Gaslit: la voce libera di Martha Mitchell nei giorni del Watergate

Gaslit ***

Dopo l’epocale Tutti gli uomini del Presidente (1976) e i più recenti Frost /Nixon (2008) e The Post (2017), in pochi avrebbero scommesso di vedere sullo schermo una rappresentazione differente, per non dire originale, dello scandalo Watergate. La serie Gaslit è riuscita nell’impresa, focalizzando l’attenzione su fatti e personaggi, a cinquant’anni di distanza dagli eventi, oramai dimenticati. No, qui non sono i giornalisti a prendersi la scena, bensì una pletora di figure, alcune di primo piano, altre avvolte nell’ombra, legate all’allora Presidente degli Stati Uniti, il repubblicano Richard Nixon. Centrali, nella ricostruzione, sono le vicende dei coniugi Mitchell, John, Procuratore generale dimessosi da Ministro della Giustizia per dirigere il Committee for The Re-Election of the President (acronimo CREEP, che, per una coincidenza rivelatrice e bizzarra, è un termine traducibile con “servile” o “sgradevole”), e sua moglie Martha, donna complessa, bistrattata, maltrattata, infelice, la vera eroina di Gaslit.

Per vestire i panni del grasso John Mitchell, Sean Penn si è prestato a un trucco invasivo e pesante che tuttavia, per uno strano miracolo, non lo rende irriconoscibile. Il buon Sean, da democratico militante, ce l’ha messa tutta per tratteggiare, con la giusta dose di cattiveria, un piccolo uomo repubblicano, senza qualità, spregevole sul lavoro e tiranno in famiglia. È però l’interpretazione di Julia Roberts, alias Martha Mitchell, a brillare, tanto da poter essere annoverata tra le migliori performance dell’attrice Premio Oscar per Erin Brockovich. Chi era la signora Mitchell, invisa all’amministrazione Nixon già prima del Watergate, al punto da risultare esclusa dalla lista dei passeggeri dell’Air Force One? E che ruolo giocò nello smascheramento delle responsabilità del Presidente nella celebre operazione di spionaggio e di raccolta illecita di informazioni?

Campagna elettorale per le elezioni Presidenziali del 1972. Nixon, secondo i sondaggi, è in netto vantaggio sul candidato democratico McGovern ma le proteste di piazza contro i bombardamenti americani in Vietnam non danno tregua ai repubblicani. Serve un colpo d’ala. Scatta quindi l’operazione segreta Gemstone, avallata e coordinata proprio da John Mitchell. Gordon Liddy, già agente dell’FBI, James McCord, responsabile capo della sicurezza di Nixon e un pugno di esuli cubani ingaggiati per l’occasione, fanno irruzione di notte nel quartier generale del Partito Democratico per installare cimici e microspie nei telefoni.

L’operazione segreta fallisce per l’incuria e la sciatteria dei gregari del Presidente. Un guardiano del palazzo, al suo primo giorno di lavoro, si insospettisce per un pezzo di nastro adesivo utilizzato nel bloccare una porta e allerta la polizia. Liddy e gli altri sono sorpresi e arrestati in flagranza di reato da tre agenti travestiti da hippy (un degno contrappasso per Nixon). Il castello di carte crolla miseramente e allo stesso Mitchell spetta il compito di “contenere” la notizia.

John, però, ha un problema in casa. Sua moglie Martha non ha mai lesinato critiche a Nixon, sulla stampa e in televisione. È una una scheggia impazzita, amata e detestata, dipende dai punti di vista, per la sua “eccentricità”, quasi una influencer ante litteram. Inoltre, Martha sa delle attività recenti del marito (e ciò che non sa, considerata la sua innata perspicacia, potrebbe intuirlo rapidamente leggendo i giornali dell’indomani).

Gaslit rivela il freddo nichilismo del potere. Nello scenario dorato della West Coast, assistiamo ad uno dei momenti-chiave della serie, esemplare per la violenza, psicologica e non solo, esercitata costantemente sulla povera Martha. L’episodio fa rabbrividire.

John, per farsi perdonare l’ennesima “distrazione”, ha infatti regalato alla consorte un biglietto aereo, destinazione California. Un viaggio di puro piacere? No, è fuori discussione. Sono mesi intensi e nulla è lasciato al caso. I Mitchell incontrano lobbisti e sostenitori dell’astro nascente della destra americana, un ex attore di nome Ronald Reagan. John vorrebbe relegare Martha, psicologicamente fragile, in piscina, ma la moglie preferisce accompagnarlo. Intanto, nella lontana Washington, accade il fattaccio.

Mentre John si precipita nella Capitale per parare i colpi dello scandalo e organizzare una vasta azione di insabbiamento, Martha viene reclusa in una lussuosa stanza d’albergo con vista spettacolare sull’oceano, controllata da una spietata guardia del corpo fin troppo calata nel proprio ruolo. I fili del telefono tranciati, nessun contatto con l’esterno: Martha, che ha un feeling speciale con la bottiglia, scivola in un sordo dolore. Il suo passato di ragazzina bullizzata, nel profondo Arkansas delle origini, torna a galla, insieme al ricordo di un padre che l’aveva convinta, complice un orologio da taschino, di essere una discendente di Re Giorgio d’Inghilterra…

Julia Roberts costruisce il suo personaggio con grande sensibilità. Molti riconoscono a Martha un talento, nei fatti equivalente a una dannazione, quello di non nascondere mai la verità. Meglio ancora, Gaslit ci mostra una donna che si è imposta di sostenere la verità e di sbatterla in faccia a Nixon, usando, con una certa libertà creativa (in fondo suo figlio è tornato dal Vietnam sano e salvo da anni, eppure nelle interviste lascia intendere che è ancora laggiù, a combattere) gli argomenti a proprio favore.

Martha può essere giudicata una moderna interprete della parresia greca, così definita da Michel Foucault nel suo Discorso e verità nella Grecia antica: “la parresia è un’attività verbale in cui un parlante esprime la propria relazione personale con la verità, e rischia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o se stesso) a vivere meglio”.

Martha, una vittima del sistema, è una donna condannata a reinventare il palinsesto della sua vita, per resistere e sopravvivere. Gli uomini, quelli che girano attorno al marito, la considerano pazza, squilibrata, niente più che uno “straccio imbevuto di alcool”. Per quanto si può sopravvivere in un tritacarne? È una domanda che vale per molte figure ritratte nella serie e per lo stesso John Mitchell, sacrificato dal Presidente sull’altare del cinismo politico.

Gaslit è anche un racconto corale. Il dietro le quinte del Watergate è popolato da ballerine e soprattutto da nani dell’alta amministrazione americana, meschini faccendieri ossessionati dall’incubo di essere travolti dal cumulo di menzogne che essi stessi, con diversi gradi di responsabilità, hanno avuto il demerito di innalzare. Oltre alla figura prepotente e ingombrante di John Mitchell, la serie ha il pregio di mostrarci le opere, le parole e le molte omissioni dei protagonisti indiscussi della macchina del fango nixoniana, da Jeb Magruder, vice di John Mitchell al CREEP, a Bob Haldeman, Capo di Gabinetto alla Casa Bianca, passando addirittura per il Direttore dell’FBI, l’imbarazzante Patrick Gray. Il cast, davvero strepitoso (personaggi interpretati, nell’ordine di citazione, da Hamish Linklater, Nat Faxon e John Carroll Lynch), fa la differenza anche qui.

Shea Whigham (Tigerland, Homecoming) è Gordon Liddy detto “l’idraulico”, fascistoide rude, violento, amorale, odiatore di Fidel Castro, estremista affascinato dal mito del sangue, di Hitler e… di Muzio Scevola. Liddy, selezionato dal CREEP per il suo invidiabile curriculum, si distingue nell’ideazione di missioni surreali, degne della fantasia di Kurt Vonnegut, come deportare i vertici del Partito Democratico in Messico o attirare su una barca popolata da prostitute esponenti di sinistra a fini ricattatori, proposte bocciate da John Mitchell non tanto per la loro intrinseca idiozia, quanto perché eccessive in termini di costi, salvo accettare la più “morigerata” operazione con baricentro il Watergate. Proprio Liddy battezza Gaslit, in apertura di primo episodio, con un discorso da antologia della mentalità politica criminale.

Chris Bauer (The Wire, True Blood, The Deuce) interpreta James McCord, addetto alla sicurezza del Presidente, un uomo d’azione dotato di un’inattesa sensibilità d’animo. McCord è l’unico in grado di comprendere Martha Mitchell, paradigmatica la scena in cui i due si scambiano opinioni sulle poesie di Rilke. Martha, però, non osa ammettere che il libro è della figlia Marthy, una preadolescente, all’apparenza ribelle ma intimamente conservatrice, impaziente di andare in collegio pur di liberarsi dei genitori…

Carlos Valdes (The Flash, Wayward Guide) e Chris Messina (The Mindy Project, Sharp Objects) sono, rispettivamente, gli agenti dell’FBI Paul Magallanes e Angelo Lano, coppia di piedipiatti di classica composizione, un “latinos” e un “mangiaspaghetti”, chiamata a investigare, contro i tentativi di depistaggio del Direttore Gray, sull’ex spia Howard Hunt, già implicato nella fallita invasione della Baia dei Porci, e sul resto della combriccola nixoniana. Il duo Lano – Magallanes si scioglierà dopo il Watergate. I loro destini professionali saranno condizionati dai pregiudizi razziali, molto forti anche all’interno dell’FBI.

Un discorso a parte merita John Dean, consulente giuridico del Presidente, cui Gaslit dedica ampio spazio. Dean, che ha il volto di Dan Stevens (Downtown Abbey, Legion), è un personaggio tragicomico. Ambizioso, spregiudicato, innamorato della sua rombante Porsche color senape e della sua collezione di bottiglie di birra, orgoglioso dell’insegna pop con la scritta FUCK COMMUNISM appesa in una stanza del suo appartamento, il bel Dean millanta una frequentazione assidua della Stanza Ovale. Nel migliore dei casi i suoi rapporti con il Presidente si limitano, in verità, alla ricezione di comandi, all’esecuzione di direttive dal contenuto imbarazzante e ad attese estenuanti davanti a porte che non si aprono mai.

Un giorno Dean, goffo sciupafemmine, invita a cena Mo, hostess di linea, interpretata da Betty Gilpin (Masters of Sex, GLOW). Nasce un amore contrastato e tortuoso, sfociato in un matrimonio in cui lei si prende cura di lui, rassicurandolo nei momenti difficili, ricevendo in cambio un affetto disattento e mediocre. La parabola di Dean, usato e gettato via da Nixon, ben rappresenta “gli orrori della Casa Bianca”, una definizione che John Mitchell, suo diretto superiore durante la campagna elettorale, userà successivamente, quando entrambi saranno stati ormai bruciati. Evocato da Nixon in persona in un servizio televisivo (per somma ironia, i coniugi Dean lo ascoltano durante una vacanza a Camp David, nota residenza presidenziale), a Dean è assegnato il lavoro sporco, anzi sporchissimo, consistente in distruzione di prove, corruzione dei testimoni, mistificazione dei fatti. Infine, nella redazione di un rapporto conclusivo pieno zeppo di falsità. Dean, capro espiatorio in pectore del Watergate, superate le residue titubanze grazie all’energico intervento di Mo, decide di testimoniare contro “Dick”, il nomignolo affibbiato al Presidente dai suoi tirapiedi.

La relazione tra il rampante avvocato anticomunista e la ragazza di provincia di simpatie liberal, giocata in parallelo con la “crisi di coppia” (le virgolette segnalano un eufemismo, trattasi di manipolazione e massacro mentale senza sosta) dei coniugi Mitchell, è un po’ sovradimensionata per importanza e sottrae minuti ad altre potenziali linee narrative.

Ad esempio Patrick Walker, l’eroe per caso adottato dal campo liberal come simbolo “antifascista” della lotta a Nixon, meriterebbe un racconto a sé, più ricco e sviluppato. Assunto al Watergate anziché all’adiacente Howard Johnson Hotel perché, durante il colloquio con un “fratello nero”, non dimostra di conoscere a memoria le capitali degli Stati della Federazione, Walker è la guardia giurata che scopre lo scotch maldestramente messo da McCord sulla serratura della porta d’ingresso. La notorietà non arreca vantaggi materiali al malcapitato Patrick Walker. Nonostante le copertine, la fama raggiunta e la simpatia di una giornalista che lo introduce nella cerchia dei radical chic, Walker perde il lavoro, la casa e la speranza per un futuro migliore. Perde tutto eccetto… il gatto Tuffy, l’unico, non i compagni neri, non la sinistra democratica, a volergli realmente bene.

La reiterata risposta di Magruder alle domande della Commissione del Senato, ridicolizzata da quei geniacci del Muppet Show, I do not recall / non mi ricordo, sintetizza il difetto di onestà di un’era politica edificata sulla menzogna. Lo showrunner Robbie Pickering, lo stesso di Mr. Robot e Matt Ross, già regista di Captain Fantastic, delegano molto alla bravura degli attori e delle attrici. Nixon non si vede mai, se non sui giornali e in televisione, una voce, un ritratto appeso al muro, un’ombra minacciosa e onnipresente. Gaslit è un’ottima serie, schiacciata sul lato oscuro di una realtà allucinata.

Titolo originale: Gaslit
Numero di episodi: 8
Durata: circa un’ora l’uno
Distribuzione: Starz
Uscita: 24 aprile – 12 giugno 2022 a cadenza settimanale
Genere: Political Thriller

Consigliato a chi: ha nostalgia dei registratori a bobine, desidera un paio di pantofole con il logo della Casa Bianca, consulta l’oroscopo cinese.

Sconsigliato a chi: non sa distinguere un parka da una giacca a vento, ha la vescica debole, non crede che una matita ben appuntita possa rappresentare un pericolo.

Letture parallele:

  • Il reportage postumo di un grande scrittore italiano: Alberto Moravia, L’America degli estremi, Bompiani, 2020;
  • Uno studio dedicato alle relazioni tra Stati Uniti e Italia durante la prima amministrazione Nixon: Luigi Guarna, Richard Nixon e i partiti politici italiani (1969-1972), Mondadori Università, 2015.

Una scena: l’allegra festicciola repubblicana.

Due oggetti: la trappola per topi e il cuscino in gommapiuma.

Una metafora: terreno sdrucciolevole.

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