Il terzo film di Dan Gilroy dopo Lo sciacallo e End of Justice, sembra una nuova ricognizione all’interno di un microcosmo narrativo chiuso, com’era accaduto per i network e i cronisti d’assalto e per la giustizia e gli studi legali, in precedenza.
Velvet Buzzsaw è ambientato ancora una volta a Los Angeles, ma nel mondo dell’arte contemporanea, tra critici influenti e bisessuali, galleriste potenti, artisti in crisi, assistenti che vogliono emergere a tutti i costi.
Se tuttavia la prima parte asseconda un ritratto sulfureo e brillante delle dinamiche di sesso e potere che regolano un mondo fatto di effimero e di percezioni condivise, che producono valori transitori, nella seconda il film svolta radicalmente e si perde in una deriva horror, da cui non riesce più ad uscire.
Mentre i due film precedenti avevano un unico vero protagonista, ossessionato del proprio mestiere, Velvet Buzzsaw è un film corale.
Morf Vandewalt, un critico temutissimo dal cui giudizio spesso dipende il successo o il fallimento di un artista, è innamorato di Josephina, l’assistente della gallerista Rhodora Haze. All’esposizione di Art Basel a Miami, incontra anche Gretchen, che cura gli acquisti del museo cittadino, ma vorrebbe fare altro.
Jon Dondon gestisce una galleria concorrente della Haze e strappa a quest’ultima il notissimo Piers, che tuttavia non riesce più a produrre nulla, da quando ha smesso di bere.
La Haze si è nel frattempo assicurata un giovane artista underground, Damrish, strappandolo alla concorrenza ed al suo collettivo che lavora downtown.
Quando Josephina scopre casualmente che il vicino appena deceduto, ha lasciato un’enorme collezione di suoi dipinti sconosciuti, se ne appropria e intuendone il potenziale, decide di metterli sul mercato con la collaborazione di Rhodora Haze e di Morf.
Solo che questi dipinti hanno un fascino davvero misterioso…
La ronde che coinvolge i protagonisti nella prima parte, tra ricatti, tradimenti, corruzione e avidità, si tinge di nero e di rosso nella seconda, quando una serie di morti violente e misteriose, decimano la piccola comunità al centro del racconto.
Se Morf si accorge subito che qualcosa non quadra nei dipinti dell’artista misconosciuto, gli altri sembrano tutti preoccupati di ricavare il massimo da quella improbabile scoperta.
Morf, da buon critico, si mette sulle tracce dell’autore, Vetril Dease, cerca di ricostruirne la storia e di capirne i motivi, ma arriva troppo tardi alla verità. Il suo è l’unico personaggio davvero consapevole e integro. Insopportabile e pieno di sè, ma anche incorruttibile e integro nel suo mestiere, lo vediamo preda di un crollo nervoso progressivo e inarrestabile.
Ci sarebbe poi da riflettere sulla questione della paternità dell’artista rispetto alle sue opere e sulla libertà di negare e distruggere anche ciò che si è creato, a dispetto dell’apprezzamento che altri sembrano avere. Ma il film non vuole essere davvero un saggio pensoso, quanto un divertissement virato al nero.
Il film di Gilroy è sbilanciato e sconclusionato, satira grottesca all’inizio e horror old style alla fine, tenta la strada del film di culto, bizzarro e improbabile, sollevando più domande che risposte, come mostra il bel finale sui titoli di coda, con l’artista rimasto solo a dipingere cerchi sulla sabbia.
Bravissimo Jack Gyllenhaal come al solito, sorprendente l’attrice teatrale e televisiva inglese Zawe Ashton, indovinatissimi i caratteristi Toni Colette, Rene Russo e John Malkovich.
Non per tutti i gusti.