Il secondo film di Nicolas Pariser, dopo l’esordio, inedito in Italia, con Le Grand Jeu nel 2015, è un piccolo film politico, che racconta l’incontro tra una ricercatrice di lettere e il sindaco di Lyon, arrivato ad uno momento chiave della sua carriera nella pubblica amministrazione.
Principi e filosofi esistono da sempre, come afferma la protagonista ad un certo punto, per respingere il solito attacco qualunquista.
Questa volta l’occasione del confronto nasce da un’impasse.
Paul Theraneau è arrivato all’ultimo mandato come sindaco di Lyon, dopo una vita spesa interamente nella politica e nel partito socialista. Ed è come prosciugato, svuotato dalla lunga pratica dell’amministrazione. Non riesco più a pensare, come confida alla giovane Alice, che ha scelto per aiutarlo a riempire il suo motore di nuovo carburante, nuove idee.
Quelle che ha sempre avuto nella sua vita, fino a che la fonte non si è inaridita, del tutto.
Alice viene dagli studi classici, era a Oxford, prima che il sindaco la chiamasse nella sua squadra e si trova così improvvisamente a fare i conti con i meccanismi del potere, da una prospettiva certamente naif, ma decisamente più libera e anticonformista, rispetto a tutti quelli che gravitano attorno a Paul Theraneau, per interesse e convenienza.
Pian piano, attraverso una serie di occasioni, ritagliate tra un comizio e una presentazione, un appuntamento e un discorso in assemblea, Alice cerca di riannodare il filo di un discorso pubblico che si è fatto assai fragile.
Cosa vuol dire essere di sinistra oggi, cosa vuol dire essere progressisti? Progresso vuol dire avere degli obiettivi e cercare di raggiungerli, ma i socialisti hanno una risposta precisa? Per i ricchi conservatori pagare meno tasse rappresenta un progresso.
Le parole ingannano, le idee di un tempo sulle quali ci siamo formati e ci hanno aiutato ad interpretare il mondo, hanno perso gran parte del loro significato, se non del loro valore.
Lo scontro dialettico tra Paul e Alice diventa così un modo per Pariser per mettere in scena la crisi di un partito che in Francia è quasi sparito, dopo aver fatto la storia repubblicana dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, fino ad Hollande.
Alice e il sindaco è un film piccolo, che racconta semplicemente la storia di un uomo e una donna, un principe e un filosofo, ma attraverso di loro vuole dirci qualcosa di più sulla disfatta di un’idea del mondo e di una politica, che ha finito per perdere le sue coordinate morali ed ha finito per schiacciarsi sulla buon amministrazione.
Come se quello da solo bastasse per raccogliere il consenso, per dare una risposta alle sfide della modernità e alla complessità dei mutamenti sociali, economici, culturali di un Paese.
Il sindaco Theraneau sa da dove viene, sa quello che ha fatto per la sua città, conosce il valore della sua politica, ma si è perso, ha smarrito la sua identità pubblica. E così ha deciso di rimettersi ad ascoltare: un’altra generazione, un altra formazione, un altro orizzonte di vita.
Pariser, che ha scritto anche la sceneggiatura del film, e i suoi attori cercano di raccontare la deriva di un’intera classe dirigente, cercando la mediazione del cinema, l’eleganza del pensiero e della scrittura.
Troppe volte il dibattito pubblico rincorre l’attualità, incapace di tentare una riflessione di sistema. La velocità parossistica della comunicazione, macina ogni tentativo di rallentare le parole, prestare ascolto e alzare lo sguardo all’orizzonte.
Alice e il sindaco invece ci prova, senza neppure fare la voce grossa e senza cedere ad un populismo di maniera e ad un eccesso di critica sterile.
Prova a condurre un’analisi, con gli strumenti che gli sono propri, con la leggerezza che della vita, che non esclude amarezze e sconfitte.
Il discorso della vita che il sindaco scriverà con Alice, rimarrà sullo schermo di un computer. Altre logiche finiranno per prevalere, assai più prosaiche.
Anaïs Demoustier ha vinto il César per la migliore attrice dell’anno, con il ruolo di Alice, ma non meno efficace è Fabrice Luchini, nel ruolo del sindaco, chiuso nella sua routine insoddisfatta.
Eppure il film di Pariser ci ricorda cosa può essere davvero la politica: non slogan di coach improvvisati e idee sconclusionate di ricchi guru, ma lettura, ascolto, confronto, sintesi.
L’appello alla modestia, che è la prima nota di Alice per Paul, è il filo conduttore che accompagna tutta la loro storia, ed è anche l’unico modo per ricominciare a parlarsi, continuando ad ascoltarsi, a correggersi a migliorarsi, come nella bellissima scena della scrittura del discorso, per il congresso.
Anche se poi la Storia prenderà un corso diverso, forse l’importante era davvero ritornare a confrontarsi e a ragionare sulle nostre scelte.
“Ho ricominciato a leggere. Almeno un pochino”.