Hereditary

Hereditary ***

Il primo film di Ari Aster – regista newyorkese appena trentenne, noto soprattutto per i suoi controversi e provocatori cortometraggi – è stato presentato al Sundance in anteprima, poi distribuito dalla A24 e in Italia dalla KeyFilms/Lucky Red. Hereditary è un horror familiare, capace di sfruttare molti diversi topoi di genere con grande intelligenza, accumulando tracce e inquietudini diverse e contrastanti, sino a manifestare pienamente la propria natura solo nello scioccante finale.

Sin dal suo esordio con The Strange Thing About the Johnsons, Aster ha raccontato la monade famiglia americana e i rapporti di potere che la muovono, con una radicalità capace di suscitare reazioni contrastanti e controverse.

Hereditary non è da meno, facendo esplodere la violenza dei rapporti di sangue, grazie alla mediazione del genere horror, esplicitando così ogni tensione nascosta e costruendo un grande teatro dell’assurdo.

Il film si apre con un necrologio: è quello di Ellen, l’anziana madre di Annie Graham un’artista che realizza straordinarie miniature, case di bambole, che riproducono con grande realismo episodi di vita della sua famiglia.

Annie è sposata con Steve che fa lo psicologo. Hanno due figli: Peter, all’ultimo anno di high school, e l’adolescente Charlie, solitaria, appassionata di disegni e costruzioni, dal volto inquietante e irregolare.

I rapporti di Annie con sua madre e con la sua famiglia d’origine sono stati segnati dal lutto e dalla malattia: al funerale racconta di non conoscere bene Ellen, che aveva molti misteri e molti lati nascosti.

Quando una sera Annie costringe Charlie ad accompagnare il fratello Peter ad una festa, le buone intenzioni materne si trasformano in tragedia.

Distrutta dal dolore, in un gruppo di supporto, Annie conosce Joan, che ha appena perso figlio e nipote. Le due donne diventano amiche e Joan introduce Annie a rituali spiritistici, che sprofondano la protagonista in un incubo allucinatorio, capace di travolgere tutta la sua famiglia: una sorta di maledizione incombe sulla villetta dei Graham.

Preparato da Aster nel corso di molti anni, con una cura maniacale per le scelte narrative e stilistiche, dalle miniature alla colonna sonora, Hereditary comincia con l’inquadratura di una delle case ricostruite da Annie e con un carrello che lentamente ci porta al suo interno, fino a far coincidere realtà e rappresentazione.

Con l’intento di rendere sempre più sottile e permeabile questo confine, quasi tutto il film è giocato con gli interni immacolati di casa Graham, ricostruiti in studio, come se fossimo precipitati anche noi in quell’universo macabro delle creazioni di Annie.

I personaggi sono incapaci di scelta, sono marionette giocate da un destino più grande di loro, costrette a subire scelte che non comprendono e non vogliono accettare.

Aster ribalta continuamente le attese dello spettatore: il film comincia come un dramma familiare classico di lutto e malattia, si trasforma in una storia sovrannaturale, quindi in un horror da cabin in the woods, quindi cambia ancora, mostrando il suo vero volto, solo all’approssimarsi della fine.

Immersi in uno spazio chiuso, che non si apre mai all’esterno, i protagonisti comprenderanno fino in fondo il ruolo della linea del sangue, del fardello della discendenza e dell’impossibilità di venirne a capo.

Come spiega uno dei professori di Peter all’inizio del film, il meccanismo drammatico viene esaltato dal ruolo del destino. I personaggi lottano affannosamente per affermare se stessi e la propria individualità, ma nessuno può cambiare davvero il corso degli eventi.

Il film di Aster trova inquietanti consonanze con The Witch di Robert Eggers, forse il più singolare degli horror di questa nuova feconda stagione americana: anche qui siamo di fronte ad un racconto claustrofobico, che asseconda l’isteria e le suggestioni dei suoi personaggi, che sembrano essere ripiombati in un nuovo medievo, nel quale Dio e il Demonio sono sempre presenti e influiscono in modo determinante sulle nostre vite.

Come scrivevamo allora, per il film di Eggers, “la spiegazione più semplice al male del mondo e al dolore della morte non può allora prescindere dall’individuazione di un maleficio, di un capro espiatorio, che consenta una catarsi, sia pure nel sangue“.

Hereditary ritorna sulle stesse riflessioni, lasciando il New England puritano del XVII secolo, per raccontare una famiglia moderna.

Non c’è dubbio che il genere tradizionalmente più marginale abbia assunto in questo ultimo decennio un ruolo centrale e decisivo nella produzione cinematografica americana, anche grazie alla sua capacità di raccontare metaforicamente le paure sempre più angoscianti e irrazionali, che accompagnano i rapporti sociali, intimi e familiari.

Non è un caso allora che Aster abbia dichiarato che la storia di Hereditary gli sia stata suggerita dalle difficoltà e dalle traversie, affrontate dalla sua famiglia, nel corso di un periodo lungo tre anni.

Nell’horror il regista ha trovato il modo di esorcizzarle, sublimandole in un racconto ancestrale e misterioso.

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