La macchina da presa si muove lentamente a scoprire il piccolo set di un film, ricostruito in studio. Una voce ci ammonisce che i personaggi di questa storia credono ciecamente alle loro storie. “Non siamo niente senza storie, perciò vi invitiamo a credere in questa”.
La protagonista è un’infermiera inglese, Elizabeth Wright, convocata in piccolo villaggio nell’Irlanda del 1862, che ancora risente della Grande Carestia, per compiere una curiosa osservazione scientifica.
Anna O’ Donnell, una bambina di undici anni, che vive con i genitori e la sorella in una piccola casa in mezzo alla campagna, ha smesso di mangiare da quattro mesi e sopravvive nutrendosi solo della manna del cielo e delle sue preghiere.
Una piccola commissione locale – di cui fanno parte il Dottor McBrearty e Padre Thaddeus – vuole fare chiarezza, perchè la notizia del prodigio si è diffusa in tutto il Paese e la bambina riceve quotidianamente visitatori devoti.
Elizabeth si alterna così al capezzale di Anna per due settimane, facendo a turno con una suora.
Interrotte le visite, poi allontanati anche i genitori, la piccola comincia giorno per giorno a perdere le sue forze, fino ad essere costretta in fin di vita su una sorta di sedia a rotelle.
Nel frattempo, nel villaggio ritorna William Byrne, che ha fatto fortuna come giornalista a Londra, mentre la sua famiglia moriva di fame per la carestia. Il Telegraph gli ha commissionato un reportage, ma l’unica che può consentirgli di parlare con Anna è Elizabeth.
Se l’inganno non è difficile da smascherare, i motivi sono assai più spaventosi. Eppure dobbiamo continuare a credere nel potere di questa storia.
Il nuovo film del cileno Sebastian Lelio, il suo terzo in lingua inglese, dopo il dolente Disobedience e il remake americano del suo Gloria Bell, ha la forza inesorabile della parabola biblica e la sensibilità straordinaria delle due scrittrici a cui dobbiamo questa storia.
The Wonder è tratto da un romanzo di Emma Donoghue (Room), scritto nel 2016 e adattato per il grande schermo assieme a Lelio e alla commediografa e sceneggiatrice inglese Alice Birch, autrice dell’implacabile Lady Macbeth e del maliconico Normal People, uno dei capolavori della serialità di questo decennio.
E’ difficile dire quanto ci sia dei rispettivi universi narrativi in questo film sensazionale, tanto efficace è la sintesi che Lelio e la sua interprete Florence Pugh sono riusciti a raggiungere.
Dopo l’inizio spiazzante e antinaturalistico, il film sembra trasportarci in un mondo arcaico in cui i conflitti tra religione e scienza, tra superstizione locale e osservazione medica finiscono per confliggere inesorabilmente, di fronte all’emergere di un miracolo inspiegabile.
Il Dott. McBrearty più volte cerca di convincere Elizabeth che il mistero potrebbe rappresentare semplicemente il principio di una nuova scoperta medica, un passo incerto verso una maggiore conoscenza.
Ma non è davvero su questo terreno che Lelio vuole combattere la sua battaglia, anche se la rappresentazione di un mondo chiuso, piegato dalla povertà e dalla miseria, che si aggrappa disperatamente al prodigio come a un segno beneaugurante di rinascita e di espiazione, è accurata e rigorosa al tempo stesso.
A Lelio interessano soprattutto i desideri più profondi dei suoi personaggi, la loro intimità, le loro convinzioni e come questi vengano frustrati e piegati da un contesto sociale e culturale ostile.
Come scrive il giornalista William Byrne nel suo ultimo pezzo: “Questo è un mondo afflitto e dolente che ha troppa fame per vedere il prodigio in ogni comune bambino”.
Il ruolo esclusivamente testimoniale di Elizabeth cambia radicalmente nel momento in cui la donna, che ha perduto un bimbo poche settimane dopo la nascita, comincia a guardare Anna con occhi diversi, facendosi finalmente le domande giuste.
Non è infatti importante scoprire se la bambina finga oppure se effettivamente riesca a sopravvivere senza nutrirsi: la risposta al quesito della commissione era scontata sin dall’inizio, ma è sconvolgente comprendere perchè Anna abbia improvvisamente deciso di non toccare più il cibo, costringendosi ad un’espiazione che la sta conducendo alla morte.
La scoperta di una verità indicibile trasforma la passività di Elizabeth, spingendola ad agire e a compiere sino in fondo la missione a cui ha dedicato la vita, che è quella di prendersi cura degli altri.
Lelio ha sempre avuto la capacità di raccontare figure femminili fuori scala, lontane da ogni conformismo, in lotta contro un ambiente che vorrebbe tenerle ai margini, chiudendole nei ruoli prestabiliti da una società non solo patriarcale, ma esplicitamente conservatrice.
Fin dai suoi primi film, rimasti inediti nel nostro Paese, Lelio ha raccontato come la fede influenzi il comportamento dei suoi personaggi, in ambienti permeati da una religiosità rigorosa e arcaica. Il rapporto con le scritture e i precetti religiosi rivestono spesso un ruolo essenziale, non solo nella dimensione privata, ma anche in quella pubblica.
L’incontro con il microcosmo descritto dalla dubliner Emma Donoghue non avrebbe potuto essere più simbiotico.
Ma The Wonder non sarebbe stato lo stesso senza l’interpretazione sublime e magnetica di Florence Pugh, probabilmente nel ruolo più complesso della sua ancora breve carriera cinematografica, in cui brilla di un talento cristallino, al servizio di un’anima tormentata.
I suoi duetti con l’impassibile Kíla Lord Cassidy, nei panni di Anna, misurano tutta la distanza tra il rimorso e la cura, tra il senso di colpa e il desiderio di salvezza.
Non meno centrale nel successo del film, l’illuminazione curata da un altro purissimo talento femminile, l’australiana Ari Wagner, celebrata l’anno scorso per Il potere del cane, ma debuttante proprio con la Pugh in quel Lady Macbeth, scritto da Alice Birch.
Qui riesce a far recitare l’azzurro del vestito di Elizabeth con il verde della campagna, il giallo delle notti febbrili della protagonista, con candore degli incontri mattutini con Anna. Indimenticabile l’incendio finale che rischiara la notte irlandese.
In un film che celebra la liberazione dei suoi protagonisti, attraverso la passione della morte e della rinascita, non dobbiamo dimenticarci mai che siamo di fronte all’inganno del cinema.
La storia finisce e poi ricomincia altrove: restano tuttavia i fantasmi del passato.