Habemus Papam. La recensione di Stanze di Cinema

Habemus Papam **1/2

Inutile nascondersi: Nanni Moretti è stato nel panorama devastato del cinema italiano degli anni ’80 una guida, una speranza, un autore che indicava un percorso del tutto originale, inconsueto.

Quella di Moretti è un’idea di cinema in cui l’autobiografia ed il racconto delle proprie ansie, delle prorie idiosincrasie, delle proprie incrollabili certezze finiva per incarnare paure e desideri non più solo personali.

Il percorso di Moretti è sentimentale e politico assieme: l’intransigenza di Michela Apicella, suo alter ego in molti film, era frutto di un’insoddisfazione civile, ma anche di un’inadeguatezza a vivere le proprie passioni e l’incontro con le donne.

Il licantropo che fugge alla fine di Sogni d’oro, il killer seriale di Bianca che non sopporta l’infedeltà degli amici, Don Giulio de La messa è finita, che tornato nella sua città non riconosce più gli amici di un tempo, persi tra terrorismo, insoddisfazione, noia sono tutti personaggi che hanno contribuito a costruire il culto laico del regista nato a Brunico.

Lo straordinario e definitivo Palombella Rossa, in cui Apicella è un militante comunista, in preda ad un’angosciosa amnesia, appare ancora oggi densissimo sul piano personale e politico: il segno infranto di un partito e di un paese destinato a repentini cambiamenti.

Dopo la curiosa parentesi, in gran parte autobiografica di Caro Diario, Moretti aveva deciso di alternare due film più decisamente politici, Aprile e Il caimano, ad un altro invece capace di esorcizzare la paura più grande per un padre: quella della morte del proprio figlio.

La Palma d’Oro conquistata a Cannes proprio con La stanza del figlio, il più cupo e tragico dei suoi film, sembrava aver segnato un punto di non ritorno anche stilistico: più attenzione alla costruzione drammatica delle sceneggiature, l’addio agli alter ego ed alla prima persona, per un racconto più distaccato, più controllato.

Il caimano era sembrato una conferma, da questo punto di vista, con un Moretti defilato, che lasciava il ruolo da protagonista a Jasmine Trinca e ad altri attori.

Questo ultimo Habemus Papam sembra essere invece un ritorno al passato, con una storia più frammentata, incapace di seguire fino in fondo il percorso solitario di un papa, appena scelto dal conclave dei cardinali, che rifiuta il ruolo che gli è stato affidato.

Moretti affianca a questa linea narrativa una seconda storia, che ha per protagonista lo psicanalista chiamato in Vaticano per aiutare il nuovo eletto, che rimane bloccato con i cardinali nel conclave, quando il santo padre fugge per Roma.

Il film segue pazientemente un doppio registro narrativo e stilistico: Habemus Papam è malinconico e meravigliosamente evocativo quando pedina il cardinale Melville, neo-eletto al soglio di Pietro, che, uomo tra gli uomini, si perde per le vie di Roma, prende l’autobus, mangia una ciambella da un panettiere notturno e poi finisce per unirsi ad una compagnia teatrale, seguendo il suo sogno di ragazzo.

Ma, mentre Melville, sempre più incerto se accettare l’incarico affidatogli, è assente, i cardinali rinchiusi con lo psicanalista a San Pietro, devono in qualche modo passare il tempo. Ed è in questo controcanto vaticano che si insinua un tono più scanzonato, leggero, finanche bonario.

Lo psicanalista gioca a carte con i religiosi, organizza per loro un torneo di pallavolo e finisce per scoprirne debolezze e piccole manie.

Siamo dalle parti di Caro Diario, della commedia più tipicamente morettiana, piena delle sue ossessioni: il cappuccino con poca schiuma, la guardia svizzera che si abbuffa di torte e cioccolata, i cardinali che vogliono provare i bomboloni alla crema di Borgo Pio, la voglia di vincere e l’agonismo sportivo. Il Moretti attore ha il sopravvento sul regista ed il film, pur regalando momenti di sapida ironia, finisce per perdere la propria carica drammatica.

E così il finale, che Moretti ha voluto accompagnare con una musica sin troppo greve e solenne, arriva inaspettato e sin troppo rapido, in contrasto con quella pacificazione e quella serena comprensione che laici e religiosi stavano sperimentando nella clausura coatta del Vaticano.

Questo doppio registro finisce anche per sminuire il dubbio del nuovo papa: mostrare la vita dei cardinali in modo tutto sommato lieve e giocoso, non aiuta certo a comprendere perchè il nuovo eletto si mostri riluttante ad accettare l’incarico e incapace di sopportare il potere e le responsabilità, intimamente connesse con una delle poche cariche che ancora oggi restano elettive e destinate a durare per l’intera vita.

Come se lo spunto iniziale così brillante, su un uomo di potere che si sente inadatto, non trovasse poi nella storia raccontata da Moretti un’adeguata giustificazione e restasse sospeso e incerto, come il protagonista: vittima di un’impasse tanto personale, quanto narrativa.

La sceneggiatura di Moretti, Piccolo e Pontremoli accumula episodi, in sè anche riusciti, ma che aggiungono poco alle premsse raccontate nei primi minuti. Habemus Papam è il film di un’attesa continuamente rimandata e come il suo protagonista, Moretti non ha il coraggio di accettare fino in fondo il compito che si era dato, cioè quello di girare un film capace di raccontare in modo laico e senza scorciatorie, un sentimento così inconsueto: preferisce rimanere a mezza strada, indeciso.

Come dice nel Caimano, è sempre tempo per una commedia, ma forse qui il registro avrebbe dovuto essere diverso.

Michel Piccoli è straordinario, come già nel bellissimo Ritorno a casa di Manoel De Oliveira: usa una meravigliosa economia di mezzi, per esprimere – in italiano – tutto il tormento interiore e l’angoscia per una scelta impossibile. Moretti gli regala forse l’ultimo grande ruolo di una carriera senza macchie, che l’attore francese arricchisce di umanità e sguardi perduti. Forse Moretti si è lasciato ispirare anche dalla figura di Karol Wojtyla, per questo suo Melville attore mancato.

Il Vaticano non ha di che preoccuparsi dalla rappresentazione che il film ne propone: non ci sono accenni polemici, nè intenti accusatori in Habemus Papam. Anche il confronto tra il laico Moretti e l’intero conclave avviene nel rispetto e forse nell’indifferenza reciproca: non è più tempo di conversioni o di confronti accesi. La tolleranza si è stemperata nell’inedia.

Resta infine la testimonianza di un film che racconta il coraggio di una rinuncia e la fragilità nascosta dietro l’apparente invulnerabilità. In un paese in cui le igieniste dentali (e sia detto con tutto il rispetto) sognano il Parlamento, attraverso comode scorciatoie orizzontali, riflettere sui propri limiti, sull’inadeguatezza dei propri mezzi, sull’etica del potere è di per sè un gesto rivoluzionario e significativo: forse però, più del degrado del nostro modo di intendere la cosa pubblica ed il potere privato, che non della bellezza e dell’efficacia di questo Habemus Papam.

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