Cannes 2022. Hunt

Hunt **1/2

Il debutto dietro la macchina da presa della star di Squid Game è un thriller di spionaggio, ambientato nella Corea dei primi anni ’80, subito dopo l’assassinio del presidente, il generale Park Chung-hee, per mano del capo della KCIA e dopo il massacro di Gwangju, in cui l’esercito sedò nel sangue la rivolta popolare che si opponeva al nuovo colpo di stato militare di Chun Doo-hwan.

In un Paese in cui nessuno si fida di nessuno, alla KCIA i due capi della divisione esteri e interni Park e Kim sono impegnati a scoprire una talpa nordcoreana che lavora ad un segretissimo piano San Pedro, per assassinare il nuovo presidente sudcoreano. Ciascuno sospetta dell’altro, mentre continuano i rastrellamenti e le torture degli studenti e dei dissidenti, con la CIA che sembra muovere i fili da lontano, interessata a stabilizzare la guerra fredda lungo la linea del 38° parallelo.

Dopo aver spinto l’escalation sempre un passo oltre, Park e Kim scopriranno di essere su fronti diversi, ma non distanti, entrambi fautori di una strategia che potremmo dire moderata.

Il film di Lee Jung-jae che si ritaglia anche il ruolo dell’agente Park è un bel thriller sapido, che non ha paura di sporcarsi le mani con la storia del suo Paese e che un immagine ormai familiare della Corea degli anni ’80, preda degli istinti più crudeli, di una violenza istituzionalizzata, con una sempre più forte insofferenza ai regimi dittatoriali filoamericani.

Il caos regna sovrano e nessuno è davvero chi afferma di essere. le spie fanno il doppio, il triplo gioco, in una partita complicata, in cui ciascuno segue il proprio spartito, a costo di mettere a rischio la vita propria e altrui.

Hunt si apre e si chiude specularmente con due tentativi di attentato, in cui Lee dimostra una certa padronanza dei codici action, tra punti di vista sfuggenti, che restituiscono tutta l’incertezza dei motivi in gioco.

Il resto scorre a ritmo sostenuto, tra segreti e rivelazioni, sino ad un finale che vorrebbe rimettere le tessere a posto, senza riuscirci.

Evidentemente pensato soprattutto per il mercato interno, con continui riferimenti alla storia coreana di quegli anni, il film resta godibile e interessante anche per una platea internazionale, perchè alla fine, al netto delle questioni politiche resta il racconto di due uomini decisi a non tradire se stessi.

Nel panorama eterogeneo del cinema coreano contemporaneo, questo Hunt non aggiunge molto a quanto già sapevamo della bontà della produzione di genere. Si tratta di un film che poggia soprattutto sulla costruzione di due personaggi complessi, sfuggenti, di cui pian piano si capiscono desideri e obiettivi. A Lee interessano le psicologie, ma non disdegna l’azione, costruendo un lavoro equilibrato, spettacolare e sfidante per lo spettatore.

Siamo lontani dagli exploit dei maestri, ma l’intrattenimento è solido e competente.

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