La terza stagione delle avventure di Din Djarin e Grogu ci presenta il guerriero mandaloriano che vuole redimersi per essere accolto pienamente nel gruppo dei suoi pari guidati dall’Armaiola, carismatica e misteriosa nella sua armatura con elmo dorato. Din infatti si è macchiato di un’azione altamente disonorevole, si è cioè tolto l’elmo (lo abbiamo visto nella seconda stagione) davanti a Grogu, per salutarlo prima che questi partisse con Luke Skywalker verso il suo addestramento Jedi. Essere un mandaloriano significa rispettare le prescrizioni del Credo, tra cui appunto quella di non togliersi mai l’elmo di fronte a un altro essere vivente. L’unico modo per redimersi dalla propria apostasia è immergersi nelle mitiche acque viventi sotto le miniere di Mandalore dove, secondo la leggenda, vivevano i mitosauri, animali sacri al popolo mandaloriano che ne ha scelto la forma stilizzata come simbolo. Una missione tutt’altro che semplice, sia per la presenza di possibili minacce sul pianeta sia per la probabilità che l’aria sia irrespirabile a causa della devastazione compiuta dall’impero durante la tristemente famosa Purga Mandaloriana (da non confondersi con la Grande purga, che corrisponde all’Ordine 66). Le bombe a fusione con cui il pianeta è stato bombardato hanno cristallizzato il suolo, interrotto il campo magnetico (e quindi di fatto ogni comunicazione) e, si crede, avvelenato l’aria. Il viaggio di Din sembra quindi una missione disperata, ma ‘Questa è la via’ e il nostro guerriero intende percorrerla fino in fondo, con Grogu al suo fianco.
Per compiere la missione sarà determinante l’aiuto di Bo-Katan Kryze, chiamata proprio da Grogu in soccorso di Din, catturato nelle miniere da un essere con un supporto robotico. La guerriera dovrà peraltro intervenire una seconda volta per salvargli la vita, dopo che una forza misteriosa lo ha spinto a fondo nelle acque viventi. Scendendo nelle profondità delle acque di Mandalore, Bo-Katan si imbatterà anche in un mitosauro: non sono quindi estinti, proprio come non è destinato all’estinzione il popolo mandaloriano. Il suo coraggio le farà guadagnare la piena fiducia di Din e anche la spada oscura, la Darksaber, con cui potrà cercare di riunire tutti i mandaloriani dispersi nella galassia.
Al centro della stagione si trova quindi il pianeta Mandalore. Mai come in questa terza tappa la Storia è importante: quella di Star Wars, di un popolo, dei singoli protagonisti. Anche lo spettatore prova la stessa emozione dei guerrieri mandaloriani nel tornare sul loro pianeta. Mettere piede su Mandalore non vuol dire solo ripercorrere i drammatici eventi del passato, ma anche il percorso di crescita di quella che si presenta come la co-protagonista della stagione, insieme a Din (Pedro Pascal) e cioè Bo-Katan (Kathryn Sackhoff). La malinconia del suo sguardo nel vedere Mandalore distrutto, la nostalgia del passato nel rievocare le tradizioni degli avi e lo stupore nell’incontrare un Mitosauro sott’acqua sono emozioni intense che lo spettatore vive insieme a lei. Il percorso esistenziale di Bo-Katan è stato molto diverso da quello della sorella Satine, reggente di Mandalore innamorata della pace e della libertà. Certamente più travagliato e tortuoso: dove in Satine trovavi l’ideale piegato alla ragione e quindi volto alla politica, in Bo-Katan trovi l’ideale libero da condizionamenti e per questo più adatto al combattimento, ma anche più soggetto al rischio della radicalità.
Tra le due sorelle del resto non sono mancate le discussioni: Bo-Katan si era infatti scontrata con Satine, non accettando la sua idea di neutralità e pensando che questa sminuisse l’eredità guerriera del popolo mandaloriano, decidendo quindi di confluire nel gruppo terroristico Ronda della Morte, come narrato in The Clone Wars. Bo-Katan era poi tornata sui suoi passi e, in una fase successiva, aveva scelto di si schierarsi al fianco di Ahsoka Tano per liberare Mandalore dall’Impero, riuscendo anche a spodestare Darth Maul per un breve interregno sconvolto, come tutto l’universo, dall’Ordine 66. Il rapporto tra Bo-Katan e Ahsoka potrebbe essere il collegamento con la prossima serie dell’ecosistema di Star Wars e cioè Ahsoka in uscita nella seconda metà dell’anno. Bo-Katan era anche riuscita a riprendere il potere, ma con il diniego alla sottomissione all’Impero, aveva finito per scatenare la Purga e la distruzione del pianeta portata avanti, tra gli altri, da quel Moff Gideon che ritroviamo tutt’altro che spirato e invece particolarmente ispirato nei suoi propositi di sovvertire la Nuova Repubblica. In questo sarà affiancato da un misterioso consiglio ombra che intende ricostituire l’impero. Creato dall’ammiraglio Gallius Rax che, dopo la morte di Palpatine lo sostituì alla guida dell’Impero, il Consiglio è composto dai personaggi di spicco delle gerarchie imperiali, tra cui in particolare spiccano proprio Gideon e Brendol Hux.
A livello narrativo si ripropone lo schema che abbiamo già visto in passato, con un inizio piuttosto lento e una progressione in crescendo che trova negli episodi finali un climax adrenalinico. Anche in questo caso la storia si prende il suo tempo per arrivare allo scontro finale tra Din Djarin e i Mandaloriani da un lato e Moff Gideon (Giancarlo Esposito) con i suoi cloni potenziati dall’altro.
Pur confermando il vincolo indistruttibile tra Din e Grogu, questa volta il piccolo Yoda sembra acquisire un ulteriore livello di autonomia che lo porta a muoversi da solo in modo coraggioso, senza far affidamento sugli altri e senza far ricorso in via estemporanea alla Forza. Il rapporto tra i due resta una delle qualità migliori del racconto, ma solo nella prima e nell’ultima parte, perché nella fase centrale della stagione perde progressivamente di intensità. Per diversi episodi Grogu sembra quasi ridimensionato, come hanno scritto alcuni critici, ridotto ad una simpatica mascotte. Una sensazione che solo parzialmente il finale riesce a togliere dalla bocca dello spettatore.
La terza stagione conferma che l’obiettivo principale di Filoni e Favreau è proporre un racconto d’avventure. Le trame verticali che si risolvono in una puntata, secondo lo schema della criticità da superare per raggiungere un obiettivo, sono diversificate per temi e per spazio e questo spiega come sia compatibile nella stessa stagione passare da un episodio della durata di 32 minuti a uno della durata di 58 minuti. Anche dove potrebbero aprirsi spunti interessanti su temi come il fanatismo religioso, il potere, il perdono, la redenzione, l’appartenenza, l’analisi si stempera nell’azione. Non interessa l’approfondimento, l’introspezione, la prospettiva sociale, ma è nel viaggio che si compie il destino dei protagonisti e che vengono risolti i temi toccati dal racconto. Del resto il modello sono i western, lo abbiamo già detto nelle passate recensioni: racconti di movimento, viaggio, azione con un senso estetico rilevante (anche musicale), ma raramente occasione di approfondimenti o analisi sociali. A riguardo il finale, con l’effetto iride che tanto spesso veniva utilizzato nel cinema classico è un omaggio alla coppia di protagonisti e alle loro avventure, tutt’altro che terminate.
TITOLO ORIGINALE: The Mandalorian
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 30-50 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 8
DISTRIBUZIONE STREAMING: Disney Plus
GENERE: Action Adventure Sci-Fi
CONSIGLIATO: ai fan di Star Wars: l’universo è sempre più avvolgente, in attesa che ad Agosto esca la serie, anche questa attesissima, con Ahsoka come protagonista.
SCONSIGLIATO: a quanti si sono persi la serie di Boba Fett: recuperarla è importante per riuscire a colmare il vuoto tra la seconda stagione e gli eventi della terza, per capire come Din e Grogu si sono ritrovati insieme e quello che è successo alla Darksaber.
VISIONI PARALLELE: per approfondire la storia del Pianeta Mandalore non possiamo che rimandare alle serie animate The Clone Wars e a Rebels.
UN’IMMAGINE: uno degli elementi iconici di questa serie sono sicuramente i disegni finali che ripercorrono gli eventi principali raccontati sullo schermo. Un omaggio alla narrazione per immagini grafiche tanto amata da Filoni, ma anche un modo ulteriore per esprimere l’intermedialità della narrazione di questo ricchissimo e vitalissimo ecosistema narrativo.