Park Chan-wook, regista di culto, è approdato nel mondo della serialità. Un evento di prima grandezza che, comprensibilmente, ha generato aspettative, soprattutto negli estimatori del cineasta sudcoreano. In molti si attendevano dalla miniserie The Little Drummer Girl, marchiata BBC, un piatto freddo servito in salsa hard boiled, una rappresentazione nera, cinica e pulp del romanzo di John Le Carrè, qui nella veste di produttore esecutivo. Con un’abile mossa, l’autore della celebre trilogia della vendetta (Mr. Vengeance, Old Boy, Lady Vengeance) ha lavorato di sottrazione, realizzando una versione raffinata e cerebrale del racconto di spie, noto in Italia con il titolo “La tamburina”. Il circolo vizioso delle faide, risolto nel pragmatico nichilismo tipico della violenza di Stato, è sviscerato dal regista con eleganza d’autore. Park Chan-wook si sofferma sul potere seduttivo della persuasione mentale e indaga il significato dei ruoli e quindi il peso delle relazioni, all’interno di quelle strane organizzazioni umane che sono le agenzie di spionaggio internazionale. Un lavoro aderente al materiale letterario di partenza, poggiato sul talento di attori in stato di grazia.
Attori di polso, a cominciare da Michael Shannon, un fuoriclasse in grado di farci amare Martin Kurtz, il suo personaggio, non certo il prototipo della simpatia. Kurtz, a capo di una cellula di controspionaggio del Mossad dedita ad eliminare “terroristi” palestinesi che, a loro volta, uccidono “sionisti” ai quattro angoli d’Europa (torneremo dopo su queste definizioni “tra virgolette”), è un israeliano privo di titubanze morali, calato nella sua basilare funzione di eliminatore di nemici politici. Kurtz ha un numero tatuato sul braccio, eredità di un campo di concentramento nazista e ora, in pieni anni Settanta, cerca di portare a termine la sua missione: proteggere gli ebrei. Così ingaggia Charlie, ragazza inglese apertamente di sinistra, in fuga da un contesto familiare difficile, talentuosa attrice di una piccola compagnia amatoriale, che si esibisce a Londra davanti a un pubblico composto da intellettuali e attivisti radicali. Charlie, interpretata da Florence Pugh (già Katherine Lester in Lady Macbeth del 2016) è vicina alla causa palestinese e partecipa a riunioni segrete organizzate da militanti rivoluzionari. Il terzo pilastro della serie è Alexander Skarsgård (il vampiro Eric Northman in True Blood e il neosposo Michael in Melancholia di Lars von Trier, tanto per citare un paio di partecipazioni notevoli), alias Gadi, agente israeliano, combattente ferito in molte guerre, addestratore designato di Charlie, infine suo amante.
Perché la ragazza accetta di servire la causa israeliana? Dove passa il confine tra la costrizione e la libertà? Può essere utile prestare attenzione a un’immagine, semplice e potente, per avvicinarsi al senso profondo di The Little Drummer Girl, una riflessione filosofica sulla natura, schizofrenica eppure coerente, dell’essere spia. Nel primo episodio Gadi, turista in incognito, aggancia la compagnia di giovani attori, in viaggio premio in Grecia dopo uno spettacolo di successo. Charlie avverte una strana attrazione, mescolata a timore, per il bel tenebroso solitario che legge in spiaggia libri di matrice marxista. Lo asseconda, persuasa dall’eloquenza e incuriosita dalla stranezza della situazione. Quando lui le chiede di lasciare per qualche giorno gli amici e di seguirlo in un viaggio in macchina, lei non si tira indietro. Arrivati all’Acropoli in un orario inusuale, i due si lasciano andare a un inseguimento letterario sotto la luna che assomiglia a un corteggiamento teatralizzato (o viceversa). Ecco l’immagine. Il regista filma le loro ombre, gigantesche, proiettate sulla parete esterna di un tempio greco. L’evocazione dell’imperituro mito platonico della caverna è evidente. Le ombre sono l’unica realtà accessibile mentre la verità riposa al di qua della luce? L’uomo e la donna sono destinati a mimare una parte, a indossare un ruolo che si staglia, monodimensionale, sul freddo muro della Storia? Chissà.
Un altro elemento di interesse è fornito dalle scelte cromatiche. La serie è impastata di colori caldi, mediterranei, intervallati e messi a confronto, con giusta intuizione drammaturgica, con le tonalità fredde delle città tedesche e il verde opaco dei campi, tagliato dalle autostrade che solcano la Mitteleuropa. The Little Drummer Girl è una serie nomade, peregrina tra gli ambienti cangianti di molti paesi, dall’Inghilterra all’Austria, dalla Jugoslavia al Libano. Le bombe contro gli obiettivi ebraici esplodono negli anonimi contesti, postmoderni, di periferie suburbane teutoniche (Bad Godesberg, un nome che riporta la memoria a svolte politiche incise nella coscienza di un continente), mentre le attività di Intelligence si svolgono nella cornice di complessi architettonici carichi di ricordi dolorosi (la zona olimpica di Monaco, teatro dei luttuosi fatti del 1972), e in interni sospesi tra minimalismo disadorno e funzionalismo essenziale. I frammenti si uniscono in un insieme ben calibrato. Le frizioni e i contrasti, anche di luminosità, di riverberi, si armonizzano nella mano sapiente, a volte estetizzante, del regista, maniacale nel ricercare la giusta inquadratura. Park Chan-wook si avvale spesso di zoom, a segnalare lo spostamento del focus dell’attenzione drammatica da un personaggio all’altro.
Gli israeliani sfruttano le competenze mimetiche della ragazza, pedinata e schedata analiticamente. Gli agenti sanno della sua tendenza a inventare storie, compresa quella su un padre, con ogni probabilità, differente da quanto immaginato. La bionda attrice, appassionata di Shakespeare (un riferimento obbligato) e devota alle ragioni degli oppressi, tesse la sua vita di particolari inesistenti, per resistere alla perdita, alla sofferenza, alla solitudine. Charlie è una preda ideale per gli opposti contendenti ed è il Mossad a scrivere per lei il copione definitivo. La trama è imperniata su una relazione sentimentale, mai avvenuta, tra la ragazza inglese e Michel, giovane fratello di Khalil, obiettivo della caccia grossa capeggiata da Kurtz. Il palestinese, abile nell’abbordare giovani disadattate per indirizzarle, con metodo, all’azione antisionista sul suolo europeo, non avrebbe potuto fare la stessa cosa con Charlie? Lo spettatore è calato in un meccanismo di finzioni portato alle estreme conseguenze, basato sui condizionali che, nella stesura israeliana, diventano indicativi. Nel suo infiltrarsi là dove si sarebbe trovata a suo agio, tra i compagni indottrinati, Charlie diventa se stessa negando se stessa. È questa la contraddizione latente in The Little Drummer Girl: su un differente piano si chiamerebbe psicosi. Un condizionale, appunto. Lo spionaggio non è altro che follia canalizzata in mestiere.
Osserviamo gli abiti che Charlie è chiamata a indossare. Monocromatici, o geometrici, a simulare una diversità che è distensione, castità intellettuale, purezza d’animo. Il look della ragazza equivale all’ostentazione di un sintomo, un po’ come il dirigente di polizia in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, che occulta la sua colpevolezza esponendola al massimo grado. “Vedi”, sembra dire Charlie ai filopalestinesi che l’accolgono e ne testano il grado di sincerità, “sono io l’infiltrata, ma non mi puoi vedere, perché ti somiglio troppo”. Forte dell’immacolato fanatismo dei martiri, ethos da assimilare con perizia, l’infiltrato è in grado di arrivare vicino al target da colpire, nel cerchio intimo della zona di annientamento. Non vi è nulla di più vero delle sue menzogne. La logica in lui, o in lei, collassa. Forse, bisogna essere superuomini per colpire al cuore la Storia. Charlie è una cavia consapevole, un’esca velenosa gettata in pasto al nemico, che abbocca. Per riuscire nella missione, aderisce ad un mondo da distruggere, come il parassita, nel regno animale o vegetale, si nutre dell’organismo che lo ospita. In questa tecnica di fusione totale, il classico tema del doppio si declina come fedeltà contemporanea a due copioni, da una parte i committenti dell’azione, dall’altra le vittime designate, poli co-esistenti, finché la tensione diviene insostenibile e l’esito del processo ne dilania uno.
Ed è in Gadi che lo specchio implode in mille pezzi. Gadi non è un attore, ma lo diventa, per formare a dovere Charlie. Simula le pose, le parole, i tic, le abitudini di Michel, davanti agli occhi di una discepola che inizia a vedere nell’israeliano le fattezze del palestinese. Il “sionista” e il “terrorista” sono, infine, figure tragiche, incastrate in un sortilegio. In The Little Drummer Girl manca un giudizio storico, perché il focus del romanzo, e della serie, non è prendere posizione in merito al conflitto tra arabi e israeliani. Il ragionamento, esasperato dalla lente della violenza politica, mira a una verità universale, superiore ad ogni contingenza. Simulare è vivere? Gadi è obbligato a pensare i pensieri di un palestinese, e non è escluso che li comprenda. Per citare Peter Handke, “io sono io solo per caso” e questa casualità non si esaurisce con una resa o una piana constatazione: occorre entrare nella parte, cambiare pelle. La spia perfetta dimentica di essere appesa a un filo, e in questa ignoranza cova una potenza smisurata. La mente si adagia in labirinti borgesiani. Chi desidera, Charlie? Quale corpo vorrebbe abbracciare, quello dell’agente, punteggiato di cicatrici, o quello disteso sul letto, narcotizzato, umiliato, del combattente inerte, preso al laccio dall’inesorabile Kurtz? Sono così incompatibili, quei corpi, o si sovrappongono? Gadi chiede a Kurtz se debbano rimandare la ragazza in mezzo ai nemici “come una di loro o come una di noi”. La risposta del suo superiore è eloquente: “Che importa?”
The Little Drummer Girl non è esente da punti deboli. La serie, per larghi tratti, manca di suspence e pare compiacersi del suo andamento lento, risultando elettrizzante, come conviene di norma a una spy story, solo nel finale. Merita comunque il nostro plauso. La sceneggiatura ci regala, qua e là, silenzi imprecisati e isole di oscurità. Accettiamole. Siamo nel mondo delle spie. Alcune tessere del domino, noi, non le vedremo mai.
CONSIGLIATA A CHI: cerca messaggi segreti nelle vecchie cartoline, vorrebbe avere nel suo garage una Mercedes rosso fiammante anni Settanta, utilizza ancora le radio a pile.
SCONSIGLIATA A CHI: ha l’incubo di restare chiuso in una stanza insonorizzata, non apprezza la guida sportiva, accetterebbe un pacco regalo da un’avvenente sconosciuta che bussa alla sua porta.
PERCORSI DI VISIONI E LETTURE PARALLELE:
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Un film dalla limpida struttura: Munich di Steven Spielberg (2005)
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Un libro disarmante e freddissimo: Uccidi per primo. La storia segreta degli omicidi mirati di Israele di Ronen Bergman (Mondadori, 2018)
TITOLO ORIGINALE: The Little Drummer Girl
NUMERO DI EPISODI: 6
DURATA DEGLI EPISODI: 55 minuti circa l’uno, tranne il doppio episodio finale
DISTRIBUZIONE originale: BBC One
DATE DI PROGRAMMAZIONE in UK: 28 Ottobre – 2 Dicembre 2018
UNA FRASE PER RIASSUMERE LA SERIE: una riflessione di Amos Oz, grande scrittore israeliano recentemente scomparso: “per quanto riguarda il tradimento: chi porta al mondo una cosa nuova, tradisce le cose vecchie. Traditore era il profeta Geremia, e per gli ebrei Gesù. E lo sono stati Lincoln, De Gaulle, Ben Gurion agli occhi della destra, perché il fondatore del nostro Stato ha rinunciato nel 1948 a metà della Terra d’Israele. Traditore è stato Rabin. E l’hanno ammazzato. Anche io sono stato più volte accusato di essere un traditore. Per me è come una medaglia al merito” (tratto da un’intervista rilasciata a Wlodek Goldkorn su Repubblica, il 20 Ottobre 2014, a proposito del suo romanzo Giuda edito in Italia da Feltrinelli).