Cannes 2012. A perdre la raison

A perdre la raison **1/2

Un certain regard

Ispirato ad una storia vera, accaduta in Belgio nel 2007, il nuovo film di Joachim Lafosse (Nuda proprieta’), e’ il racconto di una tragedia annunciata.

Nelle mura domestiche di una famiglia allargata, in cui ambiguita’ e angoscia covano sottotraccia, quattro bambini vengono uccisi.

Il film comincia con le quattro bare bianche, la madre in ospedale in stato confusionale.

Il nastro si riavvolge e ci racconta la loro storia.

Mounir e’ un giovane marocchino, adottato da un facoltoso medico francese, il Dott. Andre Pinget.

La famiglia di Mounir deve tutto al dottor Andre’. Non solo ha accolto il ragazzo a casa sua facendolo studiare, ma ne ha anche sposato la sorella Rachida, per regolarizzarne lo status di extracomunitario.

Mounir e’ innamoratissimo di Murielle, che insegna alle elementari. Si vogliono sposare il prima possibile, nonostante qualche dubbio di Andre’.

Inizia a questo punto una strana convivenza a tre, tutti sotto lo stesso tetto. Mounir comincia a lavorare nello studio medico di Andre’ e ne diventa cosi’ totalmente dipendente. Non solo per la disponibilita’ e la generosita’ del genitore adottivo.

Dopo la nascita di tre bambine, si sta stretti a casa di Andre’ e Mounir e Murielle pensano di andare a vivere per conto loro. Quando pero’ propongono di trasferirsi in Marocco, Andre’ minaccia di abbandolarli a se stessi, offesso dalla loro decisione ed in qualche modo geloso di quella relazione impropria venutasi a creare, con Mounir, ma anche con le piccole bambine.

Accettano cosi’ di trasferirsi tutti in una nuova e piu’ grande villa con giardino.

La situazione diventa sempre piu’ intollerabile per Murielle, prostrata anche da una quarta gravidanza, decisamente non voluta. Sono le piccole cose, i gesti, le imposizioni, che la fanno precipitare in una depressione di cui gli altri fingono di non accorgersi.

La situazione degenera, Murielle va da una psicologa, che l’abbandona quando scopre la sua strana situazione familiare.

Il peggio deve ancora arrivare…

Joachim Lafosse usa perfettamente il formato widescreen per restringere gli spazi e mostrare la soffocante atmosfera familiare, con continui oscuramenti del campo visivo. Il tono mellifluo di Andre’, la sua generosita’ esagerata, rimangono costantemente sospette, ma il film non esplicitera’ mai i rapporti tra lui e Mounir, che rimangono ambigui.

Il punto di vista infatti e’ quello di Murielle, che finisce per sentirsi sotto assedio, tra figli a cui non riesce piu’ a stare dietro, piccole gelosie casalinghe ed un marito agitato come una marionetta: il debito morale contratto con chi gli ha garantito un avvenire lontano dalla poverta’ marocchina continua a pesare in tutti i loro rapporti.

La progressione drammatica e’ efficace e terribilmente soffocante, anche grazie ad una bravissima Emilie Dequenne – la ricordate in Rosetta dei Dardenne? – ed ad un meraviglioso Niels Arestrup, sempre in bilico tra sincerita’ e calcolo, tra affetto e interesse.

La scena in cui Murielle torna a casa in auto e si commuove sino alle lacrime cantando una canzone di Julien Clerc, poco prima della fine, e’ impressionante.

Piu’ acerbo Rahim, che dimostra come l’entusiasmo per Il profeta, andasse meglio indirizzato verso la magnifica direzione d’attori di Jacques Audiard.

La sceneggiatura e’ di Thomas Bidegain, in concorso con Rust and bone.

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