Les Misérables *1/2
Tratto da un noto musical del 1980 di Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil, adattato in inglese da Herbert Kretzmer e scritto per lo schermo da William Nicholson, a partire dal romanzo omonimo di Victor Hugo, Les Misérables è il nuovo film del premio Oscar Tom Hooper (Il discorso del Re).
Prodotto dall’inglese Working Title e distribuito dalla Universal, è consigliato e caldeggiato solo ai fans dello spettacolo teatrale e – forse – agli appassionati dei musical di Broadway.
A tutti gli altri – così com’è successo al vostro umile critico – sembrerà un melodramma del tutto indigesto, tronfio, appesantito da una serie infinita di primi piani di attori, che tentano faticosamente di evitare il ridicolo, mentre si porgono le battute, cantando a mezza voce.
Chi fosse abituato ai musical della vecchia Hollywood, da Busby Berkeley a Gene Kelly, da Fred Astaire e Ginger Rogers a West Side Story, per non parlare del rivoluzionario Moulin Rouge!, si troverà del tutto spiazzato da un film in cui non ci sono parti recitate, nè veri numeri musicali.
Solo personaggi che cantano in continuazione, persino per presentarsi in mezzo alla strada. Non solo ma la regia di Hooper si affida quasi interamente ai primissimi piani dei suoi attori, isolandone addirittura il volto rispetto al resto del corpo ed allo sfondo, come se avessero sempre uno spot puntato sul viso ad illuminarne la performance.
La scelta di riprendere live gli attori mentre cantano, cogliendone il sonoro in presa diretta, ha forse inciso in maniera determinante su questa scelta registica, ma ha condannato il film ad una sterilità espressiva, riempita solo dal pathos interpretativo dei suoi attori.
Raramente Hooper si ricorda di far volare la sua macchina da presa sui set, naturali e ricostruiti, del film e non attorno ai suoi protagonisti. Lo fa talvolta alla fine delle canzoni o quando è il coro del popolo e dei rivoluzionari a prendere il sopravvento.
Per il resto siamo alle prese con una messa in scena poco più che scolastica, che si limita ad assecondare il lunghissimo e faticoso svolgersi della storia di Jean Valjean.
Prigioniero per vent’anni, quindi ricco imprenditore – perseguitato dal sadico Javert – Valjean si prende a cuore i destini della piccola Cosette, dopo che la madre, Fantine, è stata costretta ad abbandonarla, per potersi guadagnare da vivere, nei modi più abietti.
Passano gli anni, Cosette si innamora di un giovane rivoluzionario, Marius, conteso all’amica d’infanzia Eponine.
La ferocia delle cariche della polizia risolverà il dilemma, mentre Javert si riscatta e Valjean fugge, ancora una volta.
Il romanzo fiume ottocentesco, che comincia nella Francia post-napoleonica del 1815 è stato adattato per il piccolo ed il grande schermo molte volte. Ma è la prima occasione per la versione musical.
La modestia assoluta del libretto e delle musiche e la mancanza di un’idea originale di messa in scena, conducono al noiosissimo naufragio un’operazione la cui inutilità era evidente sin dalle premesse.
Un’opera come Les Misérables trae forza proprio dalla sua rappresentazione scenica, dall’illusione della performance , mentre la riproposizione cinematografica suona stonata, come tutto il teatro filmato.
Inutile poi la ripresa del sonoro dal vivo, che blocca ancora di più le possibilità espressive della messa in scena cinematografica, facendone una cavalcata ininterrotta di canzoni, che dopo due ore e mezza finisce inevitabilmente per nauseare.
Un disastro su tutta la linea, da cui si salvano i 20 minuti di Anne Hathaway, che ha l’unica aria memorabile del film – I dreamed a dream – e dona almeno a Fantine la grazia tragica di chi è avversato dal destino.
Per una volta facciamo nostre le parole di David Denby del New Yorker “This movie is not just bad . . . It’s terrible; it’s dreadful. Overbearing, pretentious, madly repetitive.“
Solo per appassionati.
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