Ieri mattina è stato presentato in anteprima il nuovo attesissimo film di Nanni Moretti.
Habemus Papam sarà anche a Canens in concorso. Per ora l’hanno visto solo i giornalisti italiani, da stasera è in sala.
Ecco qualche spunto dalle recensioni pubblicate oggi.
Paolo Mereghetti sul Corriere:
Chi si aspetta delle idee che non ammettono contraddittorio, delle certezze non solo cinematografiche, ma anche politiche, rimarrà deluso. A dispetto del suo titolo antifrastico, nessuno avrà un bel niente: altro che Habemus Papam!
…anche gli spettatori… rischiano lo sconcerto e lo smarrimento…
Resta la grande forza visiva e metaforica di alcune immagini, prima fra tutte quella del balcone vuoto dove il papa non vuole affacciarsi, con le tende che si aprono e si chiudono su un nero che intimorisce e spaventa, inevitabile rimando ad un oggi di paure e di rinunce.
Che però ad una prima visione del film sembrano scarsamente supportate da una sceneggiatura ondivaga, prigioniera di uno spunto geniale che forse avrebbe avuto bisogno di una diversa elaborazione.
Alberto Crespi su L’Unità:
E’ un film magnifico, quasi un miracolo: perchè il laico Moretti riesce a raccontarci il dietro le quinte di un conclave strappando numerose risate e rispettando nel contempo la solennità di un rituale in cui si identificano milioni di persone.
Nanni aveva già interpretato un sacerdote ne La messa è finita. Ma qui si fa un grande salto… Questa è la storia di un uomo che rifiuta il Potere. Nel mondo moderno è l’unica intollerabile bestemmia.
Nel film fa capolino dovunque l’ombra di Celestino V… Petrarca lo definì uno spirito altissimo e libero. Sospettiamo che Moretti sia d’accordo… nell’Italia e nel mondo di oggi ammettere di non essere i più bravi e rispedire cariche e privilegi al mittente è gesto davvero libero e altissimo.
Gianni Canova su Il Fatto Quotidiano:
Bisogna prenderlo con cautela, Nanni Moretti. Questa volta in particolare.. E’ lui stesso a consigliarcelo, a carte scoperte, in una delle scene chiave del film…
Bisogna cercare di capire esattamente cosa mostra e cosa racconta.
Il papa che rifiuta di fare il papa ha un destino da regista, mentre vorrebbe solo fare l’attore. Vorrebbe essere guidato e non se la sente di guidare… sceglie di rompere la messa in scena. E di fare della sua ultima rappresentazione la fine dello spettacolo e della finzione.
Natalia Aspesi su la Repubblica:
E’ un film di un laico, o forse di un ateo che come tale ha profondo rispetto di chi crede, e che riesce, attraverso l’ironia, le inveznioni, l’eleganza, a suscitare una commozione, e allo stesso tempo un’angoscia, che sfiorano la fede molto più di tanti film d’intento religioso.
E’ anche un film di massima intelligenza e libertà, privo di una tesi precostituita, ben attento a non accontentare chi da lui si aspettava una troppo facile critica alle gerarchie vaticane e alle loro ingerenze nei fatti nostri o qualche accenno all’attuale pontificato.
Qualunque cosa Moretti voglia dire, a parole non ce la dice, o la dice con dispettosa nebbiosità, consentendo così a chiunque di interpretare il film come crede.
C’era grandissima eccitazione e commozione, almeno a Milano, alla fine della proiezione per la stampa, e c’era un intrecciarsi di dubbi e interpretazioni… la fuga del papa desisgnato nasce da viltà o perchè in quella grandiosa roccaforte, la messinscena antiquata, che ha anche rispolverato il trono di Pio XII è oramai inefficace e non sa più rispondere al bisogno di aiuto, di fede, dell’umanità?
Mariarosa Mancuso su Il Foglio:
Gradevole un accidenti. Habemus Papam riporta Nanni Moretti ai tempi fantastici di Bianca e de La messa è finita: un film morettiano fino al midollo, ma non manierista, spassoso e amarognolo, con facce di cardinali così ben scelte che rubano la scena all’attore-regista.
Viene il sospetto, che il regista consideri la chiesa come l’unica istituzione seria rimasta in Italia (gli amici che divorziano li aveva già ammazzati in Bianca). Un bel modo di diventare pompiere, dopo essere stato rivoluzionario. Mille volte meglio dei registi suoi colleghi, diventati notai.
Silvio Danese sul Quotidiano Nazionale:
Sull’angoscia della pagina bianca, sull’horror vacui del primo sguardo, sulla scelta di partecipare e vercare la soglia delle possibilità e della coscienza del potere, Nanni Moretti ha immaginato e diretto un film spiazzante, al vertice della relazione tra responsabilità e onnipotenza, ma teneramente, anzi secondo grazia e ironia, allineato alla fragilità umana.
E’ un film che dovrebbe rendere orgogliosi i produttori… è un’opera rischiosa e riuscita, originale e insidiosa, gettata nel frastuono dei principi disattesi, dei vizi rivendicati, del rigetto dell’etica, per ritrovare una pausa sacra nell’ascolto di se stessi. Difficile dimenticare quel balcone con le tende porpora e, al centro, al posto dell’eterna silhouette bianca, il buio, il vuoto, l’assenza, la forza di dire no. Perchè? Perchè no.
Il film “Habemus papam”, di Nanni Moretti, è la storia di un’intima prigionia alla quale il cardinale Melville, eletto al soglio pontifico, è condannato non per “deficit di accudimento” come vorrebbe la giovane psicanalista che di questa spiegazione fa un leit motiv piuttosto corrivo, bensì per “eccesso di accudimento”, eccesso che lo confina nell’infelice schiera di coloro che, come dice l’eletto stesso nella scena finale del film, “hanno bisogno di esser condotti”, poiché da sempre abituati ad obbedire a una scala di valori non scelta ma imposta loro dall’esterno.
La testimonianza di questo “eccesso di accudimento” ci viene fornita in due momenti del film, Un sintomo, se pur d’importanza non decisiva, lo abbiamo nella scena in cui vediamo il neo-eletto dar sfogo, in maniera apparentemente incongrua, alla sua insofferenza o piuttosto alla sua ira, di fronte alle profferte d’aiuto della proprietaria del negozio dove egli si è rifugiato in preda allo smarrimento. Un sintomo di natura assolutamente probatoria si manifesta, invece, nel momento dell’elezione quando con quel suo grido, straziante e straziato, l’eletto protesta contro quel Dio al quale ha sempre obbedito e che ora incombe sopra di lui in modo ancor più imperioso espropriandolo, in un istante, dell’intera sua vita, facendo di lui un guscio vuoto senza più affetti, pensieri, memorie.
Inutilmente chi gli sta intorno cerca di riportarlo “in vita”: ogni espediente messo in atto per sottrarlo alla prigionia da cui è mortalmente oppresso si rivela a sua volta una nuova prigione. E’ prigione la psicanalisi che dovrebbe liberarlo e che invece gli appare costituita da schemi preconcetti tendenti a ridurre “ad unum” la complessità dell’esistere. E’ prigione. ancora, tutto ciò che può apparire, a prima vista, un paradigma di libertà, vale a dire la musica, il gioco, il teatro.
La musica innanzitutto, cui dà voce, paradossalmente, una guardia svizzera incarnazione perfetta dell’obbedienza ossequiosa. Per un attimo questa musica sembra risvegliare nei cardinali che l’ascoltano il gusto dell’improvvisazione e perfino dell’infrazione, ma poi quei loro battimani maldestri, quei loro accenni a goffi passi di danza sembrano essere il segno di una regressione infantile, di un ritorno a un’antica dipendenza.
Anche il gioco, momento apparente dell’invenzione gioiosa, si rivela, a ben vedere, una prigione fondato com’è su una minuziosa serie di prescrizioni inderogabili, di regole imprescindibili. A renderlo tale è lo psicanalista che organizza la partita di palla a volo (palla “prigioniera” aveva suggerito il decano dei cardinali) in maniera squisitamente maniacale suddividendo il gruppo dei cardinali in squadre a seconda della nazionalità, prevedendo gironi eliminatori, organizzando incontri mirati, stabilendo in modo dettagliato i modi di colpire la palla… Lo rendono tale i cardinali stessi che durante il gioco della scopa discettano su quella legge inesorabile dello spariglio che impone a chi non sia mazziere di fare in modo che le carte in gioco di un certo valore rimangano in numero dispari.
Anche il teatro, che esercita una sorta di sortilegio sul papa appena eletto e che sembra l’unica via capace di restituirgli una sua vera identità, si rivela a poco a poco come il luogo in cui la libertà, non incanalata nella regola, si tramuta in anarchia, in cui l’assenza di disciplina ingenera follia come dimostra il comportamento dissennato dell’attore che stravolge il copione per seguire, allucinato, la sua fantasia vagabonda e malata.
Su questo film dell’umana fragilità e dell’inutile compassione si potranno dire molte altre cose. Per evitare fantasiose derive aggiungerò (sacrificando a quello che sarà indubbiamente un luogo comune) che la recitazione di Michel Piccoli, tutta giocata su un’estrema economia di mezzi espressivi, si eleva ad altezze talmente vertiginose che quando l’attore non è presente sulla scena tutto sembra perdere interesse e peso. Eccellente la sceneggiatura che rifugge da ogni facile concessione all’enfasi e da ogni scivolamento verso un troppo facile umorismo cui la vicenda pur si presta. Encomiabile, infine, la ricostruzione ambientale che si raccomanda oltre che per lo splendore dei costumi, la ricchezza degli interni, l’armonia dei movimenti di massa, anche per certi dettagli che sono insieme “naturali” e calcolatissimi come, ad esempio, il cortile dove si svolgono i giochi dei cardinali, in cui la macchina da presa ci offre una visione dove coesistono il rigore geometrico delle architetture e delle decorazioni, lo svolazzare delle tonache, il lieto ondulare dei corpi, il chiacchiericcio quasi infantile dei cardinali a significare il contrasto ineliminabile fra ordine e invenzione, fra disciplina e improvvisazione.
Un film, per stringere in breve giro ciò che ho creduto di leggervi, che ci mostra come “libertà” e “obbedienza” siano i volti speculari di un identico dramma,
Mi sono fatto fregare dalla recensione di Alberto Crespi su L’Unità, e sono andato a vederlo, rimanendo non poco deluso. Mi sembra un abbozzo di film non sviluppato; a metà strada tra un film effettivamente comico ed un film che faccia pensare: non c’è uno straccio di dialogo o situazione che riveli le situazioni scomode di chi si trova ad avere potere, in definitiva non si capisce cosa veramente pensi il neo papa; sembra più che altro un bambino spaventato dalle difficoltà, mentre i cardinali in conclave sembrano scolaretti in gita. In realtà chi arriva a quegli incarichi – penso io – deve avere un minimo di crosta, cerca di non esporsi a sentimenti e sensazioni che possono sembrare a se stesso ed agli altri puerili, segno di debolezza, e questo si dovrebbe vedere. Insomma si poteva svolgere meglio il tema, che per me è rimasto appunto un abbozzo. Insomma: o apertamente comico oppure un qualcosa che invitasse veramente alla riflessione, non un neo papa che vaga di qua e di là senza meta regalando qualche accenno di frase ogni tanto.
Sono d’accordo. Il tema è interessante ma, a mio avviso, sviluppato male, in modo sbrigativo e superficiale, per molti versi in modo banale. Alcune scene, come quella della pallavolo tra i cardinali, mi sembrano anche un po’ noiose e stucchevoli. Moretti poteva certo fare di più e di meglio.
E’ abbastanza deludente il tono con cui molti critici hanno recensito questo ultimo film di Nanni Moretti: “Film magnifico” su L’ UNITA’, “Un film di massima intelligenza e libertà” a detta della Aspesi. Francamente non mi pare proprio che il film sia riuscito ad andare oltre “Il marchese del Grillo”. Il tema dell’ “Umanità” della figura storia del papa e dei poteri massimi è vecchio e stravecchio e la risposta del regista per cui “rinunciare” sarebbe un atto in avanti, di intelligenza e umanità è un appello al pensiero debole ma nella versione più gretta e popolare. Poi c’è infine questa candida innocenza dei buoni e dolci vecchietti cardinali nonchè vertici del vaticano: questo è decisamente una ingenuità che va oltre ogni tollerabile edulcorazione. Se questa è la massima l’intelligenza registica d’essay che si può avere in Italia io penso che siamo davvero nei guai.
Saluti,
Giorgio
DImenticavo di fare un confronto che può aiutare a capire meglio la situazione: A SERIOUS MAN sull’ ebraismo americano scritto da due fratelli ebrei Cohen …. in questo modo si inquadra da sè il nostro Moretti.