“Questa serie ci aiuterà a chiedere giustizia e a farci capire che i diritti umani vengono prima degli interessi commerciali, come abbiamo conferma ora con la guerra in Ucraina”. Sono parole pronunciate da Marina Litvinenko, la moglie dell’ex ufficiale del FSB russo, l’organo di sicurezza dello Stato erede del famigerato KGB, avvelenato a Londra nel novembre del 2006. “La sua storia oggi è la storia di tutti noi”.
Litvinenko, prodotta dalla rete britannica ITV, porta la firma di George Kay, autore di Lupin e Stag, mentre la regia è stata affidata a Jim Field Smith, già collaboratore di Kay in precedenti serie. Decisiva, per gli autori, è stata la consulenza dei poliziotti che si occuparono effettivamente del caso, della famiglia della vittima, tutt’ora in attesa di vera giustizia come traspare dalle recenti dichiarazioni, e di Ben Emmerson, l’avvocato esperto di diritti umani e questioni internazionali che argomentò, in rappresentanza di Marina Litvinenko, a favore dell’apertura di un’indagine pubblica sulle responsabilità politiche dell’omicidio, a seguito di un primo rifiuto opposto dal governo britannico.
Litvinenko, nella versione italiana appesantita dal sottotitolo fin troppo didascalico Indagine sulla morte di un dissidente, prende le mosse dal ricovero in ospedale di una delle più note vittime della repressione di Putin per raccontare, soprattutto, gli sviluppi investigativi successivi alla sua morte. Litvinenko, forte di un lavoro di ricostruzione puntiglioso e analitico, ripercorre dettagliatamente i fatti, privilegiando un approccio quasi documentaristico alla realtà. Il racconto sposa uno stile asciutto, lucido, antispettacolare. La narrazione, in particolare verso la fine, perde di fluidità, minando la compattezza della serie nel suo complesso. Una fotografia dai toni freddi, se non algidi, contribuisce alla definizione estetica dei quattro episodi.
I servizi russi che uccidono un cittadino del Regno Unito, su suolo britannico, utilizzando una modalità terroristica potenzialmente letale per la popolazione di Londra: una terribile verità, inaccettabile per la Russia, che ha sempre respinto con fermezza le conclusioni della polizia di Scotland Yard e, come mette in luce l’avvocato Ben Emmerson, scomoda anche per Downing Street. La serie comincia con il mostrarci Litvinenko, esule a Londra con famiglia al seguito (oltre a Marina c’è anche il figlio Anataly), raggiante di felicità per aver ottenuto finalmente la cittadinanza del Regno Unito, un elemento politico-giuridico estremamente delicato nel tragico delinearsi della vicenda.
Il corpo affondato nel materasso, il volto avvolto in un lenzuolo verde, a mo’ di sudario: la foto scattata a Litvinenko, esausto e sofferente, è riprodotta dai giornali di tutto il mondo e diventa presto un simbolo globale, una tragica icona contemporanea. L’immaginario collettivo accoglie l’ennesimo martire della violenza esercitata dal potere, in questo caso dell’autoritarismo di Putin nei confronti di un suo pubblico oppositore. Litvinenko, fin da subito, comprende che il suo stato di salute è irrimediabilmente compromesso. Con rara lucidità, sapendo di avere a disposizione un pugno di ore per rivelare il quando e il perché dell’accaduto, chiama la polizia. “Devo denunciare un omicidio, il mio”. Basterebbe questa frase a suggellare l’assurdità del caso.
Un uomo che sa di dover morire denuncia alla polizia il proprio omicidio, un evento forse unico al mondo, di certo surreale, inaudito. La serie sottolinea l’alone di incredulità che, almeno all’inizio, accompagna gli ispettori Briant Hyatt e Jim Dawson nell’ascoltare la deposizione in ospedale. Gli elementi raccolti sono inusuali, fuori dall’ordinario perfino per dei consumati detective. Litvinenko è un mitomane? Un tizio “fuori di testa” in preda al delirio? Un calunniatore?
I medici, non impeccabili, sottovalutano l’improvvisa calvizie. “È colpa degli antibiotici”. Dagli esami delle urine non risulta l’assunzione di sostanze velenose. “È solo malato”, riferiscono agli inquirenti. Malattia non è però un termine pertinente per connotare le condizioni del paziente. Il povero Litvinenko emana radiazioni da tutti i pori. Litvinenko è una bomba atomica su due gambe.
Brian Hyatt, il primo a dare credito a “Sasha” (il diminutivo che Marina utilizza abitualmente per il marito), pensa sia opportuno verificare nomi e circostanze. L’arma del delitto, il polonio, è identificato da un laboratorio specializzato. Il 18 novembre 2006 l’ex ufficiale russo muore. I due giorni di ricovero sono sufficienti perché Litvinenko riveli agli investigatori, con enorme fatica, l’essenziale. Lo scopo della sua missione in qualità di agente segreto, le ragioni della diserzione, le personalità incontrate durante la sua permanenza nel Regno Unito (tra cui spicca il nome della giornalista Anna Politkovskaja, assassinata nell’androne del suo palazzo, a Mosca, solo un mese prima), i suoi contatti con gli ambienti della dissidenza. E, ovviamente, i motivi alla base dell’attentato, o meglio della sua stranissima, inesorabile esecuzione.
Litvinenko regala al detective Hyatt la pietra dello scandalo, un libro scritto di suo pugno e pubblicato a Londra, in cui denuncia, senza remore o scrupoli di sorta, i responsabili delle atrocità commesse dall’FSB. Quel libro rappresenta la sua condanna a morte. Litvinenko fa il nome dell’avvocato napoletano Mario Scaramella, misterioso esperto di politica internazionale, incontrato in un sushi bar il pomeriggio del primo novembre, risultato poi estraneo all’omicidio. Litvinenko arriva quindi ai due nomi chiave dell’indagine, Andrej Lugovoj (suo superiore nell’FSB, deputato della Duma e vice capo del Comitato per la Sicurezza) e Dimitry Kovtun (imprenditore e agente segreto). Litvinenko raggiunge il climax della tensione quando l’ex spia, sul letto di morte, identifica il mandante, con tanto di nome e cognome: Vladimir Putin. “Può riuscire a mettermi a tacere, ma l’urlo di protesta da tutto il mondo le risuonerà, signor Putin, nelle orecchie, per il resto della sua vita”.
Dal secondo episodio in avanti, la serie ripercorre il lavoro di indagine, coordinato dal sovrintendente Clive Timmons, responsabile sella sezione Antiterrorismo. L’avvelenamento, secondo gli ispettori di Londra, non può che essere materialmente opera di Andrej Lugovoj e Dimitry Kovtun. Il contatto tra Litvinenko e i suoi assassini, questo è certo, avviene al Millennium Hotel, nel cuore dello sfarzoso e ricchissimo quartiere di Mayfair, a due passi da Hyde Park. Nella ben nota ricostruzione di Scotland Yard, i due accusati manipolano un elemento altamente radioattivo, il polonio-210, trasportandolo in aereo dalla Russia, con il rischio di contaminare anche sé stessi e i passeggeri del volo. Il polonio, sciolto nel tè, servito al tavolo del Pine Bar e ingerito dall’ignaro Litvinenko, agisce in silenzio. I malesseri e le perdite di sangue accusate nel giro di due settimane dall’ex spia sono chiari sintomi, come constatano con sconcerto i medici legali al termine dell’autopsia, del processo di liquefazione dei suoi organi interni innescato dall’assunzione della sostanza mortale.
David Tennant, noto in particolare agli aficionados del Doctor Who per aver interpretato il Dottore nella sua decima incarnazione, impersona lo sfortunato protagonista. Tennant è presente solo nel primo episodio, il più intenso sul piano emotivo. L’attore scozzese riesce a rendere, in poche, calibrate battute, pesanti come macigni, l’evidenza drammatica e lo spessore storico del personaggio. Margarita Levieva, la splendida Abby Parker di The Deuce, interpreta Marina, moglie combattente, decisa ad andare fino in fondo, a costo di sfidare le telefonate mute, i sinistri cigolii, le ombre che si agitano di notte attorno alla sua abitazione. Il suo ruolo assume rilevanza man mano che la serie si addentra nei meandri giudiziari della vicenda, con i conseguenti contraccolpi politici, quando emerge parallelamente la figura di Ben Emmerson, impersonato da Stephen Campbell Moore, attore già avvezzo al mondo delle spie per aver lavorato in Red Joan, film di Trevor Nunn del 2018.
Litvinenko affronta tanto l’aspetto pubblico quanto privato del caso. Da una parte c’è una moglie che soffre e chiede giustizia, dall’altra il sistema, composto da vari livelli e ingranaggi. Gli obiettivi della polizia non sono i medesimi dell’avvocato. Chi, da ultimo, è il vero responsabile dell’omicidio, al di là degli esecutori materiali (identificati e mai estradati)? È possibile incolpare e perseguire il Potere? Il governo russo ha avversato anche l’ultimo pronunciamento, quello della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del settembre 2021, richiamato in coda alla serie. Nella sentenza gli elementi di prova sono stati dichiarati sufficienti “per poter presumere che Lugovoi e Kovtun, nell’avvelenare Litvinenko, abbiano operato come agenti della Russia”. La Corte ha anche rilevato che le autorità russe “non hanno portato a termine un’inchiesta interna efficace in grado di stabilire i fatti e, dove appropriato, l’identificazione e la punizione, delle persone responsabili dell’assassinio”.
La serie si dilunga molto sui risvolti investigativi, anche strettamente procedurali, dimenticando l’uomo Litvinenko, di cui nulla (il passato in Russia, la carriera nei ranghi dell’FSB, la presa di coscienza dell’orrore, l’abbraccio del mondo libero) è detto in maniera profonda, a favore di una dissezione analitica degli eventi seguiti alla sua morte. Moglie a parte, sono i poliziotti, in definitiva, ad occupare la scena. Ne risulta un legal drama piatto, cerebrale, terribile nei contenuti e glaciale nello stile, che a tratti evoca, sempre alla lontana, la splendida Chernobyl di Craig Mazin.
“Ci muoviamo come una squadra, lavoriamo come una squadra”. Sono principalmente i detective Timmons, Tarpey e Hyatt ad animare le indagini. Il sovrintendente Clive Timmons (interpretato da Mark Bonnar, il dottor Neil Sommer della terza stagione di Humans), concreto e sottilmente ironico, motiva la squadra affinché tutti diano il massimo. “Cercate l’ignoto”. Ed è probabilmente l’ignoto, la possibilità di cadere sul campo sotto i colpi di un nemico silenzioso e letale, a frenare da principio Brian Tarpey (Sam Troughton, visto in Mank di David Fincher), il poliziotto riluttante che inizialmente si smarca da ogni impegno ufficiale sul caso, salvo poi essere reclutato da Timmons per condurre una fondamentale missione investigativa a Mosca. “Non mi ricordo” è la risposta data agli agenti da Kovtun, il sospettato, durante un surreale interrogatorio. Sempre il timore di una minaccia invisibile spaventa Brent Hyatt, terrorizzato dall’ipotesi, poi smentita dagli esami di laboratorio, di essere stato contaminato dal libro ricevuto da Litvinenko nel corso della deposizione. La figura di Hyatt (Neil Maskell, già killer nell’Utopia originale di Channel 4) cede alla retorica, un’evidenza che traspare dalla volontà del poliziotto di chiamare Sasha il figlio lungamente atteso, in onore della vittima.
“Durante la guerra ci sono sempre state regole speciali e gruppi di persone discrete che le hanno applicate”, ha scritto recentemente su Telegram l’ex presidente russo Dmitrij Medvedev, con riferimento ai “traditori passati al nemico che vogliono la morte della madrepatria”. Una plausibile traduzione? Gli esuli in fuga da Putin sono il bersaglio legittimo di esecuzioni extragiudiziali da parte dei servizi speciali. Litvinenko è una miniserie figlia della geopolitica attuale (benché ideata prima del conflitto in Ucraina), partigiana, nel senso schmittiano di contrapposizione radicalizzata tra due parti che nulla hanno in comune se non la reciproca disistima per i rispettivi sistemi di valori. “È una storia che va raccontata senza sosta, perché è così che Putin perde”, ha dichiarato l’attore David Tennant. Più chiaro di così!
Titolo originale: Litvinenko
Numero di episodi: 4
Durata: 45 minuti l’uno
Distribuzione: Sky / Now
Uscita: 25 Gennaio – 1 Febbraio 2023
Genere: Drama, Thriller
Consigliato a chi: è orgoglioso di essere un piantagrane, ha un armadio pieno di scatoloni.
Sconsigliato a chi: ha cancellato un vecchio nastro per sbaglio, soffre di crampi allo stomaco.
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Nella serie è presente anche l’oligarca Boris Berezovskij, obiettivo di Litvinenko a Londra e in seguito suo protettore. Alla vita di Berezovskij è dedicato uno dei capitoli di La Russia in quattro criminali di Federico Varese, Einaudi, 2022.
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FAWR è l’acronimo di Femminist Anti War Resistance. Su Telegram sono seguite da 30.000 follower. Russia: resistenza femminista è un documentario disponibile su ARTE.
Le ultime parole di un dissidente: “Sono fiero di poter dire che sono un cittadino britannico. La Gran Bretagna è una bella nazione. Morirò, si, ma morirò da uomo libero. Mia moglie e mio figlio sono liberi. Ho detto a mio figlio: ricorda, per il resto della tua vita, che questo paese ci ha salvati”.