American Rust: un viaggio nella provincia americana con molto paesaggio e poca azione

American Rust **1/2

Del Harris è lo sceriffo della cittadina di Buell, in Pennsylvania. Si è trasferito qui per allontanarsi da Pittsburgh e non essere costretto a ripagare un debito d’onore, per così dire, contratto con i colleghi poliziotti. Una scelta che lo ha portato a contatto con una comunità da cui i giovani, se possono, se ne vanno e in cui gli adulti vivono rassegnati, cercando di tirare avanti in qualche modo, sospesi tra lavoretti temporanei, piccoli furti e l’attività nelle poche fabbriche ancora attive. La zona industriale dell’acciaio, conosciuta come Rust Belt1, (lett. cintura di ruggine), ha infatti assistito progressivamente alla chiusura di molte delle sue attività produttive, con il risultato di impoverire le piccole comunità locali e di togliere prospettive ai giovani. In una delle poche aziende rimaste sul territorio lavora Grace, una donna separata di mezza età, di cui Del si innamora. Quando poi il figlio di Grace, Bill, viene accusato dell’omicidio di un ex poliziotto, Del si sente costretto a fare del suo meglio per cercare di salvarlo, andando anche oltre ai suoi poteri di giurisdizione e alle sue convinzioni morali.

Il termine Belt (cintura) si riferisce a una specializzazione geolocalizzata e la trama della storia si dipana raccontando una comunità inserita in un territorio, in un contesto produttivo e ambientale che condiziona le vicende dei singoli. Il cuore narrativo è quindi un dramma sociale, più che familiare, vitalizzato da sfumature crime legate all’indagine per l’omicidio dell’ex agente di polizia locale Pete Novick e al correlato traffico di droga. La sostanza del dramma risiede nella descrizione della comunità e delle relazioni tra i protagonisti e non nell’investigazione. E’ questa una considerazione da tener presente per non rischiare di essere delusi dal finale aperto. L’importanza della parte drammatica è un elemento comune con Mare of Easttown: anche in quel caso era più rilevante dell’indagine. Un altro elemento che accomuna le due storie è l’abilità degli attori protagonisti a cui si chiede non solo di dar vita al rispettivo personaggio, ma anche di riempire qualche debolezza di scrittura. Se in Mare l’interpretazione di Kate Winslet era perfetta, lo stesso può dirsi della coppia Jeff Daniels (Del) – Maura Tierney (Grace), che sorregge la struttura narrativa con una performance convincente. Sono bravi e in discreta alchimia, cose che non sempre vanno di pari passo. Daniels si è costruito un nutrito gruppo di ammiratori, grazie alle interpretazioni in The Newsroom, The Loming Tower e The Corney Rule, mentre la Tierney ha forse ricevuto meno attenzione di quanto meritasse dalla critica e dal pubblico nonostante abbia recitato in The Affair (per cui ha vinto un Golden Globe) e Your Honor. Entrambi sono particolarmente efficaci nel rendere il non verbale di personaggi che presentano un ricco mondo interiore. Al di là della coppia di protagonisti, tutto il cast è di ottimo livello: Mark Pellegrino (Virgil Poe, ex marito di Grace), Dallas Roberts (Jackson Berg, il farmacista), Julia Mayorga (Lee English) e il navigato Bill Camp, già ammirato in The Night Of e Joker, che interpreta Henry, il padre di Lee e Isaac.

I tentativi di fuga dalla comunità non sembrano portare lontano: chi prova ad allontanarsi viene in qualche modo risucchiato dalla famiglia (Lee) o dal senso di amicizia (Isaac). Entrambi però compiono scelte libere e sono pronti ad accettare quanto ne conseguirà. Il loro appare quindi un messaggio positivo e lascia intravedere una forma di speranza, per quanto flebile, proiettata verso il futuro. Sono giovani responsabili, così come lo è Bill che in prigione in attesa del processo si rifiuta di uccidere una guardia, pur sapendo che questo lo esporrà al rischio di ritorsioni da parte degli altri detenuti. Nonostante la desolazione dell’oggi il futuro potrebbe essere meno grigio, soprattutto per merito dei singoli: la società, sembra dirci la storia, non evolve da sola, serve lo sforzo di qualcuno che indichi la strada per superare l’inerzia. Certo non tutti i tentativi vanno a buon fine: quello compiuto da Grace che, insieme ad alcune colleghe, vorrebbe costituire un sindacato interno all’azienda, non sortisce alcun effetto positivo. Anzi, la espone a critiche e ritorsioni da parte di quanti vedono l’iniziativa come una minaccia del loro posto di lavoro.

I temi sociali sono trattati a più riprese dalla serie: non solo lo sfruttamento dei lavoratori e la precarietà dei loro diritti, ma anche la diffusione delle droghe in tutte le fasce d’età e condizioni economiche, le violenze rivolte a omosessuali e afroamericani, la crisi abitativa, lo scollamento tra uomo e ambiente. Vedendo le strutture industriali, arrugginite e senz’anima, inserite in un paesaggio naturale dolce, ricco di colline e fiumi, la sensazione è che l’uomo abbia violentato la natura, senza criterio e pure senza trarne vantaggi duraturi. Un’operazione quindi due volte stupida.

La serie, ideata da Daniel Paul Futterman (Capote e The Looming Tower), è tratta dall’acclamato romanzo di Philipp Meyer del 2009, American Rust – Ruggine americana, pubblicato in Italia da Einaudi e, pur mantenendosi fedele al libro, la storia presenta delle modifiche soprattutto iniziali e finali. Alla regia, in cinque dei nove episodi, troviamo l’esperto John Dahl (Yellowstone, Billions, For All Mankind) che riesce a trasmettere in ogni inquadratura una sensazione di grande drammaticità e tensione, grazie a una fotografia cupa e a una colonna sonora in cui i rumori sono enfatizzati dal contrasto con il silenzio della natura.

Dove lo spettacolo mostra maggiori fragilità è nella struttura del racconto che divaga senza necessità in almeno un paio di episodi, di cui il più evidente è il secondo, Happy Returns. Qui lo spazio dedicato alla festa di matrimonio è troppo esteso, rendendo l’episodio, che ha soprattutto la funzione di far incontrare i protagonisti e in particolare Billy e Lee, nel complesso piuttosto noioso. Qualcosa di analogo si può dire per il vagare senza scopo di Isaac e per le sue disavventure on the road. Il senso di lentezza che American Rust trasmette risiede soprattutto in questi passaggi a vuoto che spostano l’attenzione dal racconto investigativo senza aggiungere granché dal punto di vista drammatico. In Mare il racconto investigativo sorreggeva comunque tutte le puntate: qui, complice anche il fatto che è palese chi ha fatto cosa, non riesce a sostenere l’attenzione dello spettatore in modo continuativo per tutti gli episodi.

Complessivamente ci troviamo di fronte a un prodotto di genere che tratta temi ampiamente diffusi in altre produzioni di questi anni, con qualche sfumatura innovativa, di tono più che di contenuto (l’attenzione ai temi del sociale, le timide aperture verso il futuro, soprattutto grazie alla presa di responsabilità dei giovani). Lo show risulta inoltre sorretto da ottime interpretazioni degli attori principali. Purtroppo però le debolezze di ritmo e scrittura lo un prodotto discreto, ma certamente non imprescindibile.

Titolo originale: American Rust
Durata media episodio: 60 minuti
Numero degli episodi: 9
Distribuzione streaming: Sky Atlantic e Now
Genere: Drama

Consigliato: a quanti amano i racconti della provincia americana e le serie sorrette da grandi interpreti.

Sconsigliato: a quanti non amano le storie lente in cui la parte drammatica è preponderante rispetto a quella crime che finisce per essere piuttosto un pretesto che il centro del racconto.

Visioni parallele:

Mare of Easttown: la storia di Mare e della comunità di Easttown racconta vicende per molti aspetti simili a quelle di American Rust. Kate Winslett è memorabile nel ruolo della protagonista e il ritmo del racconto è più vivace Nel complesso un prodotto migliore.

Un’immagine: l’immagine della sigla con un ponte d’acciaio sospeso su di un fiume che scorre placido tra il paesaggio dolce della Pennsylvania. I colori ramati del sole che si riverbera nell’acqua e sul ponte trasmettono da subito l’idea della tonalità dominante (ocra rossa) e al contempo del rapporto ambivalente tra industrializzazione e natura. Le acque dense e cupe del fiume danno un senso di immutabilità, proprio come sembra essere il destino degli abitanti di questa comunità.

1 Con il termine belt si intendono parti del Paese che condividono le stesse caratteristiche produttive, agricole o climatiche. Oltre alla Rust Belt, tra le più celebri, ricordiamo la Corn Belt, la cintura del mais, e la Sun Belt, la zona che riceve maggiormente i raggi solari durante l’anno. Tra le numerose Belt esiste anche una Bible Belt, nel sud-est degli U.S.A. dove il protestantesimo conservatore esercita una maggiore influenza sulla società.

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