Due giorni dopo aver cominciato lo sciopero della fame in carcere, Jafar Panahi, è stato finalmente rilasciato dalle autorità iraniane. Era detenuto nella prigione di Evin per motivi politici dal mese di luglio.
Panahi si era recato a Evin per accertarsi delle condizioni di altri due registi Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahmad, arrestati nei giorni precedenti.
Era stato trattenuto senza una vera accusa che non fosse quella di “propaganda contro il governo”.
Già nel 2010 Panahi era già stato arrestato insieme alla moglie e alla figlia per la sua attività di dissidente e dopo tre mesi rilasciato, con il divieto per 20 anni di uscire dal paese, di scrivere sceneggiature e di girare film.
Da allora tuttavia ha continuato a girare in segretezza, trafugando i suoi film via hard-disk, facendoli così arrivare ai festival europei: This is not a film, Closed Curtain, Taxi Teheran, Tre volti, Gli orsi non esistono. Negli ultimi dieci anni la sua voce è sempre rimasta libera e forte, nonostante le difficoltà.
La sua carriera quasi trentennale, cominciata come fotografo militare e poi documentarista, quindi assistente di Abbas Kiarostami, è stata segnata da una serie infinita di riconoscimenti nei più importanti festival del mondo, tra cui ricordiamo almeno il Leone d’oro a Venezia con Il cerchio, l’Orso alla Berlinale con Taxi Teheran, il Pardo di Locarno con Lo specchio e la Caméra d’or a Cannes con l’esordio Il palloncino bianco.
Uomo libero e artista incapace di compromessi, Panahi continua a rappresentare una delle voci più limpide nel cinema internazionale.
La foto l’ha inviata il figlio Panah ai Cahiers du Cinema, subito dopo la liberazione.