Conversazioni con un killer: il caso Gacy

Conversazioni con un killer: il caso Gacy ***

Il racconto parte dal mese di Dicembre del 1978, quando il quindicenne Robert Piest scompare a Chicago, dal drugstore dove lavora, in concomitanza con il sopralluogo di un impresario in vista di imminenti lavori edili. Quell’impresario si chiama John Wayne Gacy e un precedente penale spinge la polizia a indagare in modo approfondito su di lui. Sarà però solo grazie ad un piccolo dettaglio, una ricevuta per il ritiro di un rullino di foto trovata nella sua casa e presa da Robert Piest proprio dal drugstore (che stampava anche i rullini di foto), che la polizia della Contea di Cook, in Illinois, scoprirà uno spietato serial killer, accusato di aver rapito, torturato e infine ucciso 33 maschi di età compresa tra i 9 e i 27 anni. Li attirava in casa con false promesse di lavoro, dopo averli pagati per prestazioni sessuali oppure offrendo loro un amichevole diversivo (droga, alcol o film porno), dopo una serata trascorsa insieme o dopo averli rimorchiati per strada. Giovani senza una casa, arrivati in autobus e alla disperata ricerca di un lavoro o di una sistemazione, ragazzi con una famiglia lontana o allontanati per una sessualità non accettata. Giovani fragili, facili prede per Gacy.

Quello a cui assistiamo è un racconto corale che coinvolge i parenti delle vittime, i ragazzi che sono miracolosamente scampati al serial killer, gli investigatori, gli avvocati e i pubblici ministeri che hanno lavorato al caso che vediamo dipanarsi grazie alle loro parole, ai filmati televisivi dell’epoca, alle foto d’archivio, ai video privati e alle registrazioni delle conversazioni di Gacy con i suoi avvocati. Sono queste ultime il valore aggiunto della serie, un documento per molti aspetti agghiacciante. Freddo, provocatorio, senza emozioni: il tono di voce di Gacy rispecchia un atteggiamento che non consente alcuna forma di compassione.

Diversamente da Ted Bundy, Gacy non può contare sulla bellezza, sul fascino delle parole e sull’aspetto da bravo ragazzo. Anch’egli però incarna per molti aspetti il cittadino americano bianco della bassa borghesia: vive in una villetta come tante, ha una piccola impresa e lavora con profitto, si dà da fare nel quartiere di Des Paines, alla periferia di Chicago, come attivista del Partito Democratico, unendo il senso civico a un mal celato desiderio di notorietà e potere.

Le sue grigliate a tema sono avvenimenti memorabili per tutto il quartiere, il suo travestimento da clown per portare allegria ai bambini sembra encomiabile, partecipa a diversi momenti pubblici e mostra con orgoglio perfino una foto con la moglie del Presidente Carter. Eppure, sotto la villetta di Gacy, si nasconde un cimitero dove dormono così tanti giovani che, nell’intercapedine della casa, non c’è più spazio: le sue ultime vittime, tra cui Robert Piest, vengono così gettate nel fiume.

Dal 1972 a 1979 Gacy uccide 33 giovani uomini, convinto di poterla fare franca, di essere superiore a tutti, di avere il diritto di decidere della vita e della morte. Un senso di potere che affonda nel complicato rapporto con il padre, fatto di violenza, disconoscimento e atteggiamenti bipolari. Gacy si accanisce sulle sue vittime come il padre si accaniva su di lui: alcuni psicologi lasciano trasparire la possibilità che John si proietti nell’immagine del padre e che le torture che infligge ai giovani rapiti altro non siano che una nuova punizione rivolta a se stesso.

La serie presenta tutte le caratteristiche delle produzioni di Berlinger, un vero esperto nel genere (Conversazioni con un killer: il caso Bundy, Sulla scena del delitto: il killer di Times Square): ampiezza della documentazione raccolta, precisione e cura nella ricostruzione storica, attenzione alle vittime e al loro mondo. Dal punto di vista narrativo il ritmo è sempre alto, anche grazie ai frequenti salti temporali, che peraltro non appesantiscono il racconto che si articola in tre parti, della durata di un’ora ciascuna. Rispetto ad altre produzioni dello stesso autore forse è minore l’attenzione al contesto storico, ma questo non esclude la trattazione di temi sociali, come la questione della condizione degli omosessuali nell’America del tempo. Aveva fatto lo stesso, in modo più diffuso, nel recente Sulla scena del delitto: il killer di Times Square, raccontando il disinteresse da parte della polizia di New York verso gli omicidi delle lavoratrici sessuali.

Il suo è un monito al fatto che non è possibile lasciare qualcuno indietro, con meno difese degli altri membri della società: le onde d’urto della violenza, figuriamoci della violenza efferata e brutale di un serial killer, viaggiano lontano nello spazio e nel tempo, segnando la vita di molti, al di là dell’appartenere o meno alla comunità, al gruppo, al genere o all’etnia su cui si scatena la violenza. Guardando le produzioni di Berlinger (vincitore tra gli altri di Peabody ed Emmy Awards) appare chiaro come la questione sia soprattutto di natura sociale: lasciare qualcuno esposto perché diverso o meno rappresentato dalla politica non danneggia solo il singolo o il suo gruppo, ma l’intera comunità.

E’ in questo territorio che si scatena la caccia dei predatori, di tutti i predatori, indipendentemente dall’oggetto del loro odio. Il meccanismo di debolezza sociale innesta il killer, lo spinge all’azione e gli conferisce la consapevolezza di una forma di superiorità che in effetti sembra appartenergli, almeno in questo periodo storico. E’ solo un particolare che consente alla polizia di scoprire Gacy, ma ci sembra giusto ricordare come la differenza la facciano, in questa storia, come nella vita di tutti i giorni, sempre e comunque i singoli. I poliziotti, i pubblici ministeri, ma anche gli amici e i parenti delle vittime che lottano, per lo più da soli, contro il male, ma anche contro le condizioni che lo favoriscono, come la discriminazione, la leggerezza, l’inefficienza e talvolta perfino la corruzione del sistema di sicurezza pubblica.

La differenza la fanno i singoli, dicevamo, ed è per questo che la chiusura della serie non è dedicata al drammatico e sconfortante teatrino dell’esecuzione della condanna a morte di Gacy, avvenuta il 10 Maggio del 1994 nel carcere di Crest Hill. Berlinger chiude la serie con le immagini sorridenti dei giovani uccisi dal Killer che amava farsi chiamare Pogo the Clown: vuole ricordarci quanta vita abbiamo perso, come società e come umanità. Tra i 33 omicidi attribuiti al Killer Clown ci sono però ancora dei corpi senza un nome: ed è sull’impegno dello sceriffo di Cook, che oggi utilizza la tecnica del DNA, allora assente, per dare un nome a questi giovani, che si chiude la serie.

Oggi come allora, dare un nome e una sepoltura ai morti ci appare una forma di resistenza dannatamente e miracolosamente umana.

Titolo originale: Conversations with a Killer: The John Wayne Gacy Tapes
Durata media degli episodi: 60 minuti
Numero degli episodi: 3
Distribuzione streaming: Netflix
Genere: Docu, Crime

Consigliato: a chi cerca un prodotto compatto, costruito con cura e sensibilità, in cui le vittime e la ricostruzione sociale abbiano uno spazio rilevante nella narrazione.

Sconsigliato: a quanti non amano le strutture narrative ricche di salti temporali e a coloro che cercano un prodotto molto approfondito: i tre episodi non consentono un dettaglio eccessivo. Soprattutto l’infanzia di Gacy viene descritta con un generico senso di insoddisfazione del padre nei confronti del figlio, ma senza entrare nel merito di molteplici episodi di violenza a cui il piccolo John Wayne è stato sottoposto.

Visioni parallele: la lista dei prodotti di genere presenti nel catalogo Netflix è molto ampia e questo elemento ci sembra particolarmente interessante per identificare dei tratti iconici nella figura del serial killer che in qualche modo riflettono tendenze diffuse nella nostra società. Cercheremo di tornare sull’argomento in futuro, per adesso ci limitiamo a consigliarvi Conversazioni con un killer: il caso Bundy, in cui Berlinger non è solo produttore e regista, ma anche sceneggiatore.

Un’immagine: ce ne sarebbero tante, vogliamo però ricordare l’influenza di Gacy nell’immaginario della cultura americana facendo riferimento a chi di tale immaginario è sommo custode e divulgatore, Stephen King. Il suo IT è chiaramente frutto degli incubi causati ai giovani americani da Pogo The Clown.

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