Avengers: Endgame

Avengers: Endgame **

Dopo il successo clamoroso di Infinity War, chiuso da un finale scioccante e radicale, la prima domanda se la sono fatta proprio i due sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely: “What the hell do you do after that?“.

E’ da qui, allora, che bisogna ripartire, per raccontare il ventiduesimo film dell’universo cinematografico della Marvel, che chiude dopo undici anni una saga celeberrima ormai in tutto il mondo, capace di appassionare non solo i fans dei personaggi storici della Casa delle Idee, ma anche chi non aveva mai aperto un loro albo, un italiano come un cinese, un coreano, come un americano.

Tra alti e bassi notevoli, soprattutto nei primi anni, con personaggi la cui identità si è via via definita meglio nel corso del tempo, con altri che hanno arricchito la schiera degli eroi e dei villain, con aggiunte last minute e anche un paio di film collettivi di Joss Whedon di infantile superficialità, gli Avengers, guidati dal gruppo storico ovvero Iron Man, Captain America, Hulk, Thor, Hawke Eye e Black Widow, si trovano a dover fare i conti con le conseguenze della scelta sterminatrice di Thanos.

I fratelli Russo e Kevin Feige, consapevoli che questo Endgame sarebbe stato il capitolo conclusivo del viaggio cominciato con Iron Man nel lontano 2008, hanno scelto di farne una summa di tutto ciò che il Marvel Cinematic Universe è stato sino ad ora, con i suoi pregi e i suoi molti difetti, le sue battute e il suo senso di stupore, le strizzate d’occhio ai fans storici, mancando tuttavia clamorosamente il senso del ritmo e la fluidità del racconto, che è sempre stato uno degli elementi chiave del suo successo.

Se Infinity War aveva regalato inoltre ai più fedeli il piacere di far quadrare i conti con il passato, qui il racconto d’incarta inutilmente, proprio in una lunga e inutile sovrapposizione con le storie già raccontate in altri film, pasticciando un bel po’ e scegliendo la soluzione più prevedibile, per ribaltare l’esito del precedente.

Dopo un prologo che ci mostra che anche Hawke Eye ha perso la sua famiglia e Tony Stark è disperso nello spazio assieme a Nebula, senza più ossigeno e carburante per rientrare sulla Terra, l’arrivo dell’ultima eroina dell’universo Marvel, consente al team originale degli Avengers di rinsaldarsi per scovare il pianeta dove si nasconde il Titano Thanos, per cercare una vendetta immediata.

La spedizione avrà subito successo e, con una scelta anticlimatica, il film potrebbe anche finire qui. Dopo una ventina di minuti.

Dovendo invece riempire altre due ore e mezza i fratelli Russo decidono di spostare l’azione avanti di cinque anni, ripresentandoci i nostri eroi chi depresso, chi ingrassato e fuori forma, chi trasformatosi in vigilante, chi felicemente sposato e chi capace finalmente di venire a patti con le proprie due identità.

A rompere gli equilibri e il lutto ormai ampiamente elaborato, riappare Ant-Man Scott Lang, disperso nel mondo quantico durante lo snap di Thanos e incredibilmente riuscito a tornare sulla Terra, nonostante la scomparsa di Hope Van Dyne e dei suoi collaboratori.

Per non rovinare la sorpresa a nessuno ci possiamo anche fermare qui, non senza rimarcare che la parte migliore di questo Endgame finisce proprio quando si conclude la nuova chiamata alle armi degli eroi.

Il resto è un disastro abbastanza telefonato, in cui il coraggio e le scelte radicali di Infinity War vengono ribaltate in una ripetizione di cose già viste e di battaglie già combattute. Nonostante la durata monstre, Endgame stranamente non cerca nessuna epica e mette la sordina anche all’azione. Si adagia invece nella nostalgia del ricordo, nell’autocelebrazione.

Per trovare un sequel così diminutivo e sciatto dobbiamo ritornare indietro nel tempo, ad esempio al secondo e terzo episodio di Ritorno al Futuro, citato sarcasticamente in ben due battute del film.

Se Infinity War era, in qualche modo, l’esito rivoluzionario di un percorso contrastato, tra avanguardia e conservazione, Endgame è una sorta di Congresso di Vienna, la restaurazione di tutti i vizi e i cliché che abbiamo sempre rimproverato ai film della Marvel, a cominciare dalla quantità spropositata di battute, che in un contesto sempre fortemente drammatico, finiscono solo per stancare.

Anche dal punto di vista psicologico e politico, se non propriamente filosofico, Endgame è assai discutibile, con la sua ansia di rammendare la storia, con la sua incapacità di accettare le sconfitte e di elaborare il lutto, fino a spingersi a voler riscrivere il passato, a costo di truccare le carte e ricominciare da capo.

Chissà perchè viene in mente l’infausto e immorale rewind di Funny Games di Haneke, che già vent’anni fa irrideva l’ossessione tutta americana – e occidentale – di rimettere a posto le cose e far tornare sempre i conti sul grande schermo.

Peccato allora che i Russo e i loro sceneggiatori non ci dicano nulla del mondo creato dalle scelte radicalmente ambientaliste di Thanos, perdendo l’occasione di rivelare le possibili conseguenze della scelta del Titano. In quel salto temporale di cinque anni tra il prologo e il ritorno all’azione degli Avengers, c’era un intero universo narrativo da poter esplorare, ma i Russo preferiscono usarlo per un paio di scenette divertenti con Thor nella nuova Asgard e Tony Stark giovane pensionato in famiglia.

La grandezza di Infinity War si fondava in gran parte sullo svelamento del grande piano, che Thanos aveva ordito nell’ombra, sin dall’attacco di Loki a New York. Pur essendo apparso più volte e con fattezze diverse nei film della Marvel, il titano si mostrava davvero solo allora, nel momento in cui il guanto e le gemme gli donavano il potere assoluto.

I Russo e i loro sceneggiatori ne avevano fatto un villain misterioso e inesorabile, un personaggio tragico, capace di sacrificare persino l’amatissima figlia, per compiere il suo destino e ‘salvare’ l’universo, annientando metà delle creature viventi, per consentire alle altre la sopravvivenza.

Thanos sembra quasi un figura biblica, che si sente investita di una missione più grande, terribile e salvifica al tempo stesso, frutto di un disegno morale, ideologico. Di fronte ad un universo che consuma le sue risorse più velocemente di quanto non ne riesca a produrre la natura, l’unica soluzione che Thanos riesce a vedere è un sacrificio supremo, un genocidio casuale e imparziale, per evitare il declino e la fine.

E infatti, portato a termine il suo piano, si ritira come Cincinnato su un pianeta lontano, abbandona l’armatura da guerriero nei campi e distrugge una volta per tutte il guanto del potere.

La grandezza di Thanos sta appunto nella sua ineluttabilità, nel suo essere inesorabile come una forza arcana, che agisce senza sentimenti umani, non conosce pietà, compassione, dolore, vendetta: un Colonnello Kurtz che ha imparato a convivere con l’orrore.

Purtroppo però Endgame ne brucia subito l’enorme potenziale, sembra quasi non sapere che farsene di un antieroe così ingombrante. Salvo poi recuperarlo in modo puerile nella parte finale, trasformandolo in un cattivo qualunque, un distruttore rabbioso, come se ne sono visti tanti.

E’ tutta qui, forse, la distanza che corre tra il notevolissimo ed epocale Infinity War e il bambinesco e confusionario Endgame.

Un film che si nutre degli episodi precedenti, come Saturno con i suoi figli, li cannibalizza, ne riprende scene e personaggi, lasciando fortunatamente ai suoi attori almeno un po’ di spazio per recitare, nelle sue tre ore.

Questo giova soprattutto al mattatore Robert Downey jr., caricato del ruolo più drammatico e profetico fin dall’inizio: è lui quello che ha più da perdere nella rincorsa affannosa del passato, mentre si gode finalmente un presente realizzato, dopo gli anni degli eccessi.

Indovinatissima anche la trasformazione di Thor: Chris Hemsworth, che aveva cominciato ad incarnare il personaggio nei primi due severi episodi nordici, l’ha via via trasformato, seguendo la sua vena più comica ed anche qui è l’unico che riesce sempre a strappare un sorriso, grazie all’autoironia.

Forse i Russo avrebbero dovuto fidarsi di più del nucleo storico degli Avengers, giustamente ricostituito, dopo essere stato risparmiato dal destino. Invece, liquidata velocemente la questione Thanos, per stupire ancora una volta il loro pubblico, i due si sono trovati poi forse con le spalle al muro, scegliendo il modo più deludente e puerile, per uscirne.

A quel punto Endgame perde a poco a poco il patto con il suo pubblico, forzando la sospensione dell’incredulità e giocando con i paradossi spazio-temporali in modo troppo spregiudicato: non bastano certo i cameo di Robert Redford, Tilda Swinton e Natalie Portman a riempire gli occhi e la testa.

Poi certo, il film si riprende scegliendo la mozione degli affetti nel finalissimo, a fuochi finiti, confermando l’idea di un rinnovamento radicale del Marvel Cinematic Universe, con alcuni personaggi che usciranno di scena e altri che passeranno il testimone, per rilanciare ancora una volta l’avventura, verso un futuro nuovo, probabilmente molto diverso.

Pochissimo spazio per Captain Marvel, nonostante le attese e il recentissimo film d’origini. Perfettamente up to date invece l’attacco delle eroine femminili in battaglia, che potrebbe anticipare anche un team di vendicatori tutto al femminile.

Endgame, come ha scritto Tony Scott sul NYTimes, avrebbe voluto essere come il finale di un grande concerto rock, quando la band risale sul palco per cantare gli ultimi pezzi, quelli che tutti stanno aspettando, capaci di unire cuori e anime. Purtroppo a noi è sembrato invece fiacco e deludente, come sono di solito le ricostruzioni cinematografiche di quei concerti, incapaci di restituirne l’emozione unica e irripetibile.

Forse a qualcuno basterà. Prevedibili incassi stratosferici.

P.S. Non ci sono scene extra sui lunghissimi titoli di coda.

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