Sylvie è un’attrice di sessant’anni che lavora in carcere con i detenuti. Qui conosce Michel, dietro le sbarre da cinque anni per un colpo finito male. I due si sposano immediatamente, nonostante i dubbi del figlio Abel, un ittiologo che lavora in un acquario e fa da guida agli studenti in visita.
Quando Michel esce di galera, lui e Sylvie decidono di aprire un negozio di fiori, che dia ad entrambi una prospettiva nuova insieme. Solo che i legami del passato trascinano Michel in un nuovo furto, che imprevedibilmente coinvolgerà come pali sia Abel, sia Clémence, la sua migliore amica e collega.
Il film di Garrel, il suo quarto come regista, in una già lunghissima carriera d’attore, cominciata da bambino e poi ripresa all’inizio del nuovo secolo, è una commedia romantica, immersa in una sorta di heist movie, con risultati sgangherati e sorprendenti, ma animata da una tenerezza che fa dimenticare anche gli scivoloni più evidenti e le sbavature che pure restano.
Se l’incipit nasce da suggestioni autobiografiche – la madre di Garrel Brigitte Sy era effettivamente un’attrice spesso impegnata in laboratori teatrali con i detenuti – il resto è pura fantasia, piena di quella curiosa umanità che sempre anima i suoi film.
Per la prima volta il regista si sposta dalla centralità parigina alla marginalità di una Lione in cui anche la borghesia è più ruspante e provinciale.
E come accaduto in passato si affida alle parole di uno scrittore, questa volta Tanguy Viel, i cui romanzi attraversano ambienti popolari spesso segnati dalla criminalità e dall’impossibilità di evadere dalla propria condizione marginale.
Il film di Garrel gioca così con generi diversi, dalla commedia sentimentale a quella d’ambiente, con una vena che non è estranea alla lezione italiana.
Il cast è illuminato dalla vena folle e spiritosa di Noémie Merlant, già in Ritratto della giovane in fiamme e in Les Olympiades, qui in un registro completamente diverso, ma decisamente indovinato.
E’ la sua Clémence a trascinare la storia che procede faticosamente tra accelerazioni e fermate. In mezzo a una serie di caratteri che fanno sempre quello che ci si attende da loro, lei ribalta i ruoli molte volte, donando al film la sua vivacità.
Piazzato fuori concorso, L’innocent è una commedia generosa ma piena di problemi, diseguale nella struttura e nei pesi drammatici, che tuttavia si giova di una leggerezza malinconica che nei lunghi giorni festivalieri è come una boccata di aria fresca.
In chiusura, la Nannini con I maschi: il pop italiano è vivo e lotta insieme a noi, presentissimo anche quest’anno sulla Croisette.