Affascinato dalle sirene americane, prim’ancora che lo straordinario successo di Una donna fantastica lo conducesse sino al premio Oscar, Sebastian Lelio ha diretto il suo esordio in lingua inglese con Disobedience, adattando il primo romanzo di una scrittrice ebrea inglese, Naomi Alderman.
L’adattamento, curato dallo stesso Lelio con la commediografa polacca Rebecca Lenkiewicz, già autrice del copione di Ida, ci porta nella comunità ebraica ortodossa londinese.
Quando l’anziano rabbino Rav Krushka muore, la figlia Ronit, che ha abbandonato la comunità per inseguire la sua libertà a New York, lavorando come fotografa, ritorna a casa, accolta da tutti come un fantasma, se non un paria.
Qui l’attendono i due amici di sempre, Dovid Kuperman, destinato a succedere al padre Rev alla guida della comunità ed Esti. I due nel frattempo si sono sposati, ma nessuno ha avuto il coraggio di dirlo a Ronit.
Il peso del passato, quello della tradizione e delle regole e la passione nascosta sotto la cenere del tempo, tornano prepotentemente ad attraversare le vite dei tre protagonisti, costretti ad una convivenza forzata, in attesa della celebrazione funebre del rabbino Rev, che scatena paure e desideri lasciati per troppo tempo in sospeso.
Disobedience, che ha debuttato al Festival di Toronto nell’estate 2017 ed è poi uscito quasi solo negli Stati Uniti nella primavera successiva, è un altro film che come i suoi primi tre, mai distribuiti nel nostro paese – La sagrada familia, Navidad, El Año del Tigre – racconta come la fede influenzi il comportamento dei protagonisti, in un ambiente chiuso e permeato da una religiosità molto rigorosa.
Qui siamo addirittura all’interno di una comunità ebraica: il rapporto dei personaggi con la fede e con le scritture riveste un ruolo essenziale, non solo privato, ma anche pubblico.
Più volte Lelio aveva dimostrato interesse ad esplorare il peso della religione ed in particolare quella giudaico cristiana, dominante nel sudamerica e centrale sia per i fedeli, sia per chi non crede.
Il rabbino Rev, proprio prima di morire riflette nella sua sinagoga proprio sui limiti della libertà, sul libero arbitrio che Dio ha concesso a uomini e donne, sul diritto alla disobbedienza, che è proprio quello che distingue l’uomo e nobilita la sua parte animalesca.
Quelle parole, messe in come in epigrafe al film, rimangono a lungo inascoltate dai personaggi, ingabbiati nelle maglie strette di una vita, che sembra aver deciso per loro. Anche chi è fuggito e ha abbandonato la comunità, ne è per sempre parte.
Pian piano tuttavia, il film ci fa capire come quella libertà evocata e repressa è fondamentalmente una libertà sessuale, che diventa inevitabilmente identitaria.
Esti ha scelto di vivere come una moglie devota della comunità, porta un’assurda parrucca, insegna in una scuole religiosa e si veste come una suora laica. Ma basta uno sguardo della languida Ronit, perchè quel soffio vitale che sembrava averla abbandonata, si faccia sentire di nuovo, trascinando l’una e l’altra verso una relazione che nessuna vuole davvero rinnegare.
Lo scandalo è stato presto riassorbito e ricondotto ad una dimensione ordinaria, tradizionale, in cui il ruolo di ciascuno è definito dalla consuetudine e dall’ordine religioso. Il ritorno a Londra di Ronit finisce però per rompere questo equilibrio di facciata, faticosamente ricomposto: la passione tracima, l’affermazione di sè non può essere più occultata.
Tornano anche in Disobedience i temi di Una donna fantastica, naturalmente, che solo nel finale cedono il passo ad un epilogo forse troppo scritto, troppo esemplare, troppo sentimentale, che toglie forza alla messa in scena controllatissima di Lelio.
Lontano dal suo paese, Lelio abbandona i colori caldi, gli eccessi luministi e primari della notte cilena, per un grigio monotono, che accompagna per antifrasi le passioni fortissime dei tre personaggi: è l’immagine a costringerli, fin da subito, nella gabbia della tradizione, del conformismo, della regola ortodossa. Solo alla fine fa capolino un raggio di sole, quasi a voler risolvere, anche simbolicamente, un film peraltro molto chiaro.
Se Una donna fantastica era stato un improvviso colpo di fulmine capace di farci riconsiderare positivamente anche il discreto Gloria, questo Disobedience è la conferma di un autore maturo, con un suo preciso universo narrativo, capace di evolversi anche al di fuori del suo originario contesto produttivo.
Lelio nel frattempo ci ha preso gusto e sta girando negli Stati Uniti anche il remake di Gloria, con Julianne Moore e John Turturro, accompagnato dai suoi storici produttori, i fratelli Larrain: riuscirà dove quasi tutti, Haneke compreso, hanno fallito?
Disobedience arriverà in Italia con Cinema distribuzione.
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