Hae-Jun è un detective alla polizia di Busan. Mentre lavora a risolvere un caso di omicidio che ha aggravato la sua insonnia, un uomo, appassionato di arrampicata, precipita da una cima vicino a Busan. Tutto sembra indirizzare le indagini verso il suicidio, ma il poliziotto non ha fretta di chiudere l’indagine. La moglie del defunto, una donna cinese che lavora come badante di anziane signore, non sembra molto dispiaciuta.
Hae-Jun passa le notti a pedinarla, le fa mettere il telefono sotto controllo, continua a indagare, quando a nessuno importa più. Sua moglie è lontana, lavora in una centrale nucleare sulla costa. E poco a poco il detective si innamora di Seo-rae.
L’ossessione per la verità lo spinge fino ad arrampicarsi sulla vetta, ma quando intuirà la colpevolezza di Seo-rae non avrà più la forza di denunciarla: le confessa il suo amore e la sua sconfitta come poliziotto.
Passano i mesi, Hae-Jun ha cambiato distretto raggiungendo la moglie, ma una mattina al mercato del pesce incontra di nuovo Seo-rae, sposata di nuovo, con un finanziere truffaldino e senza scrupoli. Quando quest’ultimo viene trovato morto colpito da sedici coltellate nella sua piscina, la moglie torna ad essere la prima sospettata di Hae-Jun.
Il film di Park è uno straordinario ritorno per il regista della trilogia della vendetta, a distanza di sei anni dall’ultimo Mademoiselle. Il suo è un melò straziante, nascosto sotto le pieghe di un’indagine hithcockiana che si tinge di nero.
Hae-Jun è un uomo che guarda, un osservatore attentissimo, nella vita come nel suo lavoro. E continuando a guardare finisce per scoprire quello che non dovrebbe. Non solo ma l’oggetto della sua indagine diventa il soggetto dei suoi desideri: si innamora perdutamente, forse ricambiato e comprende una verità che nessun altro vuol vedere.
Il lavoro di Park gioca con le apparenze, con la falsità dei pregiudizi, con il fascino ingannevole delle immagini.
Il destino sembra accanirsi col protagonista, riportandolo su una scena del crimine con la stessa donna che ha rappresentato per lui una sconfitta personale e professionale. Ma la seconda volta non si tratta del caso…
Hae-Jun salva Seo-rae dalla violenza di un uomo meschino, lei ricambierà il favore costruendo un altro delitto perfetto, per occultare un ricatto che nessuno immagina.
Il film è girato da Park con uno stile personalissimo, sempre evidente, forse eccessivo, soprattutto all’inizio, con un accumulo di zoom, movimenti a scavalcare l’asse, soggettive impossibili, ellissi che informano un montaggio d’attrazione, che unisce senza soluzione di continuità spazi, tempi e personaggi diversi. Allontanata ogni timidezza stilistica, questa scelta formale così forte, lascia confusi e spiazzati, così come il tono sempre troppo leggero e surreale, per quello che si rivela nei fatti un melodramma struggente del desiderio mancato e perduto.
Anche i colori e i costumi giocano un ruolo essenziale: il vestito su misura di lui, con sedici tasche da cui estrarre infinite utilità, il vestito blu/verde cangiante di lei, che ciascuno ricorda diverso, contribuendo ad alimentare il mistero.
Non meno complesso il gioco delle lingue, con personaggi che vengono da culture diverse e parlano spesso lingue differenti: i telefonini danno una mano, la semplificazione delle parole che ciascuno pronuncia fa il resto.
Tang Wei, indimenticabile interprete di Lussuria, Blackhat, Un lungo viaggio nella notte, anche questa volta è alle prese con un ruolo magnifico, affascinante, misterioso, che illumina il film di una luce tutta sua, perfetto contraltare del timido Park Hae-il, tanto impeccabile nelle sue indagini, quanto inadatto alle onde del destino sentimentale.
Ispirato ai romanzi svedesi di Martin Beck, Park sembra chiederci: quando una storia d’amore finisce? Quando è giusto che cominci? Quando bisogna prendere la decisione di abbandonare tutto?
Per farlo utilizza le armi del cinema: gli sguardi, i respiri, le parole. Cerca di mostrare, forse lo fa senza controllare pienamente lo stile, ma è un difetto di generosità.
La straordinaria colonna sonora di Jo Yeong-wook in cui compare anche la vecchia canzone The Mist, asseconda con grande eleganza le emozioni dei due personaggi, la paura, il desiderio, la disperazione romantica.
Park poi trova un finale memorabile, che comincia con un lunghissimo plongé con le auto dei due protagonisti parcheggiate su un lembo di strada che si insinua in due anse di mare e prosegue con una marea che sale a poco a poco, assecondando la volontà di Seo-rae.
Da non perdere.