Tra due mondi – Ouistreham **1/2
Per la sua terza regia cinematografica, a distanza di quindici anni da L’amore sospetto, lo scrittore Emmanuel Carrère (Limonov, Il Regno, L’avversario) sceglie di adattare il romanzo della giornalista Florence Aubenas, Le Quai de Ouistreham.
Un libro che ha come protagonista un’altra scrittrice, Marianne Winckler, che pubblica saggi economici sul lavoro, la disoccupazione, la crisi e che decide, per una volta, di vivere per davvero la vita di chi ha sempre raccontato.
Il suo esperimento sociale comincia con l’abbandono di Parigi, dei suoi amici, della sua famiglia, per un trasferimento a Caen, in Normandia, in una piccola casa ordinaria, senza auto, senza lavoro.
Crea un curriculum fittizio e si affida ai centri per l’impiego, partendo dal minimo salariale e dal lavoro più umile, in un’impresa di pulizie.
Comincia a conoscere nuove colleghe, cambia posto più volte fino a che viene assunta al porto di Ouistreham, da un’impresa che si occupa di sistemare le cuccette dei traghetti in partenza per l’Inghilterra. Quelle che ci lavorano lo chiamano “l’inferno”: un minuto e mezzo per rifare ogni letto, 230 cabine da preparare nella notte, prima della nuova partenza.
Marianne nel frattempo prende appunti, prepara il suo nuovo lavoro, in gran segreto, rubando una vita che non è la sua e ‘sfruttando’ l’affetto, la semplicità, i sentimenti altrui.
In particolari quelli di Christelle, che vive da sola con tre figli, cercando di non fargli mancare nulla, e della giovanissima Marilou.
La Binoche è come al solito inarrivabile in un ruolo autoriflessivo, in cui mette in scena un altro lavoro di finzione, un inganno che ha intenti ambivalenti e anche sociologicamente interessanti, ma che finisce per ferire a morte chi le aveva concesso la sua fiducia, la sua solidarietà.
In un mondo del lavoro in cui la precarietà si trasferisce dalla dimensione pubblica a quella privata, Marianne trova invece un’umanità solidale, capace di cercare la felicità nelle piccole cose, nella dignità di una bevuta insieme nel parcheggio del bowling, “perchè dentro le birre costano troppo care“.
Qualcuno le presta un’auto, qualcuno le regala una collanina con un quadrifoglio per il suo compleanno, altri ancora l’aiutano sul posto di lavoro ad imparare un mestiere in cui non ci sono ferie, il salario è minimo e chi non ce la fa è fuori, senza periodi di prova o tutele.
Eppure l’umanità resiste, sembra dirci Carrère. Un’umanità che non può accettare di essere lo strumento di un esperimento sociale: pretende sincerità.
Intelligentemente il film non risolve l’interrogativo che ci accompagna, fin dal momento in cui scopriamo che Marianne non è davvero la moglie abbandonata, che deve rifarsi faticosamente una vita al nord.
Fino a che punto uno scrittore può sfruttare le vite altrui, può prenderle in prestito, farne letteratura, saggio, testimonianza vera di numeri e cifre che da sole non significano più nulla?
Far emergere quella realtà del lavoro è compito nobile, ma a che prezzo?
E fin dove si può – si deve – spingere la finzione, l’impersonificazione?
Erano un po’ anche i temi dell’ultimo film di Soderbergh, Lasciali parlare, qui declinati in una dimensione lavorativa e non solo privata.
Il film è asciutto, lineare, semplicissimo nella sua messa in scena e si affida interamente alla Binoche e ad un gruppo di attrici che restituiscono al film la sua verità.
In Italia con Teodora Film.