Il film d’esordio del rapper belga Baloji affonda le sue radici nel folklore della sua terra d’origine, il Congo.
L’idea è nata quando Baloji si è ritrovato al funerale del padre un gruppo di donne che erano state assunte per piangere il defunto, una situazione surreale e impensabile per chi è cresciuto nel cuore dell’Europa, ma invece perfettamente plausibile e comune in quella cultura, capace di innescare un meccanismo emotivo strano, ma liberatorio.
Augure comincia così con il ritorno a casa di Koffi assieme ad Alice, la sua compagna bianca, incinta di due gemelli.
Il tentativo di condividere con la sua famiglia la bella notizia e quella delle nozze della sorella si scontra con il pregiudizio e la diffidenza: considerato uno stregone, Koffi è malvisto da tutti. Finisce addirittura in un surreale processo quando per una banale epistassi un paio di gocce di sangue cadono sul volto di un bambino.
La madre non vorrà neppure vederlo, accettando la dote messa da parte da Koffi per la sorella, solo attraverso la porta chiusa. Nel frattempo su un ring di fortuna di fronte alla miniera dove lavora il padre, due bande di bambini si affrontano in incontri di lotta.
Il secondo ritorno a casa di Koffi coincide con la morte accidentale del padre. Come organizzare un funerale se il corpo del defunto è rimasto sepolto nelle profondità della miniera?
Il film di Baloji funziona bene quando il regista sceglie un registro onirico e magniloquente, orchestrando grandi scene come quella sul ring dei ragazzi, come il processo per stregoneria o come la cerimonia funebre finale, molto meno quando si sofferma sui problemi quotidiani e lo scontro culturale. Qui il film si fa confuso, sovraccarico, inutilmente ironico, non riuscendo bene ad integrare le due dimensioni narrative una dentro l’altra.
Piuttosto acerbo a dir la verità e non troppo chiaro nei suoi intenti, il film rimane comunque un ritratto vitale, generoso, attraversato da una tensione che si scioglie nella confessione della madre alla sorella di Koffi e nell’abbraccio riconciliante del finale, in cui l’odio e la diffidenza del passato e la distanza creata dalle scelte personali si fanno da parte.