Il male non esiste – There Is No Evil ***1/2
Orso d’oro alla Berlinale nell’edizione del 2020, Il male non esiste, settimo film del dissidente iraniano Mohammad Rasoulof, nonostante sia stato acquistato da Satine per l’Italia, non è mai uscito nelle sale o in streaming nel nostro Paese.
Rasoulof non ha potuto neppure ritirare il premio, perchè il regime iraniano gli ha sequestrato il passaporto e l’ha condannato ad un anno di prigione e al divieto di girare per due anni, a causa dei suoi lavori precedenti, derubricati a propaganda contro il sistema.
In realtà sia Manuscripts Don’t Burn, sia A Man of Integrity, presentati e premiati a Cannes a Un certain regard, sono racconti crudeli e disperati di un mondo, che ha perso qualsiasi coordinata etica.
Il nuovo film, diviso in episodi, non è diverso dai precedenti, costruendo attorno a quattro storie singolari, una dimensione politica e morale ineludibile.
Nel primo capitolo conosciamo Heshmat, un impiegato che lavora spesso di notte: il film ce lo presenta nella sua dimensione familiare di padre e marito affettuoso, mentre fa la spesa o ritira lo stipendio in banca, mentre va a trovare l’anziana madre.
La mattina dopo la sveglia alle 3 e finalmente lo accompagniamo al lavoro. Ma quale lavoro?
Nel secondo capitolo il protagonista è un soldato di leva, Pouya, che vive in uno stanzino con altri cinque commilitoni, e cerca in ogni modo di evitare il compito che gli è stato assegnato. Contatta la fidanzata all’esterno, fa appello al fratello che ha qualche conoscenza politica, fino a che si ribella e fugge.
Nel terzo capitolo intitolato compleanno, un altro soldato Javad, sfrutta i tre giorni di licenza, per raggiunge Nana, la ragazza che ama e che vive nella provincia rurale del Paese, nel giorno del suo compleanno.
Si accorge però che lei e la sua famiglia stanno organizzando la commemorazione di un uomo che viveva vicino a loro, Keyvan, che Javad non ha mai conosciuto e che tutti consideravano di famiglia.
Ma chi era davvero Keyvan? E cosa lo lega a Javad?
Infine l’ultimo episodio racconta il ritorno in Iran di Darya, un’adolescente che è sempre vissuta in Germania, accolta dagli ziii Bahram e Zaman, che producono miele, sulle montagne.
Bahram è molto malato e questa è la sua ultima occasione, per mettere in chiaro segreti sepolti nel passato.
I personaggi del film sono tutti testimoni e strumenti, loro malgrado, di quella violenza, che lo Stato amministra solo teoricamente in modo impersonale.
Dietro la pena di morte, comminata ogni anno ad oltre 500 donne e uomini in Iran, per reati che riguardano anche la dissidenza politica, oltra alla sfera sessuale e alla prostituzione, ci sono scelte individuali, spesso obbligate.
E ci sono interrogativi morali che vengono spesso repressi e occultati dall’obbedienza ad una catena gerarchica: nel film ci sono quattro uomini che, chiamati ad amministrare la morte, in nome dello Stato, si trovano a compiere una scelta.
Qualcuno si sottrarrà a quel compito disumano, pagando fino in fondo il prezzo della ribellione, altri ne saranno inghiottiti, senza comprenderne le implicazioni, anestetizzati travet della morte, praticata con il rito barbaro dell’impiccagione.
Rasoulof ha raccontato che lo spunto per il suo film è nato dall’incontro casuale con uno dei suoi persecutori: dopo averlo seguito a lungo, per strada, si è accorto che non c’era alcuna evidente malvagità nell’uomo, ma che si trattava solo del volto anonimo utilizzato dal Potere repressivo per perpetuare la sua natura perversa.
Un complice, tutt’al più, una vittima anch’essa. Forse più semplicemente un uomo senza integrità e senza coraggio, incapace di scegliere un punto di vista morale e di mettere in discussione una pratica disumana nella sua ferocia e repressiva non solo del crimine, ma anche dell’identità e del pensiero.
Rasoulof, che da oltre dieci anni lotta contro il regime, per la sua libertà, non solo fisica, ma di espressione artistica, non è tuttavia manicheo e Il male non esiste mostra un quadro complesso e non chiuso, perchè ogni scelta richiede spesso il sacrificio di una vita intera.
Il film è rigoroso, avvincente, sfrutta con intelligenza gli interni borghesi e lo straordinario paesaggio rurale iraniano. Sceglie di stare addosso ai suoi personaggi quando deve e di allontanarsi da loro, per raffreddare la temperatura emotiva. Trova persino un finale poetico nell’ultimo episodio, quando una volpe fa capolino più volte, quasi a testimoniare la complicità della natura agli affanni degli uomini.
Rasoulof punteggia il film di tanti piccoli momenti quotidiani, in cui i dogmi del regime teocratico, vengono messi in discussione in modo meno diretto, ma altrettanto significativo.
Confidiamo che Satine, con al riapertura progressiva delle sale, riesca a trovare uno spazio degno, per far uscire Il male non esiste anche in Italia, uno dei pochi film della stagione capaci di testimoniare la forza del cinema e il suo doloroso e inesausto anelito di libertà.
Necessario.