Bones and All

Bones and All ***1/2

Un panorama di tralicci, dipinti senza talento. Una highschool come ce ne sono tante nella provincia americana. Uno sleepover tra amiche, a cui Maren partecipa dopo essere fuggita dal trailer park in cui vive col padre, che prima di andare a dormire chiude la sua porta con un chiavistello.

Quella sera tra chiacchiere e smalti, Maren morde voracemente il dito ad una della altre ragazze: corre a casa, il padre le dice di fare i bagagli. Scappano, ma non è la prima volta.

Si trasferiscono in Maryland, ma dura poco. Il padre lascia a Maren un’audiocassetta, qualche dollaro e un certificato di nascita.

Maren ha istinti cannibali, fin da quando aveva pochissimi anni, ereditata dalla madre. Da sola al mondo, si mette in cammino, per cercare quella donna di cui non sa più nulla.

Una notte si imbatte in Sully, un cannibale come lei, molto più anziano e particolarmente inquietante.

Assieme si cibano di un’anziana signora, ma al mattino Maren fugge in autobus, proseguendo il suo viaggio verso Columbus in Ohio e poi ancora più lontano in Indiana e Kentucky. Qui in un supermercato incontra Lee, un altro giovane sbandato come lei, che fugge dai suoi istinti e da quello che resta della sua famiglia.

I due condividono un pezzo di strada assieme, in Iowa dove incontrano altri cannibali e poi Minnesota, nella casa dove ancora abita la nonna di Maren. Infine a Fergus Falls, in un ospedale psichiatrico dove la madre della ragazza si è autoreclusa.

Maren e Lee si separano, ma poi si ritrovano ancora…

Il settimo film di Luca Guadagnino è una bellissima storia d’amore tra esseri umani unici e solitari. Lungo le strade di un’America marginale, sinistra e impoverita, un midwest evocativo e sorprendente, dove ogni incontro si trasforma in una minaccia.

Bones and All racconta l’oscurità, ma lascia sempre filtrare un raggio di luce, che illumina la notte più nera.

Maren e Lee cercano di trovare se stessi nell’altro, cercano di riconoscere nella loro unicità un modo per stare al mondo, senza seguire solo i loro istinti primari.

Come riconoscere la propria tribù? Come comprendere che ogni diversità, ogni unicità può essere condivisa? Come imparare a convivere con i propri desideri? Guadagnino recupera gli interrogativi di Chiamami col tuo nome e ritrova una felicità espressiva che da sempre lo assiste quando racconta di quel tempo magico in cui ciascuno scopre il proprio posto nel mondo.

In un film che miracolosamente riesce a mantenere un tono delicato e struggente, senza dimenticare la sua dimensione horror più disturbante, Guadagnino sfrutta sino in fondo il grande panorama americano, i suoi cromatismi, la sua luce, appropriandosi sino in fondo dell’iconografia del road movie, senza mostrare alcun debito, ma con una grande originalità. Questo anche grazie al lavoro di Arseni Khachaturan, il giovanissimo direttore della fotografia georgiano, che collabora con lui per la prima volta e che sembra fotografare quelle strade e quelle case di legno come se fossero inquadrate per la prima volta.

Particolarmente significativa la colonna sonora che passa significativamente dai Duran Duran ai Kiss e che Reznor & Ross hanno scritto e supervisionato con la solita grande pertinenza, in un film che non usa coordinate temporali precise, ma che tuttavia sembra abbracciare la desolazione degli anni ’80.

La canadese Taylor Russell, scoperta in Waves, è la protagonista assoluta del racconto, restituendo a Maren tutta la complessità del viaggio e l’altalena emotiva che lo accompagna. Chalamet ritrova con Guadagnino l’allure del ribelle senza un passato, mentre particolarmente efficace è il cast dei comprimari: il mellifluo e disturbante Mark Rylance, nei panni di Sully, la coppia inquietante formata da David Gordon Green e Michael Stuhlbarg, i genitori assenti André Holland e Chloe Savigny.

Bones and All racconta la storia di due emarginati, che imparano a condividere la loro solitudine e lo fa mantenendo uno sguardo emotivo e partecipe, abbracciando i suoi personaggi con la tenerezza di chi li comprende profondamente, ne asseconda lo smarrimento, ne condivide empaticamente il percorso.

E’ un film raro quest’ultimo di Guadagnino: nato in un periodo di isolamento e pandemia, ma capace di lasciare una traccia diversa, compassionevole, generosa, profondamente umana.

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