Cannes 2013. Nebraska

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Nebraska ***

Sceneggiatore e regista tra i piu’ amati negli Stati Uniti, due volte premio Oscar per gli script di Sideways e Paradiso amaro, Alexander Payne arriva al concorso di Cannes con un film piccolissimo, girato in pochi giorni.

Senza stelle da mostrare sul red carpet e senza grandi attese, ci regala invece il suo film migliore.

Un piccolo gioiello che potrebbe aver fatto breccia nel cuore del Presidente di Giuria, Steven Spielberg.

Curiosamente il film prende spunto da una sceneggiatura di Bob Nelson, che Payne si limita a mettere in scena in un magnifico ed evocativo bianco e nero, grazie alla fotografia di Phaedon Papamichael.

Il protagonista e’ un vecchio meccanico, Woody Grant, che si persuade di aver vinto un milione di dollari, dopo aver ricevuto per posta un annuncio legato alla sottoscrizione di un abbonamento ad una rivista.

Si tratta di uno specchietto per le allodole, ma Woody e’ testardo e vuole raggiungere Lincoln nel Nebraska, per ritirare il premio.

Inutilmente i figli e la moglie cercano di dissuaderlo. Abbandonato dalla compagna, in crisi con il suo lavoro, il figlio David decide di assecondarlo.

Durante il viaggio, i due si fermeranno casualmente ad Hawthorne, la citta’ natale di Woody, dalla quale manca da molti anni.

Sara’ l’occasione per reincontrare il fratello, i nipoti, gli amici di un tempo ed il socio in affari, che ora pretende il saldo di un vecchio debito, dato che Woody si dichiara milionario.

Nel frattempo la combattiva moglie di Woody e l’altro figlio, che fa l’anchorman in una tv locale, raggiungono Woody e David ad Hawthorne.

Il film di Payne ha un tono elegiaco di grande dolcezza, ricorda, per molti versi L’ultimo spettacolo, nel mettere in scena un mondo che sta inesorabilmente finendo. I protagonisti pero’ non sono i giovani, ma gli anziani, che ci sentono poco, si addormentano davanti alla tv e sparlano dei morti al cimitero. Vecchi che hanno rinunciato alal felicita’, ma non ad un ultimo anelito di dignita’.

Sara’ allora il figlio David, alla fine a dare un senso a quel lungo viaggio, mantenendo le promesse, ristabilendo per una volta verita’ e giustizia. E lasciando al padre la possibilita’ di sognare ancora, ripartendo dalle piccole cose della vita: un pick up quasi nuovo ed un compressore.

Il film mantiene un equilibrio invidiabile tra commedia e dramma, grazie ad una scenggiatura senza sbavature, che regala sempre, ai tanti personaggi, la battuta giusta.

E’ un’America rimossa, quella che racconta Payne. Un paese che ha perso il ricordo di se’ e lascia ai suoi figli un’eredita’ sfuggente. Il film e’ amaro come una ballata di Springsteen.

Payne regala a Bruce Dern uno degli ultimi grandi personaggi di una carriera cominciata nei gloriosi anni ’70. Nel ruolo del socio Ed, la faccia implacabile e melliflua di Stacy Keach.

In molti film americani, qui a Cannes, si e’ sentito in maniera evidente un sentimento di grande nostalgia, per il periodo aureo della New Hollywood, quando si potevano ancora girare film intelligenti e adulti, all’interno del sistema delle major, oggi ridotto ad una succursale delle factory che producono comic book.

Una volta il protagonista sullo schermo era sempre un anti-eroe, una persona ordinaria travolta da eventi straordinari, che faceva ricorso alla sua esperienza, alla sua intelligenza, ai suoi valori, alla sua astuzia. E non sempre riusciva nell’impresa…

Oggi ci sono gli uomini d’acciaio e gli effetti speciali a risolvere.

Fa piacere quindi ritrovare il vecchio logo della Paramount in testa ad un film che partecipa al concorso di Cannes. E’ un segno che la resa non e’ ancora definitiva.

Nebraska e’ un piccolo gioiello maliconico e disilluso, che non solo conferma le qualita’ di Payne, ma sorprende per freschezza narrativa, nonostante utilizzi uno dei topoi classici del cinema americano.

Da vedere.

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