Cannes 2022. R.M.N.

R.M.N. **1/2

A distanza di quindici anni dalla sorprendente Palma d’Oro conquistata con l’esordio di 4 mesi 3 settimane 2 giorni, capace di accendere una luce sul nuovo cinema rumeno, Cristian Mungiu porta a Cannes il suo quarto film, R.M.N., un’altra esplorazione del suo paese e delle sue disforie.

Il nuovo lavoro è ambientato a Bradu, un piccolo paese della Transilviania e si apre con un bambino, Rudi,  che attraversa i boschi per andare a scuola. Ad un certo punto vede qualcosa che lo sconvolge e torna indietro. Rudi è il figlio di Matthias che ha lasciato la sua famiglia per cercare lavoro in Germania nell’industria della carne. Quando una mattina il suo superiore lo chiama zingaro, lo colpisce con una testata e torna a casa per Natale.

Scopriamo così che i suoi rapporti con la moglie sono ai minimi termini, anche perchè Matthias è innamorato di Csilla, manager dell’azienda di panificazione locale.

Nel tentativo di espandere la propria attività e di accedere a fondi europei, Csilla e la proprietaria decidono di assumere tre nuovi addetti alla produzione, prima cercandoli a Bradu, ma poi quando non ci riescono e i termini per ottenere le agevolazioni stanno per scadere, decidono di assumere tre cingalesi, da un’agenzia interinale.

Questo provoca una sommossa popolare, che comincia a messa, nella chiesa del piccolo paese e divampa con una raccolta firme, un’adunata pubblica, quindi passa attraverso il boicottaggio del pane, lavorato dalle mani degli stranieri, e finisce con le minacce, sempre più cattive e le molotov lanciate nella casa dove i tre sono ospitati.

Mungiu che ha raccontato con sguardo severo e rigoroso la Romania dopo la fine del regime di Ceausescu, la sua corruzione, il marcio delle sue istituzioni – anche quelle religiose – la mediocrità che spinge i migliori alla fuga, qui fa un passo oltre, cercando di misurarsi con una dimensione nuova, ovvero quella dell’integrazione europea, dei flussi migratori, dell’accoglienza e del lavoro.

Se il popolo riunito in assemblea è volgare e razzista, xenofobo e intimorito, il capitalismo non è certo illuminato e cerca solo di perseguire il suo profitto, sfruttando la forza lavoro a salario minimo, con un internazionalismo e un’apertura, che sono solo il riflesso oscuro della globalizzazione.

Non c’è vera solidarietà umana, solo opportunismo.

Se le intenzioni di Mungiu sono chiarissime ed encomiabili, il film invece è assai più farraginoso questa volta, sceglie un personaggio le cui motivazioni restano indecise, un uomo confuso che mostra solo una durezza di facciata.

Più semplice identificarsi con Csilla, l’unica che sembra avere davvero a cuore la sorte dei tre operai. L’unica che sembra aver compreso davvero i principi di una comunità più larga, quella europea, in cui la dignità del lavoro, la solidarietà e le pari opportunità sono spesso solo parole.

Mungiu tuttavia le lascia sempre il ruolo di deuteragonista di Matthias, preoccupato di mantenere un punto di vista più neutro. La scrittura accumula troppe suggestioni, con paure arcaiche e moderne, con lo spettro della malattia e del suicidio, con un’infanzia muta di fronte al dolore e una folla chiassosa, forte del suo pregiudizio.

R.M.N. è una risonanza di una società confusa, preda di forze centrifughe, impreparata ad accettare la modernità e le sue sfide, assediata infine da una natura non meno feroce e predatrice.

Nel lungo piano sequenza dell’assemblea cittadina, ci sono la confusione e le contraddizioni, che pure avevamo già visto in un’altra assemblea, quella scolastica di Sesso sfortunato o follie porno di Radu Jude.

Non si salva nessuno, forse neanche Mungiu che, nel tentativo di dire troppo, questa volta perde un po’ il filo del discorso, scivola più volte in semplificazioni che dal suo talento non possiamo accettare.

Tuttavia è evidente, dopo questa prima settimana del concorso, una sottile linea rossa che lega molti dei film del concorso nel nome di una critica esplicita al modello di sviluppo capitalistico occidentale, ai suoi eccessi, alle sue storture, alle sue iniquità. Il cinema qui a Cannes interroga la realtà e le porge il suo specchio, dopo due anni di pandemia e nel corso di un conflitto disastroso nel cuore dell’Europa: l’immagine che ci rimanda è scandalosa come un quadro di Bacon.

 

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