Magnifica presenza *1/2
Di magnifico, nel nuovo film di Ferzan Ozpetek non c’è proprio nulla.
Dopo il felice esito di Mine vaganti, nel quale i temi dell’identità sessuale e dell’eredità paterna in una famiglia del sud, venivano declinati con i toni lievi della commedia, in questo nuovo film, Ozpetek non trova mai la misura giusta.
Come nei suoi film più deboli (ed ormai cominciano ad essere davvero troppi, da La finestra di fronte a Saturno contro, fino a Un giorno perfetto) il regista romano sovrappone in maniera impropria temi e tempi diversi, in una sceneggiatura, scritta assieme a Federica Pontremoli (Habemus Papam), che fa acqua da tutte le parti.
Il gioco con il teatro, che si collega in maniera evidente a quello del film di Nanni Moretti, è forse la parte più interessante del film, che però non ha il coraggio di farsi davvero racconto di tradimenti e orrori del passato.
Ed allora ecco un protagonista pasticcere – ma solo di cornetti – ovviamente omosessuale, un po’ anche stalker, che affitta una casa antica a Roma, nel quartiere di Monteverde vecchio, insolitamente a buon mercato.
Presto scoprirà che la casa è abitata da una compagnia teatrale, di cui si erano perse le tracce nel 1943: sono fantasmi del passato, imprigionati nelle stanze e nei costumi di allora.
Aiutato da una lontana cugina che lavora in uno studio legale, cercherà di vincere le sue incertezze di attore e di amante respinto.
Mentre il racconto delle presenze è anche curioso e indovinato, la cornice presente suona quasi sempre posticcia e imbarazzante: le più elementari regole narrative sono continuamente frustrate. Il discorso tra realtà e finzione vorrebbe essere profondo, ma nel contesto di un film di Ozpetek, suona stonato come un intervento di Umberto Eco a Uomini e donne.
Del protagonista attore ci importa ben poco: non sembra avere grande talento e neppure passione per la settima arte.
Ed anche come pasticcere è un assoluto mediocre: mentre i suoi colleghi confezionano torte e prelibatezze, lui si limita alle brioche, che pure non ama e non mangia (?!).
La sua spalla comica è la cugina, impegnata a scoprire quale dei tre avvocati per cui lavora l’ha messa incinta: poco più che una macchietta, non è mai funzionale alla storia. Così come del tutto slegati appaiono la padrona di casa, volgare e ingioiellata, il vicino, gentile e forse interessato, il trans pestato a sangue, l’amante molestato e l’imbarazzante Mauro Coruzzi, nel ruolo del tutto pletorico della badessa.
E’ come se nella sceneggiatura di Magnifica presenza convivessero due anime del tutto contrapposte, che mal si sono conciliate: quella della rappresentazione, che si ribalta continuamente nella realtà, e quella del consueto racconto camp di amori diversi e infedeltà.
La Pontremoli cerca di volare alto, tra storia e sogno, Ozpetek la riporta continuamente in basso, con le solite tavolate imbandite, i soliti trans, il solito scontato elogio alla diversità sessuale, il solito stile pasticciato e la retorica buonista del ‘grande abbraccio’, capace di contenere e annullare ogni scelta.
Il racconto procede a scatti, si sfilaccia paurosamente nella parte centrale, per poi ritrovarsi un po’ solo nel finale, in cui il destino della compagnia di fantasmi ritorna al centro della scena.
Peccato che Ozpetek sprechi un cast di primissimo livello, costringendo Germano in un personaggio implausibile, spesso spaesato e inconsistente. La Buy, Fiorello, Ilmaz, Bosca e la Puccini, nel ruolo dei fantasmi, restano quasi sempre sullo sfondo.
Magnifica presenza è l’ennesimo fragilissimo film della Fandango: accanirsi ulteriormente sarebbe sin troppo semplice.
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Il SOLITO tutto, in effetti (l’apice del solito è trans picchiata che di giorno mette occhialini e gilet).
Quanto alla “Badessa”, se la mano sudata indugiante sulla testa calva voleva citare Marlon Brando (lo voleva?), le tenebre dello scantinato romano con i transelfi sussurranti al ralenty, che superano vistosamente la soglia dell’inconsapevole ridicolo (e il problema è l’inconsapevolezza, non il ridicolo), davvero non sembra idonea a rievocare ben più nobili fulgide tenebre.
Quanti ai fantasmi sono, in effetti, i personaggi più riusciti: talmente inconsistenti (non per colpa loro, invero) da sparire.
Non posso, quindi, che associarmi, del tutto modestamente, all’oltremodo efficace recensione del critico competente.
Sebbene accanirsi, in effetti, sarebbe stato troppo semplice, mi permetto di aggiungere solo un’osservazione: il nipote del farmacista turco (ovviamente) prestante (ci mancherebbe), gayvirile e in bicicletta che, tuttavia, per esserci nel momento del sangue colante non si esime dal prendere il tram (pur sempre ecologico, si intende), forse una punta di accanimento la meritava.
Grazie Mitch,
certe scene vorrei non averle mai viste. La memoria non le trattiene. Occorre scriverne per tramandarne l’orrore… Ozpetek è un fenomeno, per me, incomprensibile. Già Saturno contro era pieno di ridicolo involontario. Qui si continua alla grande.
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