Beau ha paura

Beau ha paura **

Il terzo film di Ari Aster è certamente il suo più ambizioso e folle, ma anche il suo più irrisolto e velleitario.

Dopo un lungo apprendistato nei cortometraggi, durato un decennio, Aster riesce finalmente a farsi finanziare il fulminante Hereditary, un horror che si insinua nel conformismo del focolare domestico, scardinando ogni legame, in nome di forze ancestrali: acquistato da A24 nel 2018 dopo l’ottima accoglienza al Sundance, il film diventa un piccolo caso internazionale da 80 milioni di dollari d’incasso.

Battendo il ferro del successo, l’anno successivo esce Midsommar, un’altra esplorazione dell’orrore sociale, ambientato in una comunità pagana del nordeuropa con Florence Pugh nel ruolo della vittima sacrificale.

Beau ha paura è un’odissea nell’inconscio del protagonista, un uomo di mezza età piuttosto trasandato che vive da solo, in un quartiere completamente degradato, in cui i vicini sono aggressivi e molesti, in strada rimane riverso per giorni un cadavere e anche solo uscire a prendere una bottiglia d’acqua è un’impresa sfiancante, tra serial killer nudi, mendicanti, ballerini, drogati e uomini ricoperti di tatuaggi aggressivi. La società è completamente al collasso.

Beau sembra avere un’unica abitudine: l’appuntamento con il suo terapista. Ma quando lo incontriamo ha già programmato di tornare a casa, dalla madre, che vive nella piccola Wasserton.

Solo che i vicini gli fanno sparire in un amen valigia e chiavi dell’appartamento, costringendolo a mancare il suo volo. Nel tentativo di avvertire la madre, scopre che quest’ultima è morta, con la testa dilaniata da un lampadario che si è improvvisamente staccato dal soffitto.

Spinto dal senso di colpa si precipita in strada, viene investito da un furgone e si ritrova a casa di un chirurgo e di sua moglie, che prima l’hanno travolto e poi gli hanno salvato la vita, rinchiudendolo in una sorta di prigione dorata. La loro casa, immersa nel bosco è infatti sorvegliata da telecamere, al piede si ritrova una cavigliera che segnala i suoi spostamenti e tra una scusa e l’altra, Beau rimanda ancora il viaggio a Wasserton, per la disperazione del legale di famiglia, costretto a rinviare le esequie per attendere il figliol prodigo.

Beau riesce infine a fuggire, si imbatte in una compagnia di attori itineranti che mettono in scena nel bosco le loro rappresentazioni. Durante al recita si lascerà trasportare dall’onda emotiva dei ricordi, prima nella sua infanzia, trascorsa in simbiosi con la madre, quindi immaginando la sua vecchiaia e l’abbraccio con tre figli perduti.

Quando infine raggiunge la casa materna, le cose in realtà sono molto diverse da come se l’era immaginate.

Il tentativo di ricostruire razionalmente il viaggio di Beau è impresa piuttosto complicata e forse inutile, perchè il film si nutre di irrazionalità, di connessioni improbabili, di legami deboli.

Il mondo in cui vive Beau dovrebbe essere il nostro, ma ogni cosa è verosimilmente filtrata attraverso la sua ossessione per il pericolo e la sicurezza. Il suo ritorno a casa è surreale ed episodico, i suoi incontri non rivelano assolutamente nulla. I personaggi sembrano usciti da un brutto incubo, ma la dimensione esplicitamente onirica non viene mai davvero coltivata da Aster, che lascia tutto volutamente in sospeso, preferendo affidarsi ad una connessione empatica con il protagonista.

Il pavido Beau è un sempre formidabile Joaquin Phoenix, sulle cui spalle curve e asimmetriche il film poggia interamente, tenendolo in scena per ciascuno dei 180 minuti e mettendolo spesso in difficoltà. Forse sarebbe servito un attore diverso, meno afasico e tormentato, più capace di entrare in sintonia con lo spettatore.

L’incubo castrante della madre ebraica sembra ricordare l’episodio alleniano di New York Stories, ma qui l’ironia si perde nel caos di suggestioni autobiografiche, di sensi di colpa e di chiamate dell’inconscio: un incubo psicanalitico grottesco e sopra le righe, che talvolta trova una misura originale e persino commovente, altre invece perde il filo e si avvita in una spirale di tedio senza uscita, come nel lunghissimo finale.

Siamo lontani dal capolavoro annunciato, piuttosto dalle parti di un lavoro sin troppo indulgente, che straborda in cascami e rivoli, che nessuno è riuscito a riportare nell’alveo della necessità. Ma i produttori a Hollywood esistono ancora? O sono solo un credito nei titoli?

Se Aster dopo il compatto e inquietante Hereditary e il già meno centrato e slabbrato Midsommar è già arrivato a questo presuntuoso Beau ha paura, estenuante ed egoriferito tentativo di spiegarci il “senso della (sua) vita”, le prospettive future appaiono piuttosto incerte, a meno che il piccolo culto dei suoi adepti non sia più grande di quanto immaginiamo, magari attirato dalla presenza magnetica di Phoenix, che qui tuttavia sembra essere lui stesso fagocitato dalle intenzioni confuse e petulanti del film.

Rimangono un certo innegabile talento nella messa in scena ansiogena e il fascino di alcune intuizioni, come il reduce di guerra sempre all’attacco, il tuffo nella vasca da bagno del mendicante, il primo avventuroso rientro a casa o il bellissimo sogno di Beau alla recita, ma sono momenti felici in un film che non trova mai nè misura, nè dismisura, che non ha nulla della dimensione di genere che pure animava i due lavori precedenti e che non riesce a dirsi compiuto nemmeno nella sua idea narrativa sfrangiata ed episodica. E infatti finisce per chiudere con il più ultimativo e prevedibile dei processi e la più scontata delle conclusioni.

Cosa rimane del viaggio di Beau? Francamente troppo poco, persino per un film che vorrebbe essere maledetto e di culto.

Prodotto da A24, che sembra ormai specializzata in sgangherate bizzarrie arty, in Italia è distribuito da I Wonder Pictures.

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4 pensieri riguardo “Beau ha paura”

  1. Care Stanze di Cinema sono venuto a cercare una recensione sul film Tutto in un giorno ma non ho trovato nulla.Strano, sembra un buon film e di solito i buoni film li recensite.Sempre complimenti per bravura competenza attenzione.Un Saluto.

    1. Ciao Gian Battista,
      grazie per i complimenti e per l’attenzione con cui ci segui.
      Abbiamo il visto il film spagnolo a Venezia, lo scorso mese di settembre e non abbiamo ritenuto di recensirlo in quella sede. Ce ne sono sempre 4 o 5 che subiscono questa sorte, durante i festival. Non ci è sembrato poi un lavoro meritevole di recupero, quando è uscito in sala circa un mese fa. Tutto qui.
      M.

      1. Certo non proprio un buon viatico per la visione di stasera al cinema Don Bosco a Roma.Grazie.Saluti.

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