Andor: l’universo di Star Wars in un nuovo livello di realtà

Andor ****

Andor (Diego Luna) è un piccolo criminale, senza appartenenze, che cerca di restare a galla in un universo duro, pervaso dalla corruzione, dalla burocrazie e dal dispotismo di un governo autoritario che schiaccia ogni aspirazione all’autonomia, alla libertà, alla preservazione delle tradizioni locali. Andor è un uomo solo che aspira alla libertà, ma che, con il passare del tempo, capisce come non possa essere veramente libero in un universo oppresso da un regime totalitario.

Andor è la storia di Cassian Andor, uno dei protagonisti di Rogue One. Questa serie è ambientata 5 anni prima degli eventi del film e ci permette di seguire l’evoluzione del personaggio, il suo progressivo avvicinamento all’Alleanza ribelle, passando attraverso la maturazione di una coscienza politica che lo porta dal disinteresse verso la causa rivoluzionaria all’impegno attivo, in prima linea. Attraverso la sua storia e quella della senatrice Mon Mothmas (Genevieve O’ Reilly) assistiamo alla costruzione dell’Alleanza che si opporrà con successo all’Impero dei Sith.

Due diverse sinossi per la stessa storia perché, da come si racconta la trama di Andor, cioè dal punto di vista adottato, cambia la lettura.

Si è fatto infatti un gran parlare del fatto che Andor per scelte stilistiche, narrative e drammaturgiche si ponga come una produzione di difficile identificazione con l’universo di Star Wars. Non ci fosse il precedente di Rogue One, a cui peraltro Tony Gilroy, showrunner della serie, ha-partecipato in veste di sceneggiatore, l’impatto sarebbe stato ancora più deflagrante. Basta però riandare con la mente alle ultime produzione del Sistema SW, alle serie su Boba Fett o Kenobi per riscontrare una differenza abissale che lascia interdetti tutti coloro che interpretano l’appartenenza a un mondo narrativo come il rifugiarsi in una confort zone in cui i personaggi si ripetono, riprendono, rileggono, magari anche rinascono, ma comunque sempre all’interno di un canone estetico e drammaturgico definito e poco flessibile.

Non è così per quanti invece ritengono che un sistema o ecosistema narrativo viva a tutti gli effetti di vita propria e che quindi l’evoluzione sia il segnale più rilevante della sua vitalità, necessaria per evitare di chiudersi in se stesso, reiterando forme e personaggi. E’ con l’eco di questa querelle, che ha coinvolto i fan come gli addetti ai lavori, che ci accostiamo ad Andor, lasciando ciascuno libero di propendere per il partito che più gli aggrada, ma cercando di valutare quanto visto in modo indipendente dall’ortodossia del franchise. Andor avrebbe potuto essere un racconto esterno all’universo di Star Wars e sarebbe stato comprensibile e apprezzabile in egual misura.

La qualità maggiore di questa serie è la capacità di descrivere nei dettagli un universo complesso, soffermandosi sulla vita quotidiana delle persone, sui riti tradizionali dei popoli e sulle celebrazioni collettive, portando lo spettatore a sentirsi davvero su pianeti con culti, spettacoli e feste peculiari. Le scenografie di Luke Hull (Chernobyl) hanno reso concreti questi mondi, sia per quel che riguarda gli esterni, ricreati in set naturali, per lo più in Scozia, sia per gli interni, in particolare per le abitazioni private e per gli asettici spazi del potere imperiale. Il realismo ha imposto rigore e cura dei dettagli al fine di creare, in primis con e per gli attori, una dinamica immersiva: basti pensare che la città su Fest è stata costruita su di una superficie di otto acri e mezzo, circa 34.500 metri quadrati.

C’è tanta vita in Andor, la vita quotidiana fatta di rapporti di amicizia, di relazioni sociali, di lavoro, di famiglia, di cerimonie. E anche di politica. Ci sono pianeti diversissimi tra loro come Ferrix e Coruscant, ci sono costumi e tradizioni locali come la festa dell’Occhio che si celebra sul pianeta Aldhani o le usanze matrimoniali di Chandrilan. C’è soprattutto il popolo, con una sua dignità che in molte scene ricorda l’iconico Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Nel suo quadro, come tra la gente di Ferrix, pulsa un’energia che spiega come l’intero non equivalga alla somma delle sue parti, ma le trascenda.

Qualcosa che è difficile da spiegare a parole e di altrettanto difficile da rappresentare: ma Andor ci riesce benissimo, anche grazie all’aiuto di una musica memorabile, composta da Nicholas Britell, già candidato più volte all’Oscar e premiato con un Emmy Award per la serie HBO Succession. Nella scena del funerale della madre di Andor, nel notevole Rix Road, il rapporto simbiotico tra la cadenzata marcia funebre, la Ferrix Funeral March, e il montaggio è in assoluto uno dei momenti più riusciti della stagione. Se la scrittura è il punto di forza della serie, grazie ad un team di livello assoluto composto tra gli altri Da Beau Willimon (House of Cards) gli altri aspetti tecnici non sono inferiori. La fotografia è chirurgica nel descrivere le differenze di luce tra i pianeti. I maestri di scena ricostruiscono gli oggetti d’uso quotidiano con cura e attenzione, rendendo perfettamente quel misto di tecnologico e di arcaico che rappresenta il marchio di fabbrica della saga.

La ricerca di una tonalità realistica ha portato gli autori a prediligere un contesto relazionale fortemente antropomorfo, con pochi alieni. Permangono però droidi che sono qualcosa di più di semplici strumenti tecnologici, ma compagni di vita: B2EMO, dopo la morte di Maarva, la madre di Andor, esprime in modo mirabile tutta la solitudine che deve affrontare chi ha perso un congiunto.

Il cast è composto da attori di grande esperienza che interpretano al meglio le sfumature emotive di personaggi non banali, sia dalla parte dei buoni, come Luthen (Stellan Skarsgard già presente in Dune e Chernobyl) e Maarva (Fiona Shaw in Killing Eve), sia dal lato oscuro, come la carrierista Dedra Meero (Denise Gough) e l’idealista Syril Karn (Kyle Soller). In questa serie la distinzione tradizionale lato chiaro/lato scuro assume tonalità più complesse, descrivendo spesso sfumature di grigio più che colori dalle tonalità contrapposte.

Se la considerazione appare immediata di fronte ai compromessi e alle divergenze dei protagonisti della resistenza all’impero, in realtà lo stesso vale per gli ufficiali e i soldati di Palpatine: essi abitano lo stesso spazio con sensibilità e obiettivi diversi. Gli uni come gli altri descrivono in modo impeccabile la banalità disarmante del male nella vita di tutti i giorni. Varrebbe la pena anche ricordare l’interpretazione di Diego Luna che si lega a doppio filo al personaggio di Andor in un sodalizio che resterà nella memoria soprattutto per il suo non verbale, capace di sintetizzare in uno sguardo un ventaglio di emozioni.

Andor è frutto di un lavoro corale di grande qualità e questo si percepisce ad ogni inquadratura.: tutti lavorano in sinergia con la visione di Tony Gilroy (già autore di Michael Clayton) che intende portare Star Wars a un livello diverso. Per quanti hanno visto la serie di animazione Star Wars: The Clone Wars è un po’ quello che succede ad Ahsoka quando, rinunciando alla sua posizione e all’appartenenza all’Ordine dei Jedi, si sposta dalla superficie di Coruscant, dai palazzi del potere e dall’azzimato consiglio dei Jedi alla parte più profonda e nascosta della città, dove tutto è sporco, confuso e le persone sono piene di rabbia e desideri irrealizzati.

Come nella vita reale.

TITOLO ORIGINALE: Andor
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 47 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI:  12
DISTRIBUZIONE STREAMING: Disney +
GENERE: Spy Story, Thriller, Drama

CONSIGLIATO: a quanti amano le spy stories, i personaggi ambigui e le narrazioni intricate che si svelano poco alla volta, senza fretta.

SCONSIGLIATO: a quanti cercano una serie che permanga nell’immaginario narrativo di Star Wars, senza introdurre modifiche a livello stilistico nè narrativo.

VISIONI PARALLELE: per quanti se lo fossero perso naturalmente il film da vedere è Rogue One, forse il miglior prodotto della saga a livello cinematografico dai tempi della prima trilogia.

UN’IMMAGINE: la serie è ricca di immagini emozionanti e di scene che resteranno impresse nella memoria dello spettatore. Tra queste lo sguardo di Kino Loy (Andy Serkin la voce di Gollum in Lord of the Rings) quando, dopo un’evasione di massa straordinaria e che conclude il segmento della vicenda ambientato su Narkina 5, pianete-prigione dell’impero. Finalmente giunto a un passo dalla libertà, dopo anni di carcere e dopo aver rischiato la vita nella fuga, scopre che tutto è stato vano perché per fuggire deve necessariamente nuotare e lui non sa nuotare! Una beffa del destino? Forse, ma certamente proprio questo drammatico epilogo rende il personaggio indimenticabile.

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