Magic Mike ***
Con Magic Mike, terzo film in 10 mesi, dopo Contagion e Knockout, Soderbergh si avvicina all’annunciato periodo sabbatico, con un’opera straordinariamente spettacolare, che non inventa nulla di nuovo, ma che sembra finalmente priva di quel distacco cinico e disincantato, che era diventa la cifra ancor più evidente delle sue ultime opere.
Dopo l’exploit a cavallo del nuovo secolo con Out of Sight, L’inglese, Erin Brocovich, Traffic e Ocean’s 11, Soderbergh sembrava aver già mostrato tutta la sua straordinaria poliedricità, alternando felicemente thriller, giallo-rosa, film d’impegno civile, opere d’autore, adattamenti, remake per star in ascesa, piccoli film indipendenti. Da allora nell’ultimo decennio ha continuato a fare lo stesso con altri tredici film, con una formula che pian piano ha mostrato la corda.
La sua regia sempre molto professionale e la sua sicura direzione d’attori sembravano sempre scontrarsi con un sostanziale e spesso esibito disinteresse per il soggetto dei suoi film, mediato talvolta dall’ironia nei confronti dei suoi protagonisti.
Il culmine di tale atteggiamento è arrivato con Contagion, che trasmetteva la stessa glaciale freddezza ai suoi spettatori, incapaci di identificarsi con nessuno dei tanti personaggi, pur in una situazione eccezionale come quella messa in scena.
Già in Knockout, Soderbergh si era divertito di più a riprendere il corpo straordinario della vera campionessa di arti marziali, Gina Carano, impegnata in un tour de force contro agenzie private e contractor pubblici, per scoprire la verità e salvarsi la vita. Ma complessivamente il film rimaneva un gustoso B movie, con uno stuolo di guest star, impegnate a non sfigurare, al cospetto della campionessa.
Magic Mike è invece molto più caldo, appassionato, classico, diremmo, nelle dinamiche tra i personaggi, nello stile di regia, nel calore della fotografia e nella linearità del montaggio e della sceneggiatura.
Il racconto ruota attorno a tre generazioni di spogliarellisti: Dallas, il capo, che si limita aguidare la sua squadra di stripper, Mike, la punta di diamante del suo locale e Adam, che tutti chiamano Kid, diciannovenne iniziato da Mike a quel mondo fatto di sesso e soldi facili.
Adam vive con la sorella Brooke, che lavora come tirocinante in ospedale: sempre imbronciata, apparente dura, non approva le scelte del fratello e si affida a Mike perchè lo tenga lontano dalle tentazioni più pericolose di quel mondo notturno.
C’è un po’ di tutto in Magic Mike: si riconoscono echi di Flashdance, Eva contro Eva, E’ nata una stella e molti altri film in cui l’underdog cerca di farcela, il mondo gli è ostile, ma grazie al destino ed all’insegnamento di un mentore che lo accoglie sotto la sua ala, finisce per farcela.
Non vi diremo molto di più di una trama superclassica, ma che è ugualmente godibile e indovinata, grazie alla curiosa ambientazione nel mondo dei male stripper della Florida.
Soderbergh prosegue nella sua esplorazione di corpi eccezionali e dopo aver dedicato The girlfriend experience alla pornostar Sasha Grey e Knockout alla lottatrice Gina Carano, si lascia coinvolgere da Channing Tatum nel racconto di un mondo che l’attore ha conosciuto e frequentato prima che la moda lo lanciasse nel mondo della pubblicità e Dito Montiel con il suo Guida per riconoscere i tuoi santi lo portasse nel mondo del cinema e poi ad Hollywood.
Tatum è qui produttore e protagonista, rinforzando il suo carisma di divo in ascesa. Le sue performance sul palco dell’Xquisite di Tampa sono formidabili e segnano i momenti più trascinanti del film, ma chi ruba la scena a tutti è Matthew McConaughey, ancora una volta strepitoso e spettrale.
Nel ruolo del proprietario del locale e capo del gruppo di stripper è inquietante. E’ a lui che toccano le scelte più difficili, insegna a Kid i trucchi del mestiere, sogna di portare la sua attività a Miami, si occupa dei numeri musicali, delle defaillance dei suoi ragazzi e di controllare che nessuno vada oltre le regole non scritte di quello spettacolo e si preoccupa di incarnare lo spirito americano dello show must go on, ad ogni costo.
Il rapporto con Mike si fa via via più problematico: mentre Dallas ha scelto quella carriera sino in fondo, per Mike lo considera sempre un ripiego momentaneo, per cercare di aprire un’attività di mobili su misura: ma passono gli anni, le banche non fanno più credito ed il rischio di ritrovarsi a quarant’anni a ballare sulla pista, per donne giovani e meno giovani, in cerca di emozioni facili, sta diventando una realtà.
Per McConaughey è il coronamento di un annata eccezionale, cominciata con Killer Joe a Venezia, continuata con Bernie di Linklater e poi con due film a Cannes, The Paperboy e Mud, conclusa con il trionfo al box office di Magic Mike. Una svolta impressionante nella sua carriera, che culminerà in un ruolo nel prossimo film di Martin Scorsese.
Quello che accade all’Xquisite di notte, viene rinnegato di giorno: quello che è accettabile in una notte di desiderio e tentazione, deve esere dimenticato la mattina dopo. Non ha futuro.
Il film procede spedito alternando numeri musicali, training, la vita fuori dal locale e i rapporti sentimentali che si instaurano e si deteriorano tra i protagonisti.
Mike frequenta una psicologa bisessuale, ma è solo una storia senza futuro, mentre con Brooke, la sorella di Adam, vorrebbe costruire qualcosa di serio, ma i loro mondi viaggiano su orbite troppo distanti. E poi chi vorrebe essere fidanzata con uno stripper?
Soderbergh gira senza cinismo e con una partecipazione che rende il film un viaggio sulle montagne russe, che procede spedito tra ascese e precipizi; utilizza più volte il rapporto quasi paterno di mentore ed allievo, per spingere ciascuno a rimettersi in discussione.
Il film ha raccolto nella platea femminile della Piazza Grande di Locarno un successo indubbiamente meritato, ma sbaglierebbe chi lo considerasse solo una furbizia per un pubblico scelto.
E’ invece il racconto vivido e realistico di un mondo finora inesplorato. Lo sguardo di Soderbergh volge verso l’abisso: un paese in cui la crisi ha chiuso le porte ad ogni legittima speranza imprenditoriale, per qualcuno non resta che cominciare a vendere se stessi.
Sotto la patina di una commedia scanzonata, Soderbergh finisce per dirci qualcosa di inquietante.
Da vedere, senza pregiudizi.
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