The Paperboy *1/2
In concorso
Il nuovo film di Lee Daniels, dopo il sopravvalutato Precious, presentato al Sundance e poi passato a Un certain Regard, e’ tratto da un romanzo di Pete Dexter.
Siamo nel profondo Sud degli Stati Uniti, a Lately Florida, nella seconda meta’ degli anni ’60. I Jensen sono una famiglia democratica. Due fratelli profondamente legati tra di loro, Ward, che vive a Miami dove fa il giornalista investigativo e Jack, giovane promessa del nuoto, ancora a casa del padre, WW, editore del giornale locale.
Quando Ward, accompagnato dal collega di colore Yardley, ritorna a casa per investigare sul caso di Hillary Van Wetter, cacciatore di alligatori e poco di buono, condannato a morte per aver ucciso lo sceriffo locale, Jack si offre di fargli d’autista.
A sollevare l’attenzione sul caso e’ una bionda prorompente, Charlotte Bless, che e’ convinta dell’innocenza di Hillary, gli scrive lunghe lettere appassionate in carcere e vorrebbe sposarlo.
I due giornalisti sentono profumo di premio Pulitzer e si mettono ad investigare sul caso, scontrandosi con le resistenze locali. Intanto Jack si innamora perdutamente di Charlotte.
Il film e’ raccontato da Anita, la donna di servizio dei Jensen, che ha vissuto con loro per moltissimi anni.
Lee Daniels, cosi’ come gia’ in Precious, non ci risparmia nulla, ne’ dal punto di vista narrativo nè da quello tematico: allora ecco venire a galla la questione razziale, ancora fortissima, il desiderio represso di Jack per una donna piu’ grande di lui, quasi a colmare il vuoto per una madre mai conosciuta, i rapporti di potere e l’ambizione giornalistica, l’omosessualita’ di uno dei protagonisti, che gli costera’ quasi la vita, l’omerta’ della provincia e l’indifferenza della stampa alla vita privata delle persone.
L’accumulo finisce in qualche modo per soffocare il film, appesantito dalla regia di Daniels che sembra sempre voler dimostrare di saperci fare, esagerando con dissolvenze, inquadrature fuori asse e tutta une serie di arditezze inutili e di ellissi, che tolgono aria alla narrazione, di un tipico noir sudista, che pure aveva qualche evidente motivo di interesse.
Nicole Kidman disegna un personaggio sempre sopra le righe, con parrucca cotonata, trucco pesante e microabiti, che non so se possa aiutarla a risollevare una carriera ormai in discesa.
Matthew McConaughey continua la sua galleria di personaggi maturi e sfaccettati, intrapresa con Killer Joe e che ci riserva un altro ruolo forte in Mud, qui a Cannes in concorso sabato: una volta divo belloccio da commedie romantiche e thriller, oggi piu’ interessato ad esplorare ruoli controversi e scioccanti.
Ottimo anche Zac Efron, in uno dei primi ruoli seri della sua carriera, perfettamente a suo agio nei panni del piccolo Jack, con tutta la generosita’ romantica dei vent’anni.
Fischi alla proiezione stampa. Forse non cosi’ immeritati…
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