Ant-Man and The Wasp: Quantumania

Ant-Man and The Wasp: Quantumania *1/2

La quinta fase del Marvel Cinematic Universe comincia con un flashback nel regno quantico in cui Janet Van Dyne è rimasta intrappolata per trent’anni.

Qui atterra, misteriosamente esiliato, Kang Il Conquistatore o sarebbe meglio dire una delle sue possibili variazioni del multiverso.

Nel tempo presente Janet si è riunita con la sua famiglia dopo gli eventi di Infinity War e Endgame: Hank Pym e la figlia Hope, Scott Lang e la figlia Cassie.  Non ha mai voluto parlare con loro di quello che è successo nel regno quantico.

Ma quando Cassie costruisce una macchina per comunicare con quel regno ancora in gran parte misterioso, tutta la famiglia ne viene risucchiata trovandosi a confronto con Kang e con la sua macchina distruttrice MODOK, che altri non è se non Darren, il protetto di Pym, trasformato da Kang in un mutante sintetico con una testa gigante.

Kang vuole tornare nel nostro universo, ma gli servono Lang e le sue particelle per rimpicciolire il nucleo della sua navicella spaziale, fatto esplodere da Janet prima di fuggire.

Il film di Peyton Reed perde per strada tutta l’originalità e il tono leggero del primo Ant-Man, che ancora sfruttava le idee di Edgar Wright. Qui di scanzonato rimangono solo l’incipit e la coda di Lang per le strade di San Francisco e forse il MODOK, una sorta di Funko Pop irritante e patetico.

La lotta delle popolazioni locali annientate da Kang rimane sullo sfondo, per giustificare un po’ di azione ed effetti, ma nessuno ci spiega davvero perchè il Conquistatore faccia quello che fa. Rimane intatta poi l’ambiguità su questa versione di Kang e sul perchè del suo esilio.

Come al solito solo nelle scene mid-credit e post-credit avremo qualche informazione in più, ma quando un film si risolve in un’anteprima per un paio di sequenze di trenta secondi, vuol dire che davvero la Marvel sta sprecando il nostro tempo e la nostra pazienza.

Peraltro, mentre all’inizio la trama orizzontale si sviluppava attraverso un percorso interamente cinematografico, ormai sono coinvolti nel disegno anche le serie: Kang appare infatti per la prima volta in Loki e alla prossima stagione di quel personaggio rimanda l’ultima scena, continuando il giochino delle finestre aperte sul futuro, diventato francamente stucchevole e telefonato.

Il film di Reed è modestissimo, scritto in modo pedestre, interpretato senza alcuna vibrazione positiva, da un cast che sembra costantemente spaesato, immerso nel green screen o nello stagecraft senza alcuna convinzione.

Solo Michelle Pfiffer, a cui il copione riserva imprevedibilmente un ruolo meno marginale, appare più convinta e tenta pure di recitare, almeno nei suoi duetti con Jonathan Majors. Quest’ultimo interpreta Kang con una certa gravitas, pur essendo del tutto evidente come in Loki il suo clamoroso miscasting.

Il problema più serio con tutto l’universo Marvel successivo al Blip di Thanos è sia narrativo che di caratteri: il racconto orizzontale è ridotto solo a blando pretesto diluito in troppe storie, quello verticale è ancor meno interessante e abborracciato, mentre i personaggi introdotti sembrano essere solo le pallide copie di Iron-Man e Captain America.  Il MCU si ritrova così senza una guida e avanza a tentoni, probabilmente allungando il più possibile i tempi, in modo da poter reintrodurre Spider-Man e soci quando ce ne sarà bisogno.

I piani quinquennali di Feige mostrano i limiti di una bulimia ipertrofica di prodotti e di una ricerca ossessiva di uniformità che hanno appiattito le pur minime differenze che caratterizzavano le singole avventure.

Una sola cosa forse può salvare questo vascello diventato troppo pesante per navigare davvero: abbandonarlo alla sua deriva, sperando che si inabissi definitivamente.

Dopo 31 film e una serie spropositata di serie, anche un genio come Kevin Feige avrebbe bisogno di fare altro. E noi con lui.

Inutile.

 

 

 

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