Well-known actress Behnaz Jafari is distraught by a provincial girl’s video plea for help – oppressed by her family to not pursue her studies at the Tehran drama conservatory. Behnaz abandons her shoot and turns to filmmaker Jafar Panahi to help solve the mystery of the young girl’s troubles. They travel by car to the rural northwest where they have amusing encounters with the charming folk of the girl’s mountain village. But the city visitors soon discover that the protection of age-old traditions is as generous as local hospitality…
Un video ripreso con un cellulare, l’immagine mossa del primo piano di una giovanissima donna, Marziyeh, che fa appello ad una famosa attrice, perchè l’aiuti a convincere i suoi genitori, che il suo desiderio di diventare un’attrice non è disdicevole e futile. La ragazza si muove in quella che appare una grotta, poi si avvicina ad un cappio e sembra decidere di farla finita. Il messaggio si interrompe.
Comincia così il nuovo film Jafar Panahi, da molti anni costretto prima agli arresti domiciliari, poi a non poter abbandonare il proprio paese natale. Eppure il suo cinema clandestino non ha mai smesso di raccontare il suo paese, le sue contraddizioni, il suo retaggio culturale, spesso da una prospettiva femminile.
Tre volti segue il bellissimo Taxi Teheran e sembra quasi un proseguimento di quello. Siamo ancora in auto, con lo stesso Panahi alla guida e l’attrice Behnaz Jafari, destinataria del messaggio che, sconvolta, ha abbandonato il set della serie che stava girando, per raggiungere il piccolo paese di montagna, fuori Teheran, da dove, attraverso il regista, le è arrivata questa disperata chiamata di aiuto.
Il timore di non fare in tempo si sposa a quello di essere stata messa in mezzo, in un gioco crudele, di cui forse anche il regista fa parte.
Nel lungo viaggio notturno si affollano mille domande. Quando poi i due protagonisti arrivano nel piccolissimo villaggio scoprono una realtà arcaica e retrograda, da cui loro stessi non vedono l’ora di scappare.
Nel paese nessuno vuole sapere nulla di Marziyeh, che tutti considerano una poco di buono, perchè ha sempre voluto studiare ed è stata di nascosto al Conservatorio di Teheran, per sottoporsi ad un esame di ammissione, che ha brillantemente superato. Ma la famiglia, che l’ha già promessa in sposa, ed in particolare il fratello, non vogliono lasciarle frequentare i corsi.
Nel piccolo paese vive anche un’anziana attrice dei tempi precedenti alla rivoluzione khomeinista, chiusa nella sua solitudine e disprezzata da tutti.
Il film di Panahi si muove come un road movie sulle strade polverose dell’entroterra iraniano, cercando di mostrarne con una certa ferocia l’arretratezza culturale, economica, sociale di quel contesto rurale.
Il film è punteggiato di aneddoti imbarazzanti, dai clacson che servono a regolare la circolazione stradale, al toro da monta caduto dalla scarpata, dal vociare delle comari ,desiderose di sapere come andrà a finire la serie di Behnaz Jafari, fino al prepuzio di un figlio, regalato al regista dopo la circoncisione, con l’impegno a consegnarlo ad un vecchio attore del passato, che ormai vive all’estero.
Pur girato in gran parte all’interno dell’autovettura di Panahi, il film è infatti capace di indagare il mondo in cui i due uomini di spettacolo sono costretti ad entrare, restituendone un ritratto molto critico e per nulla agiografico o elegiaco.
La bellezza del paesaggio, le strade che si inerpicano attraverso quelle colline, che i cineasti iraniani hanno celebrato nel corso degli ultimi trent’anni, non hanno più davvero nulla di romantico: portano solo a villaggi perduti e sperduti, lontani da ogni civiltà.
Nonostante l’ospitalità di pura facciata, da quelle vallate non si può che scappare a gambe levate, come mostra Panahi nel finale.
Per una volta il clichè dell’incontro tra la gente semplice e la classe privilegiata e intellettuale viene ribaltato: non c’è davvero nulla da imparare per Panahi e per la Jafari, ma è Marziyeh a trovare la forza di scappare da un contesto familiare e sociale superstizioso e ignorante.
Questo Tre volti è forse un invito ai giovani del suo paese, un tentativo di raccontare che la frustrazione e le imposizioni familiari devono essere spezzate, per seguire percorsi diversi, di emancipazione, di istruzione, di cultura.
E’ un messaggio forse semplice e scontato, per chi vive un occidente sin troppo secolarizzato e libertario, ma invece probabilmente ancora significativo per l’Iran, sempre in bilico tra riformisti e radicali.
CREDITS
Jafar PANAHI – Director
Jafar PANAHI – Script / Dialogue
Nader SAEIVAR – Script / Dialogue
Amin JAFARI – Director of Photography
Mastaneh MOHAJER – Film Editor
Panah PANAHI – Film Editor
Amireza ALAVIAN – Sound
Leila NAGHDI – Set decorator
Abdolreza HEYDARI – Sound
CASTING
Behnaz JAFARI – Behnaz Jafari
Jafar PANAHI – Jafar Panahi
Marziyeh REZAEI – Marziyeh Rezaei
Maedeh ERTEGHAEI – Maedeh
Narges DEL ARAM – Mother