Dopesick – Dichiarazione di dipendenza racconta l’impressionante crisi sociale e sanitaria scatenata dalla diffusione degli oppioidi negli Stati Uniti d’America. La serie, targata Hulu e distribuita in Italia da Disney+, porta la firma di Danny Strong. Il regista e attore californiano ha reso giustizia ai morti nella guerra degli oppioidi. Perché di guerra, segnatamente contro i poveri, si tratta. L’identikit dei caduti è sconvolgente: ignari pazienti di sperdute cittadine di provincia, persuasi da medici (spesso ignari essi stessi degli effetti del farmaco) ad assumere il “miracoloso” OxyContin, per combattere semplici patologie, dolori articolari, mal di denti o sciatalgie. La dinamica lascia stupefatti. Vampirizzate dall’assunzione inconsapevole di una droga “legale”, mezzo milione di persone sono state risucchiate nel buco nero dell’abuso e hanno perso la vita. Grazie agli incredibili sforzi di pochi, volenterosi servitori della causa pubblica, la verità è emersa, portando alla luce un infame crimine perpetrato su larga scala ai danni dei soggetti fragili della società. La responsabilità delle aziende farmaceutiche è stata acclarata anche sul piano giudiziario. L’ultimo capitolo della triste vicenda risale al settembre del 2021. La famiglia Sackler, ricchissima dinastia di mecenati proprietaria della Purdue Pharma, ha patteggiato un indennizzo da 4,5 miliardi di dollari a titolo di risarcimento.
Il contenuto di Dopesick è chiarissimo. La serie non tace nulla, pronuncia i nomi dei colpevoli e descrive con realismo l’accaduto. La ricostruzione filologica è precisa, il risultato di idee chiare e distinte sul tema. Dopesick potrebbe candidarsi a prodotto gemello dell’illustre Chernobyl di Craig Mazin (l’ossicodone non è stata forse la Chernobyl d’America?), se non fosse per la narrazione antilineare. La serie incrocia infatti differenti assi temporali. Scivoliamo dagli anni Novanta ai pieni anni Duemila, poi a ritroso, quindi ancora avanti nel tempo, e così via. L’effetto è straniante. L’evidenza degli argomenti, la mera fabula, trova nell’intreccio “modernista” una pietra d’inciampo. A ciò si deve aggiungere il tentativo di seguire le vite di almeno sette o otto personaggi, equivalenti per importanza nell’economia del racconto. Forse gli autori hanno pensato che ridurre Dopesick a un teorema geometrico sarebbe stato un esercizio documentaristico scontato. Ad ogni modo, la storia è talmente forte, coinvolgente (e oggettivamente scandalosa) da imprimersi in noi spettatori a prescindere dalle modalità narrative prescelte. Ulteriore elemento positivo da sottolineare è l’elevato standard registico dei primi episodi, affidati a Barry Levinson e a Michael Cuesta.
All’inizio siamo proiettati nel cuore degli anni Novanta. Ai vertici della Purdue Pharma l’ambizioso Richard Sackler, fino a quel momento il nipote meno in vista della famiglia, enuncia la semplicistica filosofia alla base della nuova compressa di sua ideazione, in procinto di essere lanciata sul mercato. Il sogno di Richard è combattere il dolore. Anzi, in prospettiva, il suo obiettivo è eliminare la sofferenza fisica, compresa quella lieve, dalla faccia della Terra. Perché stare male, quando la scienza medica offre una comoda soluzione al problema? Le convinzioni di Richard, in competizione con l’influente zio Arthur, si situano al crocevia tra scientismo, fede cieca nella tecnologia, adorazione del profitto e avventurismo libertario, in sostanza i pilastri ideologici del capitalismo digitale. Sono gli anni dell’ottimismo clintoniano. Più tardi, dall’era repubblicana di Bush Jr in poi, molti reduci dall’Afghanistan e dall’Iraq si imbottiranno di farmaci per superare lo stress post-traumatico e togliersi dalla testa le immagini che continuano a ossessionarli una volta tornati in patria. La pillola di ossicodone diventerà l’oppio, in senso tanto reale quanto figurato, di una nazione.
In Dopesick le tessere del mosaico si incastrano in un doloroso racconto collettivo. In Virginia la giovane Betsy Mallum lavora in miniera, è omosessuale dichiarata e sogna di allontanarsi da una famiglia tradizionalista ossessionata dal peccato. Un giorno Betsy, psicologicamente debilitata dai silenzi omertosi della madre e dagli scontri aperti con il padre, dimentica di verificare la presenza di gas in galleria. La sua negligenza provoca un’esplosione. Betsy si ferisce alla schiena ed è costretta a chiedere le cure del dottor Samuel Finnix. Ed è qui che entra in gioco l’OxyContin. Finnix ha ricevuto da poco la visita di un rappresentante della Purdue Pharma, il rampante Billy Cutler, che gli ha proposto un nuovo farmaco, definito “prodigioso” contro il dolore. Pensiamo al contesto: una remota contea popolata da persone abituate a mestieri umili, duri, logoranti e di conseguenza esposte ad incidenti, seri e meno seri, a cadenza quasi quotidiana.
Cutler rassicura i medici sul bassissimo rischio corso dai pazienti di sviluppare dipendenza, un dato riportato sull’etichetta dell’OxyContin, peraltro validata dalla Food and Drug Administration (FDA), l’ente governativo preposto alla tutela della salute pubblica. Un grafico mostra le virtù del cosiddetto rilascio prolungato. L’ignaro Finnix prescrive il farmaco a Betsy. Il momentaneo sollievo garantito dai dieci grammi di oppioide nasconde una trappola micidiale. Chi assume l’OxyContin ne diventa schiavo, tanto da desiderarne dosaggi sempre maggiori. Se si moltiplicano le singole Betsy per tutte le comunità rurali sparse nello Stato, si ottiene un quadro devastante: la Virginia diviene, in brevissimo tempo, l’epicentro di una catastrofe di dimensioni nazionali.
Un altro versante della ricostruzione di Dopesick è rappresentata dalle complesse e accidentate investigazioni governative. Rick Mountcastle e Randy Ramseyer, due avvocati assistenti del Procuratore di Stato, indagano sull’aumento di crimini violenti. La scioccante scoperta sulla mistificazione dei dati a supporto della somministrazione dell’Oxycontin è merito loro. La pubblicazione scientifica sull’utilità degli oppioidi presentata dall’azienda farmaceutica è in realtà… una semplice lettera di cinque righe comparsa, anni prima, sulla rivista American Scientific, a firma di un medico, che, per sua stessa ammissione, ha basato i suoi studi su poche e semplici rilevazioni empiriche. Mountcastle e Ramseyer non sono però gli unici a interessarsi al caso. Bridget Meyer, agente anti-diversione della Drug Enforcement Investigation (DEA), frenata dalla sua stessa organizzazione, conduce una battaglia solitaria contro la Purdue Pharma, un attaccamento allo spirito autentico della professione destinato a costarle caro sul piano personale.
Le indagini scoperchiano un complicato sistema governato da menzogna, rapacità, fraudolenza e corruzione. I video promozionali dell’Oxycontin risultano artatamente manipolati. I medici che sostengono con entusiasmo l’ossicodone sono sul libro paga della Purdue Pharma. L’American Pain Foundation e la National Foundation for the Treatment of Pain, che tentano di convincere l’opinione pubblica del valore etico della campagna contro il dolore, non sono associazioni indipendenti come vorrebbero far credere. Uomini delle istituzioni vengono assunti con contratti milionari da quelle stesse multinazionali che avrebbero dovuto controllare.
Il cast di Dopesick è eccezionale. Michael Keaton, con pochi tocchi da maestro, sguardi, espressioni, posture, emozioni disegnate sul volto, conferisce straordinaria umanità al Dr. Samuel Finnix, vittima della stessa “medicina” che prescrive ai propri pazienti (Finnix inizia ad assumere l’Oxycontin dopo un’incidente d’auto). Michael Stuhlbarg cesella un personaggio mefistofelico, inquietante e fragile al tempo stesso: la scalata delle gerarchie dell’azienda di famiglia operata da Richard Sackler è un crescendo shakespeariano e l’hybris incontenibile di Richard, attestata dal folle proposito, ovviamente fallito, di sfondare in un mercato ultraregolato quale quello tedesco, sembra rispondere ad un’oscura nevrosi. Kaitlyn Dever è invece Betsy Mallum, la ragazza incappata suo malgrado nella tossicodipendenza, in un ambiente talmente povero e chiuso che è, a sua volta, una prigione sociale. Senza prospettive, senza futuro, Betsy è una figura dolente perfettamente interpretata dalla giovane attrice di Phoenix. Will Poulter e Philippa Soo compongono la coppia di spregiudicati rappresentanti di farmaci, Billy e Amber, (“è come la San Francisco del 1849 e noi siamo i primi cercatori d’oro”, dice Amber), colleghi in competizione e amanti occasionali. A completare il quadro, due attori di livello assoluto: Rosario Dawson è la caparbia agente Meyer, mentre Peter Sarsgaard è Rick Mountcastle, il pragmatico avvocato dello Stato.
Dopesick punta i riflettori sugli strascichi sociali causati dall’OxyContin. Ragazzini sbriciolano le compresse per farne polvere da sniffare. Spacciatori in incognito frequentano le riunioni di alcolisti anonimi per approfittare della disperazione altrui. Pastori organizzano esorcismi in chiesa per liberare i tossicodipendenti dal male. Le famiglie si disintegrano ed esplode il mercato nero. Pazienti ormai caduti nel vortice dell’abuso affrontano paradossali viaggi della speranza per procurarsi le dosi in Stati dalla legislazione più permissiva. L’impatto in termini di ordine pubblico è terribile. L’area degli Appalachi è sconvolta dalle rapine quotidiane. Il saccheggio delle farmacie è all’ordine del giorno. Si vendono gioielli, si fanno debiti e si ricorre alla prostituzione, tutto per avere l’oppioide, anche da medici senza scrupoli che hanno subodorato l’affare e distribuiscono il prodotto sottobanco (le cosiddette “balene”). Alcune scene sono un pugno nello stomaco. L’ossicodone è la porta d’ingresso per qualcosa di peggio, l’eroina.
Dopesick è una magnifica serie antispettacolare che affonda i colpi con lentezza. L’empatia per i sacrificati sull’altare del profitto si unisce all’indignazione per il cinismo radicale del capitalismo. Il flusso di denaro va in direzione della Purdue Pharma, totalmente asservita agli appetiti malati di Richard (nel settimo episodio scopriamo che la pillola ha raggiunto il dosaggio mostruoso di 160 grammi ed è ventilato un progetto per somministrare l’OxyContin ai bambini). La gara organizzata tra i rappresentanti per vincere un soggiorno premio alle Bermuda è l’apoteosi di un modello economico che esalta l’amoralità del mercato e stigmatizza i perdenti. Se affiora la dipendenza, allora la predisposizione all’abuso è “genetica”. Se le persone soffrono, allora la risposta è puntare su una posologia più aggressiva. Se il farmaco attira i drogati, bisogna “martellare chi abusa”, cioè incolpare coloro che “approfittano” dell’ossicodone per drogarsi. Questa è la strategia escogitata in sede giudiziaria dai Sackler, ovvero slegare il caos, la violenza, le morti, dalla prescrizione dell’OxyContin. Una strategia avallata dai rappresentanti degli organi di controllo, che, come intuisce Bridget Meyer, “sono gentili con un potenziale datore di lavoro”.
La serie ha il merito di avvicinare gli spettatori italiani ad una tragedia poco conosciuta fuori dai confini americani. I numeri parlano chiaro: nel solo 2019 i morti da oppioidi sono stati 50mila, contro i 15mila circa per cocaina. Inoltre, in stati come l’Ohio, dove ogni tre ore una persona muore per abuso di farmaci, la pandemia ha peggiorato la situazione, tanto da far registrare un aumento dei casi del 50 per cento. La giustizia intanto ha imboccato la strada dei patteggiamenti, la stessa seguita nelle cause contro i grandi produttori di tabacco. “Io voglio che la Purdue provi dolore”, dice Rick Mountcastle, prima di recarsi a Washington per un’udienza. Il dolore, proprio ciò che i Sackler dicevano di voler eliminare dalla vita del singolo e che, al contrario, hanno inflitto ad un’intera nazione.
Titolo originale: Dopesick
Numero di episodi: 8
Durata ad episodio: un’ora
Distribuzione: Disney+
Programmata in Italia: dal 12 novembre al 22 dicembre 2021
Genere: Drama
Consigliato a chi: pensa che i filantropi non siano necessariamente brave persone, è un mago nel leggere i grafici, non vuole che un farmaco gli/le modifichi il lobo frontale del cervello.
Sconsigliato a chi: ogni mattina si lamenta con i colleghi perché gli/le fa male la schiena, non sfoglia mai il bugiardino, si vanta di prendere farmaci per non saltare giornate di lavoro.
Visioni e letture parallele:
- Non solo Stati Uniti: sul canale Arte, il documentario Breaking Bad Europe ci spiega perché nel nostro continente la metamfetamina è la droga del momento.
- Un libro per ripercorrere un triste capitolo della storia dell’imperialismo occidentale: William III Travis Hanes e Frank Sanello, Le guerre dell’oppio. Due imperi tra dipendenza e corruzione, 21 Editore (2021).
Una scena: il dottor Finnix che danza con il fantasma della moglie.
Un concetto: il dolore come “quinto segno vitale”.
Una canzone: ‘Like spinning plates’ dei Radiohead.