La Palma d’oro del 71° Festival di Cannes è andata in Giappone, al bellissimo Shoplifters – Un affare di famiglia di Kore-Eda Hirokazu.
Era dal 1997 con L’anguilla di Imamura, che un giapponese non vinceva sulla Croisette. Il premio è ampiamente meritato, anche perchè Shoplifters non è solo un film intelligente e riuscito, ma è certamente il migliore di Kore-Eda.
Il Grand Prix invece va un po’incongruamente a Spike Lee, per un film piuttosto ordinario, ma fortemente militante. E il coté politico deve essere stato importante nei lavori della giuria, che ha voluto segnalare anche Capharnaum, 3 faces e Ayka, tre film forse non pienamente riusciti, ma con un occhio attento alla condizione femminile, all’abisso dei clandestini e dei ragazzi di strada.
Pawel Pawlikowski con il suo meraviglioso Cold War festeggia con il premio alla regia. Forse meritava di più.
Due riconoscimenti importanti all’Italia, con Marcello Fonte miglior attore per Dogman e Alice Rohrwacher migliore sceneggiatrice per Lazzaro felice. Di più non si poteva sperare: sono due film imperfetti con grandi qualità. Certo la sceneggiatura della Rohrwacher è proprio il punto debole del film. Ma si sa che le giurie distribuiscono spesso i premi, rispondendo più alle proprie passioni che ai valori oggettivi.
I due successi italiani completano una pattuglia tricolore premiatissima: il notevolissimo Samouni Road aveva già vinto il premio per il miglior documentario del festival, L’Oeil d’Or, e Troppa grazia di Gianni Zanasi si era imposto alla Quinzaine, vincendo l’Europa Cinemas Label Award e succedendo così ad A ciambra che l’aveva vinto l’anno passato. Bottino pieno.
Come ha scritto qualcuno, è dal 2008, che vinciamo regolarmente premi nei quattro grandi festival europei, agli EFA e anche agli Oscar, segno di una vitalità del nostro cinema, che forse solo gli spettatori un po’ distratti e il nostro asfittico sistema distributivo rifiutano di considerare: lo dobbiamo alla bravura dei già affermatissimi Matteo Garrone, Paolo Sorrentino, Alice Rohrwacher, Luca Guadagnino, Saverio Costanzo, Emanuele Crialese, Mario Martone, Paolo Virzì, Giorgio Diritti, del gruppo che sta sul confine tra genere e serialità con Stefano Sollima, Francesca Comencini, Claudio Giovannesi, Gabriele Mainetti, Matteo Rovere, Andrea Molaioli, i Manetti Bros. e poi dei più giovani Jonas Carpignano, Edoardo De Angelis, Francesco Munzi, Susanna Nicchiarelli, Leonardo Di Costanzo, quindi della grande scuola del cinema della realtà con Gianfranco Rosi, Federica di Giacomo, Pietro Marcello, Roberto Minervini, Michelangelo Frammartino e ancora dell’animazione con Alessadro Rak e il suo gruppo napoletano.
Un gruppo vasto, eterogeneo, non sempre capace di rispettare le attese, spesso lontano dall’immagine stereotipata del cinema italiano, ma tra i più fecondi a livello europeo.
Assieme alla Rohrwacher la giuria ha voluto premiare per la sceneggiatura anche il film di Panahi. E’ stata la figlia del regista a ritirarlo, ricordando il maestro Kiarostami.
Una Palma speciale è stata assegnata, un po’pleonasticamente, a Godard.
Forse l’unico grande film lasciato a bocca asciutta è stato Burning, amatissimo in sala stampa, così come Ash is the purest white di Jia Zhangke. Ma complessivamente è stato un palmares intelligente che ha tenuto assieme politica e qualità, per quanto possibile.
La cerimonia è stata perfettamente gestita da Edouard Baer e si è conclusa con i vincitori sulla montée des marches con Sting e Shaggy che cantavano per loro e per il pubblico. Un colpo di classe notevole.
Indimenticabile è stato l’intervento di Asia Argento, chiamata a presentare uno dei premi, che ha ricordato di essere stata stuprata proprio a Cannes nel 1997, perchè il festival era uno dei terreni di caccia di Weinstein. Il suo discorso ha fatto gelare il sangue in platea.
Cala così il sipario su una rassegna di grande qualità, capace di consacrare sguardi nuovi e di consolidarne altri. Dopo le polemiche con Netflix, le polemiche sugli americani assenti e il bando ai selfie e alle proiezioni stampa anticipate, alla fine si può dire che Fremaux abbia vinto la sua battaglia su tutti i fronti. Dopo un paio di edizioni minori, il festival si dimostra in piena salute, forte, ricco, deciso a imporre le sue scelte a tutto il mondo del cinema. Esattamente il ruolo di leadership che Cannes ha sempre avuto e che qualche scricchiolio di troppo sembrava aver incrinato.
Il palmarès di Cannes 71
Palma d’Oro: Shoplifters di Kore-Eda Hirokazu
Palma d’Oro speciale: Jean Luc Godard
Grand Prix: BlacKkKlansman di Spike Lee
Miglior regista: Pawel Pawlikowski per Cold War
Miglior attore: Marcello Fonte per Dogman
Migliore attrice: Samal Yeslyamova in Ayka
Migliore sceneggiatura ex aequo: Alice Rohrwacher per Lazzaro Felicee Nader Saeivar & Jafar Panahi per 3 faces
Premio della Giuria: Capharnaum di Nadine Labaki
Caméra d’Or: Girl di Lukas Dhont
Palma d’oro per il cortometraggio: All these creatures di Charles Williams