, Casa Targaryen è tra le più antiche e soprattutto è l’unica che può controllare i draghi ( o meglio, come vedremo nel finale di stagione, provarci). Questi animali fantastici incuterebbero terrore anche nella nostra civiltà ipertecnologica, figuriamoci nel mondo medievale in cui sono ambientate le vicende fantasy di questa serie e della celebre Game of Thrones, i cui avvenimenti sono successivi di circa 200 anni. Per i fan della pluripremiata serie HBO è impossibile, vedendo la giovane principessa Rhaenyra di spalle, non pensare a Daenerys: simile è la determinazione, il piglio e naturalmente la fisicità, con i peculiari capelli color argento, segno distintivo, insieme ai draghi, di Casa Targaryen. Rhaenyra (Milly Alcock e Emma D’Arcy) è la figlia di Viserys il Pacifico (Paddy Considine) che governa i sette Regni all’apice della forza della sua casata. Egli però non riesce ad avere un legittimo erede maschio e così, dopo la morte della moglie, Aemma Arryn, durante il travaglio del parto, decide di nominare erede al trono proprio Rhaenyra. Negli anni successivi però il re si risposa con la figlia del Primo Cavaliere, Alicent (Emily Carey prima e Olivia Cooke dopo), dell’antica casata degli Hightower e da questa ha tre figli, di cui due maschi. In una società sessista e patriarcale, era improbabile che una donna potesse ottenere il trono in presenza di altri pretendenti maschi. Lo stesso Viserys aveva ottenuto la corona a scapito della cugina, Rhaenys (Eve Best), la “Regina Che Non Fu Mai” poi sposa di Corlys Velaryon. E’ naturale quindi che il conflitto tra Alicent e Rhaenyra, amiche d’infanzia, si acuisca con il passare del tempo, andando di pari passo con la perdita di lucidità e forze da parte di re Viserys. Una lotta che coinvolge progressivamente le altre casate, delineando due fazioni, quella dei “verdi” Targaryen-Hightower e quella dei “neri” Targaryen-Velaryon, entrambe pronte a tutto pur di ottenere il potere. Nel finale di stagione questa rivalità deflagra, dando inizio alla Danza dei Draghi, una guerra per la successione senza esclusione di colpi.
HOTD, prequel e spinoff di GOT, è una storia più racchiusa, più attenta alle dinamiche familiari, più politica e meno avventurosa. Questo senza voler cancellare l’importanza dell’azione e la tensione narrativa, ma entrambe tendono a svilupparsi in un terreno, per così dire, domestico. In GOT il moltiplicarsi dei campi d’azione e il coinvolgimento di numerose casate offriva un respiro più ampio all’azione e una molteplicità di personaggi per cui parteggiare. La polarizzazione in due fazioni e la mancanza di un nemico esterno in grado di sparigliare le carte, rende la storia di HOTD meno imprevedibile e più decifrabile nei suoi sviluppi. Questo però non modifica il meccanismo narrativo: al centro c’è sempre il personaggio, con le mille sfumature emotive che lo rendono più o meno accattivante: il pubblico rinegozia quindi costantemente il giudizio sui protagonisti. Pochi personaggi peraltro riescono in questa prima stagione a tenere il passo delle due protagoniste: forse il solo Viserys ha lo spessore umano e narrativo per conquistare lo spettatore al pari di Alicent e Rhaenyra che cannibalizzano gli altri personaggi. Ci sono dei momenti in cui Daemon (la parte iniziale) e Rhaenys (la parte finale) riescono a catalizzare le simpatie degli spettatori, ma la loro è una capacità non continuativa, con alti e bassi. Al centro della vicenda ci sono le due regine, non a caso due donne forti e ricche di sfumature emotive. La predilezione per i caratteri femminili è preponderante nella sceneggiatura di Ryan Condal (peraltro supportato dalla consulenza di J.R.R. Martin), finendo per limitare il campo d’azione dei personaggi maschili.
I generi toccati da GOT erano molto articolati, passando dal racconto di formazione all’horror, dall’epica cavalleresca al dramma politico. In questa serie invece lo spettro dei generi è minore e si esaurisce nel dramma familiare/politico con il valore aggiunto di diversi momenti di combattimento. Anche a livello di temi trattati assistiamo ad una riduzione: il nostro spin-off si focalizza sul ruolo della donna e sul concetto di potere, mente in GOT lo spettro era più ampio e soprattutto in costante divenire perché i personaggi crescevano passo a passo, lentamente e in modo spesso imprevedibile. Certo è improprio paragonare una stagione a più stagioni e di questo dobbiamo tener conto nel confrontare le due serie: il movimento qui descritto è solo in una fase iniziale e saranno le prossime stagioni a definirlo in modo più compiuto. Non è da escludere che si sviluppino, contestualmente ai caratteri, anche i temi, superando così la concentrazione sul binomio donna-successione al centro di questo primo anno. La questione resta aperta, del resto la riduzione dei generi e la concentrazione dei temi non rappresenta di per sé stessa un elemento negativo, se non fosse che il racconto difetta di quella ferrea coerenza e di quella quasi maniacale cura dei passaggi temporali che aveva caratterizzato GOT, almeno fino all’ultima stagione.
Ci sono momenti cruciali in cui la successione degli eventi appare troppo affrettata e poco credibile (tra tutti si pensi alla velocità con cui, sul finire dell’episodio nove, The Green Council, Rhaenys Targaryen esce dalla sala e torna dopo pochi minuti indossando una stilosa armatura e cavalcando il suo possente drago), altri non vengono supportati in modo efficace (il passaggio temporale di vent’anni non ha gli stessi effetti su tutti gli attori e, mentre alcuni appaiono chiaramente modificati dal trascorrere del tempo, altri non subiscono alcun cambiamento, come ad esempio il bi-vedovo fratello del re, Daemon). Alcune sottotrame appaiono peraltro confuse e male inserite nel contesto, come quella della spia White Warm, La larva bianca, che rapisce con disarmante facilità il futuro re Aegon.
Se ci sono dei passaggi poco coerenti e lassi temporali trattati con leggerezza, quello che non manca è la capacità di avvolgere lo spettatore, di trasportarlo in un mondo descritto nei dettagli, in modo affascinante e approfondito, con un piglio così autorevole da far sembrare la coesistenza di uomini e draghi una cosa naturale, quasi una verità storica. Spesso nel fantasy l’ambientazione è affascinante per la sua bellezza e visionarietà: qui invece il piacere risiede nel realismo, cupo e drammatico, di un mondo in cui dominano le debolezze e le miserie. Che si parli di nobili o uomini del popolo, è il lato negativo dell’essere umano ad avere la meglio. Per molti aspetti non dobbiamo scegliere tra posizioni morali radicalmente opposte, ma tra punti di vista simili espressi da personalità differenti. Per far questo torniamo sul ruolo cruciale dei personaggi: per rendere al meglio queste sfumature servono attori credibili. Proprio quelli che vediamo all’opera in questa stagione, tutti pienamente radicati nei rispettivi personaggi. Uno sguardo, come quello finale, in macchina, di Rhaenyra, conta più di molte parole. Anche il resto è impeccabile: costumi, ambientazione, effetti speciali. La musica, composta da Ramin Djawadi, completa e impreziosisce la narrazione, in un rapporto simbiotico con le immagini. Tra i punti di eccellenza non rientrano gli effetti digitali che appaiono francamente inadeguati: l’esempio più eclatante è l’episodio finale, in cui i draghi meriterebbero una miglior resa grafica.
Nel complesso ritroviamo quindi la qualità di GOT, appesantita da qualche forzatura di genere e limitata nelle sue numerose qualità da un racconto che zoppica qua e là più del previsto nei momenti in cui ci sono salti temporali.
Poi arriva il finale, con quello sguardo in macchina che sembra prometterci che il seguito supererà questi limiti. Una promessa a cui è difficile non prestar fede, specie perché viene da una regina di Casa Targaryen. Meglio non scherzare con il fuoco.
Titolo originale: The House of the Dragon
Durata media degli episodi: 60 minuti
Numero degli episodi: 10
Distribuzione streaming: Sky – Now
Genere: Drama Action Fantasy
Consigliato: a chi cerca una storia di successione cupa, ricca di tensione e con un’ambientazione di grande impatto visivo.
Sconsigliato: a quanti cercano un racconto pieno di azione e battaglie: la storia è molto intima, concentrata esclusivamente sulla famiglia Targaryen e sulla lotta interna per la successione al trono.
Visioni parallele: Fuoco e Sangue (Mondadori ne ha edito una nuova edizione) di G.R.R. Martin perché presenta numerose, a volte piccole e a volte meno piccole, differenze dalla serie Tv. Il libro è una vera e propria cronaca della storia antica di Westeros e diverse situazioni, in particolare la morte dei protagonisti, vengono riportate nel racconto di più fonti. La verità è quindi più difficile da identificare in modo assoluto e il lettore si trova immerso in una molteplicità di varianti della stessa storia.
Un’immagine: ce ne sarebbero tante, vogliamo però ricordare in particolare la scena in cui Vyseris si toglie la maschera dorata che gli copre per metà il viso per mostrare il suo volto, sfigurato e sofferente, con un occhio cavato, ai figli e ai nipoti. Il suo obiettivo è mostrarsi per quello che realmente è: padre, marito, nonno e non solo come il re. Un gesto drammatico e per molti aspetti teatrale, ma che ottiene l’effetto sperato portando, anche se per poco, un po’ di umanità al tavolo di questa forzata riunione di famiglia.