Esterno notte: Bellocchio usa la lingua della serialità per raccontare il Caso Moro

Dopo la nostra recensione dal Festival di Cannes, pubblichiamo un nuovo contributo sull’epocale lavoro di Marco Bellocchio, in occasione della sua messa in onda televisiva.  Le sei puntate di Esterno Notte sono disponibili ora su RaiPlay.

Esterno notte ****

Ci sono tanti modi di raccontare una storia, un personaggio, un periodo storico e ogni racconto presenta non solo un punto di vista diverso sull’oggetto della narrazione, ma fornisce anche spunti per contestualizzare la lettura dell’autore nel contesto storico da cui nasce. Una considerazione che vale per la cultura come per l’estetica e, dal nostro punto di vista, non possiamo che allargarlo anche allo storytelling, al modo di raccontare le storie. Per questo il fatto che Marco Bellocchio sia tornato sui 55 giorni del rapimento di Aldo Moro a distanza di quasi vent’anni dal suo film Buongiorno, notte, ci fornisce alcuni spunti interessanti per capire il nostro modo di raccontare.

Proviamo a prenderli in esame.

La forma narrativa. Marco Bellocchio è un regista cinematografico che sceglie di raccontare con una modalità seriale una storia che ha già portato sullo schermo con successo. La produzione The Apartment è articolata in 6 puntate: a un primo episodio in cui viene presentato un quadro storico che culmina con il sequestro di Moro e con la strage della sua scorta, seguono 4 capitoli dedicati al punto di vista dei principali attori della vicenda, per giungere a un epilogo in cui si descrivono gli ultimi giorni dello statista e si indica brevemente cosa succede ai protagonisti negli anni successivi.

Una struttura fittissima che permette all’autore di approfondire, di ampliare lo sguardo, di entrare nell’intimità dei singoli. I luoghi, privati e pubblici, in cui ciascuno vive il proprio dramma sono descritti con precisione, iconicità, coerenza, immergendo lo spettatore in mondi diversi che si sposano al meglio con la necessità di raccontare la psicologia dei protagonisti. Già dal primo episodio emerge tutta la distanza tra la casa di Cossiga e quella di Moro, ma lo stesso avverrà in seguito nel paragone che lo spettatore naturalmente fa tra la camera da letto di Moro e quella di Andreotti o del Pontefice. Bellocchio sfrutta al meglio questa forma narrativa per dar vita ad un mondo che, per usare le sue parole “non esiste più”: la sua forza creativa parte dalla storia per dispiegare un racconto immaginifico accorato, con una varietà di tonalità emozionali ampissima che non ci allontana dal cuore del racconto, ma, al contrario, ci avvicina alla sua essenza. Scegliendo lo storytelling seriale, Bellocchio ne certifica ancora una volta la funzionalità per le narrazioni complesse e stratificate, la straordinaria capacità di intrecciare storie e mondi.

I protagonisti. Si sposa perfettamente con il nostro immaginario contemporaneo anche la scelta di non avere un protagonista indiscusso: Moro è il punto di caduta della storia, ma per diversi episodi compare solo marginalmente, nei sogni/incubi degli altri protagonisti, nei titoli dei giornali, nel ricordo, nelle fotografie. Se vogliamo è un protagonista in absentia: così come sarà il suo funerale di stato, svolto a San Giovanni in Laterano e celebrato da Paolo VI senza il corpo dello statista, per precisa volontà della famiglia (che peraltro ha seguito le indicazioni dello stesso Moro).

Nei sei episodi della serie ci troviamo di fronte ad una pluralità di protagonisti, ricchissimi di luci e di ombre, soffocati tra rimorsi, ‘vorrei ma non posso’, ‘vorrei ma non riesco’, ‘vorrei ma non me lo fanno fare’. Personaggi tormentati, sofferenti, nel corpo e nello spirito. Paolo VI, interpretato da Toni Servillo, ne è un emblema: il racconto del punto di vista del papa è uno dei più significativi da molteplici punti di vista (umano, politico, religioso). Il rapporto tra Giovanni Battista Montini e Aldo Moro racconta al meglio un’epoca della storia della Chiesa e delle relazioni tra Stato Italiano e Santa Sede, ma al contempo racconta anche la sofferenza e il dubbio di un uomo di fede. Ricchi di spunti sono però anche gli altri episodi, mai banali nel descrivere Francesco Cossiga, i brigatisti Adriana Faranda e Valerio Morucci, la moglie di Moro Eleonora Chiavarelli (“Dolcissima Noretta”) e la sua famiglia. Raccontare con questa prospettiva corale è una prerogativa della nostra narratività contemporanea e per farlo è importante disporre di attori in grado di darsi senza esitazioni: proprio come fa lo straordinario Fabrizio Gifuni nei panni di Aldo Moro.

Le modalità di gestione del tempo. Il racconto non è lineare, ma si riavvolge negli episodi che presentano i diversi protagonisti esterni alla vicenda, presentando il punto di vista del singolo, dal rapimento in avanti, fino alle soglie della fine. Ogni racconto aggiunge non solo una prospettiva e una visione particolare, ma anche elementi narrativi che si incastrano con quanto visto in precedenza, completando vuoti di cui siamo più o meno consapevoli.

Ogni episodio, apparentemente auto-concluso, in realtà contribuisce a chiarire quanto visto nei precedenti in un gioco di rimandi che rende la narrazione stratificata (quindi orizzontale), ma con una profondità ( taglio verticale) che si accentua progressivamente. Muoversi con facilità e quasi con leggerezza su più linee temporali è un tratto distintivo della serialità degli ultimi anni, capace di accentuare questi aspetti fino a portarli al gioco complesso e affascinante di una serie come Dark.

Il punto di vista. In alcune frasi, inquadrature, prospettive scorgiamo con chiarezza la sensibilità della nostra epoca. La voglia di una comunicazione diretta e pervasiva di Paolo VI, che confessa di voler usare altre parole, ma che poi finisce per ripiegare su una forma più tradizionale per rivolgersi alle Brigate Rosse; il riferimento alla totale assenza di donne nelle squadre di sottosegretari e più in generale negli spazi di direzione della politica, la pervasività dello Stato che ascolta centinaia di conversazioni in tutta la Capitale. Aspetti che nei precedenti racconti non erano colti e che invece ora appaiono come ulteriori lenti, di fattura contemporanea, con cui leggere la vicenda.

Possiamo quindi identificare in Esterno notte i segni narrativi e culturali della nostra epoca. La drammatica passione di Aldo Moro andava resa attuale, doveva essere nuovamente detta a distanza di anni. E andrà detta ancora, quando muteranno le forme e le prassi narrative.

Esterno notte sintetizza in modo mirabile la lingua del presente con il respiro del tempo.

TITOLO ORIGINALE: Esterno notte
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 55 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 6
DISTRIBUZIONE STREAMING: Rai Play
GENERE: Crime Drama

CONSIGLIATO: a quanti amano le storie con un profondo radicamento storico e che sanno riconoscere le sfumature, le diverse tonalità delle emozioni e dei comportamenti.

SCONSIGLIATO: a quanti si aspettano un prodotto storico rigoroso e senza concessioni all’immaginazione. Dalla storia parte e alla storia torna, ma in mezzo c’è soprattutto la grande capacità immaginativa di Bellocchio e del team di sceneggiatori guidati da Stefano Bises.

VISIONI PARALLELE: la versione cinematografica di Bellocchio è qualcosa di diverso, ma complementare perché rappresenta un diverso periodo storico, ancora legato alle ideologie e meno attento alla dimensione privata: Buongiorno, notte un pezzo di bravura datato 2003.

UN’IMMAGINE: ce ne sono così tante che risulta arduo sceglierne una. Mi resta, tra gli altri, un pezzo di bravura tecnica e di sagacia narrativa: la camminata spedita di Andreotti attraverso i saloni di Palazzo Chigi, per interpellare prima i generali e poi i segretari dei partiti della sua maggioranza, dopo aver ascoltato le richieste dell’emissario del Papa.

Paolo VI aveva infatti raccolto oltre 20 miliardi di lire, (“lo sterco del diavolo”) e chiedeva il consenso del governo italiano per procedere in autonomia con un riscatto per la liberazione dell’amico Aldo. Nel modus operandi di Andreotti e dei segretari di maggioranza c’è un piccolo trattato sulla politica italiana del periodo e sul modo in cui Giulio Andreotti ha gestito il Paese, direttamente o indirettamente, per oltre quarant’anni.

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