Sulla scena del delitto: Texas Killing Fields. Il dramma delle vittime in un caso ancora irrisolto

Sulla scena del delitto: Texas Killing Fields ***

La zona lungo la Interstate Highway 45 che collega la città industriale di Houston alla località marittima di Galveston è stata definita dalla stampa americana Texas Killing Fields con riferimento ai Killing Fields1 dei Khmer Rossi ,in Cambogia. Un paragone che rende bene l’idea del dolore che con il passare degli anni si è stratificato in quei 25 acri di terreno selvaggio lungo l’autostrada. Un luogo dove, tra l’indifferenza generale e la superficialità della polizia locale, hanno operato almeno due serial killer. Se consideriamo nel suo complesso il territorio interessato, Il totale delle giovani donne uccise supera la trentina, in un incubo durato oltre trent’anni, tra il 1970 e il 2006.

La prospettiva sviluppata dal racconto di Jessica Dimmock (The Pearl e Flint Town) che vede come produttore esecutivo Joe Berlinger, al timone di tutta la serie Crime Scene, è focalizzata proprio sulle vittime, sulle loro famiglie, sulla dignità di un lavoro incessante di ricerca della verità volto non solo a trovare il colpevole, ma anche a mettere un punto in una vicenda straziante per tutta la comunità. Ai killer viene volutamente dato poco spazio, non solo per un orientamento “morale”, ma anche perché dal punto di vista narrativo sappiamo poco di loro e quel poco non ha elementi in grado di muovere l’interesse del pubblico: entrambi i presunti assassini, Clyde Hedrick e Michael Lloyd Self, presentano soltanto la banalità del male e la sconvolgente semplicità di menti incapaci di provare rimorso, emozioni, sensibilità di qualunque tipo. Poco interesse è rivolto anche alle indagini, in parte per il rifiuto della polizia di League City di rilasciare interviste e partecipare alla lavorazione della docuserie. Così avviene che, nel racconto come nella realtà storica, la parte investigativa sia stata presa in carico dalle vittime e in particolare da Tim Miller, padre di Laura Miller, uccisa all’età di 16 anni. La figura di Tim è un’ancora a cui aggrapparsi per trovare punti di riferimento: la sua determinazione e la sua abnegazione rappresentano un raggio di luce in una storia buia in cui si manifestano gli elementi peggiori non solo dei singoli, ma anche della società. E’ infatti solo con il drammatico caso della piccola Laura Smither nel 1997 che assistiamo a una reazione che coinvolge davvero tutta la comunità: sono in migliaia a cercarla senza sosta nei giorni successivi alla scomparsa. Un racconto in cui il dolore della famiglia di Laura è coperto dal rumore ritmato delle pale degli elicotteri e dall’abbaiare incessante dei cani da ricerca, mentre fino a quel momento, per le altre famiglie, era stato accompagnato solo da un silenzio assordante. Non è un caso che alcune delle vittime non siano nemmeno state identificate a causa della mancanza di informazioni. Il racconto riesce a descrivere questo dolore in modo diretto, senza enfasi, senza sentimentalismi. Non vengono nemmeno taciuti gli errori ,come, ad esempio, quello dello stesso Miller che accusa ripetutamente la persona sbagliata, con tale insistenza da spingere l’accusato ad allontanarsi dalla comunità per poi morire in circostanze misteriose (qualcuno ipotizza si sia suicidato).

La compattezza narrativa (3 episodi), l’asciuttezza descrittiva, l’attenzione al contesto sociale, l’ampia ricostruzione storica supportata da una polifonia di voci, la varietà del materiale raccolto che comprende anche filmati, interviste e registrazioni audio dell’epoca: sono tutte caratteristiche delle docuserie firmate da Berlinger. Il produttore e regista americano per Netflix ha lavorato su due grandi filoni: i racconti di una personalità, come Ted Bundy  o J.W. Gacy  e la ricostruzione di un periodo storico come appunto in questo caso e come, in passato, con Crime Scene: The Times Square Killer ambientato a New York negli anni ’70 – ’80 e Crime Scene: The Vanishing at the Cecil Hotel che descriveva Los Angeles negli anni ’10 del XXI° secolo. Se da un lato l’assunzione di una forma consolidata limita un po’ l’originalità del racconto, dall’altro per lo spettatore rappresenta la garanzia di trovarsi di fronte ad un prodotto di qualità, rispettoso della verità storica e del dolore delle vittime

E’ poi l’ambientazione a fare la differenza, con una grande capacità di immergere lo spettatore in un contesto sociale, storico e culturale ben determinato. In questa serie il Texas si mostra con la sua ricchezza di paesaggi e disvela una complessità che va oltre agli stereotipi tradizionali che coinvolgono, come dichiarato dalla regista, Jessica Dimmock (Without) a volte anche gli stessi americani. Riuscire a descrivere con minuzia e precisione un periodo storico non è mai banale e rappresenta uno dei punti di forza della nuova serialità che, sfruttando risorse e tempi, riesce ad immergerci in mondi narrativi complessi e a ricostruire periodi storici in modo affascinante. Alla vicenda di Texas Fields erano già stati dedicati anche dei lungometraggi, come Texas Killing Fields (2011, Ami Canaan Mann), senza però lasciare il segno.

Il concetto di vittime viene peraltro esplorato in senso lato: vittime di un serial killer non sono solo le persone che hanno perso la vita, ma anche coloro che in qualche modo sono sopravvissuti e hanno visto la morte in faccia. E’ il caso, tra le altre, di Marla, figlia della compagna di Clyde Hendrick che nel corso della narrazione fa affiorare progressivamente i ricordi degli abusi e delle violenze subite da quello che resta uno dei principali sospettati degli omicidi.

Già perché dopo oltre 60 anni, le questioni aperte rimangono ancora tante.

TITOLO ORIGINALE: Crime Scene: The Texas Killing Fields
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 50 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 3
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: Drama, Crime, Documentary

CONSIGLIATO: a quanti vogliono saperne di più su una serie di delitti inquietanti e ancora parzialmente irrisolti.

SCONSIGLIATO: a quanti si aspettano di trovare villain magnetici: qui, come nella realtà, c’è soprattutto la banalità del male.

VISIONI PARALLELE: è disponibile un film, conosciuto in italiano come Le paludi della morte (Texas Killing Fields, 2011) che racconta la stessa storia con un taglio più romanzato. Per quanti cercassero invece un approfondimento storico, allora il libro da leggere è Deliver Us: Three Decades of Murder and Redemption in the Infamous I-45/Texas Killing Fields di Kathryn Casey, volume apprezzato da critica e pubblico, edito in lingua inglese da HarperCollins nel 2015.

UN’IMMAGINE: più che una persona, un simbolo di lotta: Tim Miller, padre di Laura e punto di riferimento di quanti non si sono mai arresi e continuano, ancora oggi, a cercare la verità.

1 Nei campi di epurazione conosciuti come Killing Fields, tra il 1975 e il 1979, i Khmer Rossi massacrarono migliaia di oppositori politici e costrinsero decine di migliaia di cittadini cambogiani ai lavori forzati, in condizioni disumane. Secondo Wikipedia, includendo le morti indirettamente provocate dai Khmer Rossi per malattie, fame e malnutrizione, la stima dei decessi supera abbondantemente 1.500.000 persone.

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