The Natural History of Destruction ***
Dopo aver preso in prestito a un romanzo di W.G. Sebald, Austerlitz, il titolo del suo memorabile reportage sui campi di sterminio, in The Natural History of Destruction Sergej Loznitsa dialoga esplicitamente con uno dei saggi più noti dello scrittore tedesco, edito in Italia da Adelphi col titolo Storia naturale della distruzione.
Cause ed effetti: recuperando immagini da archivi inglesi e tedeschi, il regista ucraino costruisce un discorso semanticamente lineare, diretto, che sembra cominciare come Il nastro bianco e finire come Germania Anno Zero.
Tra il 1943 e il 1945 oltre un milione di tonnellate di ordigni alleati si riversarono su centotrentuno città tedesche provocando seicentomila morti fra i civili e sette milioni di senzatetto.
Scrive Sebold che “E’ difficile riuscire oggi a farsi un’idea anche solo vagamente adeguata di quell’immane devastazione e più difficile ancora riflettere sull’orrore che accompagnò tale devastazione”. Eppure, quasi nulla di tutto questo compare nelle pagine della narrativa tedesca del dopoguerra.
Se tuttavia il discorso di Sebald è rivolto alla cultura tedesca, incapace di raccontare e riflettere su quella devastazione, facendone un tabù rimosso dalla coscienza collettiva e superato dall’ansia di ricostruire senza voltarsi indietro, Loznitsa vuole parlare ad un pubblico diverso, a quell’Europa che sembra aver ugualmente rimosso il ricordo di quella devastazione, ormai troppo lontana nel tempo.
Ci sono quindi le immagini delle città negli anni ’30, prima dell’invasione della Polonia. Scene di vita quotidiana bandiere col la croce uncinata. Poi la trasformazione delle fabbriche locali al servizio dell’industria bellica: aerei, biplani, missili, bombe. Quindi i discorsi dei politici, Churchill in primis, che preludono alla lunga notte dei bombardamenti, ripresi prima dall’alto quindi dalle strade, con le fiamme che bruciano ogni cosa.
L’ultima parte è dedicata a quello che rimane: vestigia di palazzi, campanili, stazioni, edifici civili e religiosi, completamente sventrati, ridotti a scheletro vuoto, in mezzo a cumuli enormi di macerie.
Tra le voci più forti nel condannare l’escalation militare della Russia nel suo Paese, Loznitsa con questo piccolo esemplare lavoro di montaggio sembra volerci ricordare l’atrocità irredimibile della guerra, la distruzione tragica e fatale non solo della vita umana, ma di tutto ciò che l’uomo ha faticosamente costruito nei secoli, dello spazio che ha sottratto alla natura, per condividere il suo vivere comune. Le città rase al suolo, gli edifici fantasma se non completamente annientati, il fumo, la polvere, le fiamme: che siano città tedesche, francesi, italiane, poco importa a Loznitsa, il cui punto di vista è assoluto e radicale.
Il lavoro sui materiali d’archivio è prodigioso, capace di dare un senso logico a fonti eterogenee.
La scansione stessa del montaggio individua precisamente un prima e un dopo e l’assurdità del durante, con gli aerei orgogliosamente costruiti, fatti sfilare in parata in mezzo alla folla festante, preludio del silenzio e della morte che porteranno in terra e in cielo.
Evidentemente pensato prima del conflitto ucraino, The Natural History of Destruction suona come il monito inascoltato di una nuova tragica distruzione in corso.
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